Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 3090 del 9 dicembre 1999

(2 massime)

(massima n. 1)

In caso di regressione del procedimento, il termine «finale» del doppio del termine di fase, in base al combinato disposto degli artt. 303, secondo comma, e 304, sesto comma, c.p.p., decorre dal primo termine iniziale della fase in cui il procedimento è regredito, computato anche il periodo di custodia cautelare decorso nelle fasi o gradi successivi prima del provvedimento che ha disposto la regressione. Tale regola discende dalla interpretazione, costituzionalmente imposta, indicata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 292 del 1998, con la quale si è osservato che la previsione dell'art. 304, sesto comma, c.p.p. individua il limite «estremo» di durata della custodia cautelare, superato il quale il permanere dello stato coercitivo si presuppone essere «sproporzionato» (in base al principio di cui all'art. 275, secondo comma, c.p.p.), in quanto eccedente gli stessi limiti di tollerabilità del sistema. Fungendo pertanto da meccanismo di chiusura della disciplina dei termini, la disposizione in esame resta «autonoma» rispetto al corpo dell'articolo nel quale si trova inserita. Ne consegue che ritenere che il limite finale operi solo per i casi di sospensione equivarrebbe a tradire non soltanto la storia e la funzione dell'istituto, ma anche il dettato normativo, come si desume dall'avverbio «comunque» contenuto in detta disposizione, che sta a significare che quel limite deve essere riferito a tutti i fenomeni suscettibili di interferire con la disciplina dei termini di fase.

(massima n. 2)

In tema di termini massimi di custodia cautelare, qualora la sentenza di appello sia stata annullata con rinvio dalla Corte di cassazione, e, in base al principio devolutivo, la pena già determinata dal giudice di appello non possa comunque essere aggravata all'esito del giudizio di rinvio, il nuovo termine di fase, ex art. 303, primo comma, lett. c), c.p.p., non può essere ancorato alla maggiore pena inflitta con la sentenza di primo grado, ma a quella minore inflitta con la sentenza di appello. Infatti, tale sentenza, pur essendo stata annullata dalla Corte di cassazione, mantiene il suo valore di giudicato ai fini della determinazione massima della pena che in concreto potrà essere inflitta. (Fattispecie nella quale la sentenza di appello aveva ridotto la pena a dieci anni di reclusione rispetto ai dodici anni inflitti in primo grado, e, su ricorso dell'imputato, la Corte di cassazione aveva annullato con rinvio la sentenza impugnata ravvisando un difetto di motivazione circa il diniego di attenuanti generiche; in tale ipotesi, la Corte ha ritenuto che il nuovo termine di fase andasse ricavato dall'art. 303, primo comma, lett. c), n. 2, c.p.p. e non dal numero 3 della predetta disposizione).

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