Cassazione penale Sez. Unite sentenza n. 1 del 18 aprile 1997

(3 massime)

(massima n. 1)

Ai fini sia dell'articolo 303, comma primo, lett. c), c.p.p., sia dell'art. 300, comma quarto, stesso codice, nel caso di condanna per più reati avvinti dalla continuazione, per alcuni dei quali soltanto (nella specie per i reati satelliti) mantenga efficacia la custodia cautelare, per «condanna» e per «pena inflitta» devono, rispettivamente, intendersi la condanna e la pena inflitte per questi ultimi reati, e non la condanna e la pena inflitte per l'intero reato continuato, in quanto l'unificazione legislativa di più reati nel reato continuato va affermata là dove vi sia una disposizione apposita in tal senso o dove la soluzione unitaria garantisca un risultato favorevole al reo, non potendo dimenticarsi che il trattamento di maggior favore per il reo è alla base della ratio del reato continuato.

(massima n. 2)

Allorché il giudice di merito, nell'infliggere la pena per il reato continuato, non abbia suddiviso la pena irrogata per i reati satelliti e la suddivisione o distinzione rilevi per il calcolo dei termini di durata massima della custodia cautelare o per l'accertamento dell'avvenuta espiazione della pena, il giudice della misura cautelare deve porsi il relativo problema e determinare, ai soli fini della misura, la pena per ciascun reato in continuazione, non potendo l'omessa suddivisione o distinzione essere di ostacolo al riacquisto della libertà, se di questo riacquisto ricorrono le condizioni. E la suddivisione o distinzione della pena può essere fatta anche dalla Corte di cassazione allorché i reati satelliti siano altrettanti episodi della medesima figura criminosa commessi, in tempi diversi, in danno di persone diverse e non risulti o non sia allegato un diverso grado di gravità dei vari fatti-reato. (Nella specie, relativa ad indiscriminato aumento di quattro anni di reclusione per cinque episodi di estorsione, la S.C. ha ritenuto di poter imputare a ciascuno di essi la pena di mesi nove e giorni 18 di reclusione, ottenuta dividendo per cinque l'aumento complessivo).

(massima n. 3)

Poiché la sentenza emessa all'esito della procedura di cui agli artt. 444 ss. c.p.p. non ha natura di sentenza di condanna, difettandole l'accertamento giudiziale dell'avvenuta «commissione» del fatto-reato, essa non può costituire titolo idoneo alla revoca, a norma dell'art. 168, comma primo, n. 1, c.p., di sospensione condizionale della pena precedentemente concessa. (In motivazione, la S.C. ha precisato che la pena applicata all'esito di «patteggiamento» legittimamente può essere ostativa alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena, in quanto, «applicando la pena», essa, sotto tale profilo, è legittimamente equiparabile a una pronuncia di condanna).

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