Cassazione penale Sez. II sentenza n. 8906 del 7 marzo 2002

(2 massime)

(massima n. 1)

In tema di misure cautelari, quando, ai sensi dell'art. 278 c.p.p. (o per le misure interdittive, dell'art. 287 c.p.p.), occorre fare riferimento alla «pena stabilita dalla legge», per tale deve intendersi, qualora il giudice de libertate ritenga sussistenti circostanze attenuanti delle quali, in base al citato art. 278, si debba tener conto (ancorché di esse — come avviene di regola — non vi sia menzione nella contestazione), la pena massima astrattamente applicabile a seguito del giudizio di comparazione che lo stesso giudice è chiamato a compiere, ai sensi dell'art. 69 c.p., fra dette circostanze e le eventuali circostanze aggravanti delle quali parimenti si debba tener conto, ovvero, in mancanza di queste ultime, la pena massima astrattamente irrogabile, una volta operata la riduzione minima per le attenuanti. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha affermato che correttamente il tribunale, dovendo decidere, in sede di appello ex art. 310 c.p.p., sull'applicabilità di una misura interdittiva, con riferimento al reato di truffa aggravata, avrebbe potuto, con adeguata motivazione — in concreto mancata — ritenere l'equivalenza o la prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 4 c.p. e pertanto escludere che la pena stabilita dalla legge fosse, come richiesto dall'art. 287 c.p.p., superiore nel massimo ai tre anni).

(massima n. 2)

Nella determinazione della pena agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari personali, se concorrono circostanze aggravanti ed attenuanti di cui va tenuto conto a norma dell'art. 278 c.p.p., il giudice deve ricorrere al giudizio di valenza stabilito dall'art. 69 c.p., non potendo trovare applicazione il criterio dell'aumento massimo per le aggravanti e della diminuzione minima per le attenuanti, di cui all'art. 157 c.p., che non si riferisce all'ipotesi di concorso di circostanze di segno opposto.

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