Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 2530 del 21 luglio 1999

(2 massime)

(massima n. 1)

In tema di disciplina degli arresti domiciliari, l'art. 284, terzo comma, c.p.p., che consente al giudice di autorizzare il sottoposto ad assentarsi dal luogo di arresto in caso di «assoluta indigenza», va riferito ai bisogni primari dell'individuo e dei familiari a suo carico, ai quali non può essere data soddisfazione se non attraverso il lavoro. Ed invero, la nozione di «bisogni primari» si carica di significati concreti con l'evolversi delle condizioni sociali, dovendo ritenersi in essi comprese, a titolo esemplificativo, le spese per le comunicazioni, l'educazione e la salute. Ne consegue che non opera un'interpretazione analogica o estensiva, vietata dal carattere eccezionale della norma, il giudice che rifiuti una concezione «pauperistica» dell'assoluta indigenza, comprendendo nelle esigenze cui sopperire anche necessità ulteriori rispetto a quelle della fisica sopravvivenza (vitto, vestiario e alloggio).

(massima n. 2)

In tema di sequestro preventivo le conseguenze che il legislatore intende neutralizzare attraverso il provvedimento cautelare non sono identificabili con l'evento in senso giuridico, sicché esse possono essere aggravate o protratte anche dopo la consumazione del reato. Per conseguenza la eventuale utilizzazione del bene edificato in spregio agli strumenti urbanistici non aggiunge nulla alla perfezione del reato o alla lesione del bene giuridico formalmente tutelato, ma poiché protrae ed aggrava la lesione dell'equilibrio urbanistico del territorio, che è il valore essenziale cui è finalizzato il controllo pubblico, essa giustifica pienamente l'adozione e la conservazione del sequestro preventivo.

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