Cassazione penale Sez. I sentenza n. 1145 del 11 maggio 1993

(2 massime)

(massima n. 1)

Affinché le condanne per fatti posteriori a quelli cui si riferisce l'istanza di riabilitazione possano essere ritenute preclusive di quest'ultima, è necessario che il giudice conduca una penetrante indagine sui fatti posti a base di tali procedimenti indicando gli specifici elementi da cui è tratto il giudizio dell'assenza del ravvedimento del riabilitando, fondato su un ragionamento esauriente, ancorché sintetico e immune da fratture logiche. (Nella specie è stato ritenuto corretto il rigetto dell'istanza di riabilitazione, motivato non già con il meccanico riferimento a condanna successiva ai fatti cui l'istanza si riferiva (peraltro coperta da amnistia), quanto alla sua sintomaticità dell'assenza di prove di buona condotta, avvalorata anche dalla radiazione dell'istante dell'albo professionale).

(massima n. 2)

Nei processi che in fase istruttoria proseguono con le norme anteriormente vigenti, il termine entro il quale si deve procedere, a pena di estinzione della misura, all'interrogatorio della persona che si trova in stato di custodia cautelare, è quello di quindici giorni previsto dall'art. 365 c.p.p. del codice previgente, e non quello di cinque giorni, previsto dall'art. 294 del nuovo codice di rito. A tale conclusione si perviene grazie all'esame della normativa transitoria contenuta nel D.L.vo 28 luglio 1989, n. 271. In particolare, l'art. 245 di tale normativa non indica l'art. 294 tra le disposizioni del nuovo codice applicabili ai procedimenti che proseguono con le norme anteriormente vigenti. Gli artt. 250 e 251, poi, che indicano le specifiche norme del nuovo codice, applicabili anche ai procedimenti che proseguono con il vecchio rito, in tema di fermo, di arresto, di presupposti e durata delle misure cautelari, non fanno cenno al termine di estinzione della custodia cautelare per omesso interrogatorio. Vertendosi in tema di norme processuali, in difetto di apposita disposizione, trova applicazione il principio generale tempus regit actum, da intendere non nel senso che, essendo stato emesso il mandato di cattura dopo l'entrata in vigore del nuovo codice, il tempo dell'atto sarebbe quello del nuovo codice, ma nel senso che l'atto è regolato dalla legge processuale applicabile per quel determinato processo, sulla scorta delle disposizioni transitorie.

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