Cassazione penale Sez. I sentenza n. 5405 del 8 febbraio 2001

(2 massime)

(massima n. 1)

Il pubblico ministero, allorché faccia richiesta di applicazione di una misura cautelare dei risultati di intercettazioni di comunicazioni, non ha alcun obbligo di presentare al giudice per le indagini preliminari i relativi decreti di autorizzazione, essendo stati questi omessi, a suo tempo, dal medesimo giudice, il quale, quindi, non può avere alcuna ragione di dubitare della loro esistenza e legittimità. La mancata trasmissione al tribunale del riesame dei decreti di autorizzazione all'effettuazione di intercettazioni di comunicazioni non determina per ciò solo una nullità, qualora dagli atti emergano elementi certi dai quali sia possibile desumere aliunde la sicura esistenza di detti decreti, di cui spetta al tribunale disporre, eventualmente, l'acquisizione, solo a fronte di tempestiva eccezione del difensore, onde consentire le necessarie verifiche. Ne consegue che l'utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni opera solo nel caso di cui il tribunale del riesame, in presenza di una specifica richiesta del difensore, non abbia provveduto alla suddetta acquisizione.

(massima n. 2)

L'associazione di tipo mafioso si distingue dalla comune associazione per delinquere, come può rilevarsi dal semplice raffronto testuale fra le due norme incriminatrici (a cominciare dalle rispettive rubriche, la prima delle quali è priva, non a caso, a differenza della seconda, dell'inciso «per delinquere»), anche per il fatto che essa non è necessariamente diretta alla commissione di delitti — anche se questi, ovviamente, possono rappresentare (e, di fatto, normalmente rappresentano) lo strumento mediante il quale gli associati puntano a conseguire i loro scopi — ma può anche essere diretta a realizzare, sempre con l'avvalersi della particolare forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, taluno degli altri obiettivi indicati dall'art. 416 bis c.p., fra i quali anche quello, assai generico, costituito dalla realizzazione, di «profitti o vantaggi ingiusti per sè o per altri». Ne deriva che mentre non può parlarsi di associazione per delinquere ordinaria quando gli associati abbiano come scopo esclusivo la commissione non di un numero indeterminato di delitti, ma solo di uno o più delitti previamente individuati, nulla vieta la configurabilità, invece, del reato di associazione di tipo mafioso quando gli associati, pur essendosi dati un programma che, quanto a fatti specificamente delittuosi, presenti le stesse limitazioni dianzi accennate, siano tuttavia mossi da altre concorrenti finalità comprese fra quelle previste dalla norma incriminatrice e comunque adottino, per la realizzazione di quel programma e delle altre eventuali finalità, i particolari metodi descritti dalla stessa norma.

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