Cassazione penale Sez. V sentenza n. 1919 del 2 ottobre 1995

(2 massime)

(massima n. 1)

L'art. 649 c.p.p. (divieto di un secondo giudizio), al pari delle norme sui conflitti positivi di competenza (artt. 28 e ss. c.p.p.) e dell'art. 669 c.p.p. (che disciplina il caso in cui siano emesse più sentenze per il medesimo fatto contro la stessa persona), costituisce espressione del generale principio di ne bis in idem, che tende ad evitare che per lo stesso fatto-reato si svolgano più procedimenti e si emettano più provvedimenti anche non irrevocabili, l'uno indipendente dall'altro, e porre rimedio alle violazioni del principio stesso. Conseguentemente, non è consentito, in pendenza di un procedimento in grado di appello, che venga iniziato per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona un nuovo procedimento e venga emessa un'ordinanza di custodia cautelare. (Fattispecie relativa alla custodia disposta per il reato ex art. 416 bis c.p., dal quale l'indagato era stato assolto in primo grado in altro procedimento).

(massima n. 2)

La misura cautelare perde immediatamente efficacia nel caso in cui venga emanata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere ed una nuova misura coercitiva per gli stessi fatti può essere disposta solo in seguito ad una successiva condanna e con riferimento alle esigenze cautelari di cui all'art. 274, comma 1, lett. b) e c) c.p.p. (art. 300, commi 1 e 5 c.p.p.). Se, dunque, occorre una «successiva condanna», la competenza ad emettere il provvedimento coercitivo spetta al giudice dell'impugnazione, sicché il pubblico ministero non può, per lo stesso fatto, iniziare un nuovo procedimento ed ottenere dal giudice per le indagini preliminari un'ordinanza di custodia in carcere. Pertanto, rispetto ai fatti per i quali sia stata pronunciata l'assoluzione, il giudice per le indagini preliminari è privo del potere di adottare l'ordinanza custodiale, trovandosi in una situazione di incompetenza funzionale. (Fattispecie relativa al delitto di cui all'art. 416 bis c.p.).

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