Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 2978 del 20 agosto 1992

(2 massime)

(massima n. 1)

Alla stregua del principio sulla tassatività e tipicità dei mezzi di impugnazione stabilito dall'art. 568, comma primo, c.p.p. si devono ritenere non impugnabili tutti quei provvedimenti per i quali non è previsto uno specifico gravame: e tale è, appunto, il decreto motivato previsto dall'art. 415, comma secondo, c.p.p. contro il quale tale norma non ha previsto alcun mezzo di gravame. (Fattispecie in cui il giudice, nell'autorizzare la prosecuzione delle indagini contro ignoti, aveva fissato un termine per l'esecuzione delle stesse, nonostante una tale facoltà non sia prevista dall'art. 415 c.p.p.; la Cassazione ha escluso l'impugnabilità del relativo provvedimento sulla scorta del principio di cui in massima ed ha altresì negato che lo stesso potesse essere ritenuto ricorribile per cassazione quale provvedimento abnorme, osservando che la fissazione del termine suddetto non rendeva il provvedimento abnorme ma solo illegittimo).

(massima n. 2)

Il provvedimento che dichiara la latitanza presuppone il verbale di vane ricerche, che la polizia giudiziaria redige a seguito della mancata esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare, indicando in modo specifico le indagini svolte nei luoghi nei quali si presume che l'imputato possa trovarsi, senza essere vincolata, quanto ai luoghi di ricerca, dai criteri indicati in tema di irreperibilità. Sulla base di tale verbale il giudice dichiara lo stato di latitanza, qualora ritenga esaurienti le ricerche eseguite, salvo integrazioni, come si evince dall'ultimo comma dell'art. 295 c.p.p., compiendo una valutazione ispirata ad un criterio - rebus sic stantibus - di certezza, cioè con riferimento alla situazione concreta accertata in quel momento, senza che possano avere rilevanza, ai fini della legittimità del provvedimento, e quindi delle notificazioni in virtù di questo eseguite, le eventuali informazioni successivamente pervenute.

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