Cassazione penale Sez. I sentenza n. 1739 del 27 marzo 1997

(2 massime)

(massima n. 1)

Il provvedimento con cui il giudice (nella specie, dell'udienza preliminare) revoca la precedente ordinanza cautelare ed applica la misura dell'obbligo di dimora non può qualificarsi come provvedimento che applica una misura coercitiva, ma come provvedimento in materia di misure cautelari personali, nei cui confronti è previsto solo l'appello dinanzi al tribunale c.d. della libertà. Ne consegue che avverso di esso non è direttamente proponibile il ricorso per cassazione per violazione di legge, ai sensi dell'art. 311 c.p.p., essendo tale ricorso specificamente previsto solo per le «ordinanze che dispongono una misura coercitiva», e cioè per le ordinanze che l'art. 309 stesso codice assoggetta alla richiesta di riesame anche nel merito. (Nella specie, la S.C. ha qualificato il ricorso come appello, ordinando la trasmissione degli atti al competente tribunale della libertà a norma dell'art. 568, comma quinto, c.p.p.).

(massima n. 2)

La contestazione di una aggravante ad effetto speciale (nel caso di specie quella prevista dall'art. 7 del D.L. 13 maggio 1991 n. 152) nel corso dell'udienza preliminare non è produttiva di effetti ai fini del computo dei termini massimi di custodia cautelare, anche se ad essa si fa esplicito riferimento nel decreto che dispone il giudizio, se questa non sia contenuta anche in un provvedimento cautelare

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