Cassazione penale Sez. I sentenza n. 2087 del 23 giugno 1999

(2 massime)

(massima n. 1)

In tema di termini per impugnare, l'art. 585, comma primo, lett. a), c.p.p., pur formalmente riguardando i provvedimenti camerali e le sentenze accompagnate da contestuale motivazione, deve ritenersi applicabile anche alle ordinanze dibattimentali che determinano la regressione del procedimento. Il relativo termine di quindici giorni decorre dalla lettura del provvedimento in udienza, non essendovi ragione di non applicare nel caso suddetto la previsione dell'art. 585, comma secondo, lett. b), c.p.p., che, seppure pensata per le sentenze con contestuale motivazione, vale a fortiori per le ordinanze dibattimentali. (Fattispecie di impugnazione tardiva da parte del pubblico ministero di una ordinanza dibattimentale con la quale era stata dichiarata la nullità del decreto di citazione a giudizio, ordinanza di cui si denunciava l'abnormità)

(massima n. 2)

L'obbligo imposto al P.M. di iscrizione della notitia criminis in apposito registro risponde all'esigenza di garantire il rispetto dei termini di durata massima delle indagini e presuppone che a carico di una persona nota emerga l'esistenza di specifici elementi indizianti, e non di meri sospetti. Ne consegue che il ritardo nell'iscrizione non è concetto che possa assumersi in via di semplice presunzione, ma è un dato che consegue unicamente alla concreta verifica circa il momento in cui il pubblico ministero ha acquisito gli elementi conoscitivi necessari a delineare una notizia di reato nei confronti di una persona, in termini di ragionevole determinatezza. Consegue ulteriormente che, in difetto di tale presupposto, che investe l'an e il quando e determina il dies a quo della notitia criminis, l'apprezzamento della tempestività dell'iscrizione, che rientra alla valutazione discrezionale del pubblico ministero, non può affidarsi a postume congetture ed è comunque sottratto al sindacato giurisdizionale; né l'eventuale violazione del dovere di tempestiva iscrizione, che pur potrebbe configurare responsabilità disciplinari o addirittura penali a carico del P.M. negligente, è causa di nullità degli atti compiuti, non ipotizzabile in assenza di un'espressa previsione di legge.

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