Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 296 del 5 aprile 2000

(2 massime)

(massima n. 1)

Le condizioni di salute particolarmente gravi, che — di norma — precludono la custodia in carcere, non devono identificarsi con quelle patologie che, ancorché marcate, sono, per così dire, connaturali alla privazione della libertà personale, quali la sindrome ansioso-depressiva, bensì con quelle patologie che, a prescindere dalla posizione in vinculis del paziente, si oggettivizzano da sole, assumono una propria autonomia e sono connotate, oltre che dalla gravità, dalla insuscettibilità di essere risolte o di essere curate in costanza di detenzione, per non essere praticabili i normali interventi diagnostici e terapeutici in ambiente carcerario, intendendosi per tale anche quello costituito dai centri clinici dell'amministrazione penitenziaria.

(massima n. 2)

Presupposto dell'art. 275, terzo comma, c.p.p. è quello secondo cui chi è raggiunto da gravi indizi di colpevolezza in ordine a un reato di matrice mafiosa è, per definizione, pericoloso e quindi professionalmente proteso alla commissione di fatti criminosi, con l'effetto che l'unica misura adeguata a fronteggiare tali esigenze cautelari presunte è considerata la custodia in carcere. La presunzione può essere vinta solo attraverso l'acquisizione di elementi dai quali emerga che in concreto non sussistono le dette esigenze. La permanenza di queste esigenze, ancorché attenuate, impone sempre l'adozione e il mantenimento della più grave delle misure coercitive.

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