Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 548 del 21 marzo 1996

(1 massima)

(massima n. 1)

In un ordinamento fondato sul principio di legalità, il potere del giudice di definire correttamente il fatto sul quale è chiamato a pronunciarsi è connaturale allo stesso esercizio della giurisdizione, che non tollera limitazioni in ordine all'inquadramento giuridico dei fatti sottopostigli, derivanti dalla richiesta delle parti. Anche il giudice dell'udienza preliminare, pur in mancanza di specifica previsione, può modificare la qualificazione giuridica del fatto in relazione al quale il P.M. ha richiesto il rinvio a giudizio. Ne consegue che rientra nei poteri del Gip — una volta esclusa la configurabilità, in fatto o in diritto, di una circostanza aggravante — quello di eliminare ogni riferimento ad essa nell'imputazione, anche per gli evidenti riflessi, se ad effetto speciale, che può avere sui termini di durata di eventuali misure coercitive in atto ovvero di operare quegli emendamenti che, nell'immodificabilità del nucleo centrale del fatto, conseguano ad una diversa qualificazione giuridica dello stesso.

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