Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 6196 del 27 maggio 1995

(2 massime)

(massima n. 1)

In materia probatoria, il potere suppletivo del giudice non trova preclusioni nel comportamento delle parti (quali la carenza di attività probatoria, le decadenze in cui queste siano incorse e lo stesso accordo sul rito) ma solo nella non necessarietà dell'esercizio dello stesso al fine del decidere. Ciò comporta che nei riti in cui il giudice può esercitare detto potere suppletivo, il rifiuto di detto esercizio dovrà essere motivato solo in relazione alla non necessarietà dell'accertamento richiesto ai fini del decidere.

(massima n. 2)

Nell'ipotesi di giudizio abbreviato derivato da giudizio direttissimo, ai sensi dell'art. 452 comma 2 c.p.p., l'impossibilità per la parte di chiedere l'ammissione di mezzi di prova attiene esclusivamente a fatti già verificatisi nel momento in cui ha chiesto (o consentito a) il giudizio abbreviato e non a fatti sopravvenuti rispetto a quel momento. Ne consegue che il fatto sopravvenuto, giuridicamente rilevante, ben può trovare ingresso nel processo, senza che risulti violato l'accordo tra le parti. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza del giudice di appello che, sull'assunto dell'impossibilità, nell'ipotesi data, di procedere ad integrazione probatoria, aveva respinto l'istanza di rinnovazione parziale del dibattimento finalizzata all'acquisizione di atti dai quali sarebbe risultata la fattiva collaborazione prestata, dopo la sentenza di primo grado, dall'imputato e quindi la possibilità di applicare l'attenuante di cui all'art. 73 comma 7 D.P.R. 309/1990).

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