Cassazione penale Sez. Unite sentenza n. 10372 del 18 ottobre 1995

(4 massime)

(massima n. 1)

Ai fini della restituzione della cosa sequestrata e non confiscata, è necessaria la prova rigorosa di un diritto legittimo e giuridicamente apprezzabile su di essa, non potendo ipotizzarsi, in questa materia, un favor possessionis che prescinda dal jus possidendi.

(massima n. 2)

L'obbligo della motivazione, imposto al giudice dagli artt. 111 Cost. e 125, comma terzo, c.p.p. per tutte le sentenze, opera anche rispetto a quelle di applicazione della pena su richiesta delle parti. Tuttavia, in tal caso, esso non può non essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento, rispetto alla quale, pur non potendo ridursi il compito del giudice a una funzione di semplice presa d'atto del patto concluso tra le parti, lo sviluppo delle linee argomentative della decisione è necessariamente correlato all'esistenza dell'atto negoziale con cui l'imputato dispensa l'accusa dall'onere di provare i fatti dedotti nell'imputazione. Ne consegue che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui all'art. 129 c.p.p. deve essere accompagnato da una semplice motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nell'enunciazione - anche implicita - che è stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronuncia di proscioglimento ex art. 129 c.p.p.

(massima n. 3)

La facoltà di attivare i procedimenti di gravame non è assoluta e indiscriminata, ma è subordinata alla presenza di una situazione in forza della quale il provvedimento del giudice risulta idoneo a produrre la lesione della sfera giuridica dell'impugnante e l'eliminazione o la riforma della decisione gravata rende possibile il conseguimento di un risultato vantaggioso. Ne consegue che la legge processuale non ammette l'esercizio del diritto di impugnazione avente di mira la sola esattezza teorica della decisione, senza che alla posizione giuridica del soggetto derivi alcun risultato pratico favorevole, nel senso che miri a soddisfare una posizione soggettiva giuridicamente rilevante e non un mero interesse di fatto. (Fattispecie nella quale è stata ritenuta la carenza d'interesse dell'imputato - che aveva patteggiato la pena per il delitto di spaccio di modica quantità di stupefacenti, vedendosi confiscare la somma ricavata dalla cessione - a impugnare il capo relativo alla confisca, sul rilievo che la questione relativa alla legittimità di quest'ultima era meramente teorica e astratta, una volta esclusa l'esistenza, per il cedente, in una cessione illecita per contrarietà a norme imperative, di un diritto a rientrare nella disponibilità del prezzo ricavato, e cioè la tutelabilità jure civili della sua pretesa, configurabile, pertanto, come interesse di mero fatto).

(massima n. 4)

Lo spaccio di sostanze stupefacenti di lieve entità è espressamente escluso dal campo di applicazione della disposizione di cui all'art. 2 D.L. 20 giugno 1994 n. 399, convertito nella L. 8 agosto 1994 n. 501, che ha introdotto l'art. 12 sexies D.L. 8 giugno 1992 n. 356, alla cui stregua «è sempre disposta la confisca del danaro, dei beni o delle altre utilità, di cui il condannato non può giustificare la provenienza. . .» anche per il caso di applicazione della pena a norma dell'art. 444 c.p.p., in ordine a talune figure di reato tra le quali quella prevista dall'art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990, eccettuata, tuttavia, la fattispecie prevista dal comma 5, riguardante, appunto, i fatti di lieve entità.

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