Cassazione penale Sez. Unite sentenza n. 9149 del 17 ottobre 1996

(2 massime)

(massima n. 1)

Il giudice dell'esecuzione, competente alla restituzione delle cose sequestrate, deve accertare l'effettiva sussistenza del diritto alla restituzione a favore del richiedente, attuando, in caso negativo, la norma di cui all'art. 264 c.p.p., stante il principio che, per l'accoglimento della domanda, non è sufficiente il favor possessionis, ma occorre la prova positiva dello jus possidendi.

(massima n. 2)

Nella sentenza resa ai sensi dell'art. 444 c.p.p. la confisca può essere disposta solo per le cose che costituiscono il prezzo del reato ovvero la cui fabbricazione, porto, uso, detenzione o alienazione costituiscono reato, ovvero ancora per le ipotesi speciali espressamente previste anche per i casi di applicazione di pena su richiesta delle parti, e con esclusione, quindi, per le cose che rappresentano il prodotto o il profitto del reato. (Nell'enunciare il principio di cui in massima, la S.C. ha chiarito, con riferimento al sequestro di una somma di denaro, ritenuta «prezzo» della cessione di una modica quantità di sostanza stupefacente, che il ventaglio di soluzioni delle varie ipotesi che possono presentarsi si può così descrivere: a) allorché il giudice di merito abbia, sulla base di un accertamento di fatto, affermato in sentenza e correttamente motivato che la somma sequestrata costituisce «prezzo» del reato, legittimamente viene disposta, nel rito del patteggiamento, la confisca, e l'eventuale ricorso per cassazione deve essere rigettato; b) allorché il giudice di merito abbia provveduto, con la sentenza in sede di patteggiamento, alla confisca della somma in sequestro, pur qualificata, dopo l'accertamento di fatto, «prodotto» o «profitto» del reato, l'eventuale ricorso per cassazione va dichiarato inammissibile per carenza di interesse (mancando, in capo all'imputato, parte di un negozio illecito per contrarietà a norme imperative, il diritto a rientrare nella disponibilità della somma costituente la controprestazione della cessione), e sempre che l'imputato non contesti in radice il rapporto di connessione tra bene e reato; c) allorché il giudice di merito, senza curarsi di provvedere alla qualificazione e senza accertamenti e motivazione al riguardo, abbia provveduto alla confisca del bene, sussiste certamente l'interesse all'impugnazione da parte dell'imputato, sempre però che costui abbia contestato, nel giudizio di merito, ovvero anche solo con i motivi di ricorso, l'esistenza di un qualsiasi nesso tra il reato e il danaro, adducendo al riguardo una qualsivoglia motivazione. Negli ultimi due casi, essendo precluso qualsiasi accertamento in fatto in sede di legittimità e non potendo essere annullata con rinvio una sentenza resa in sede di patteggiamento, sempre che sul punto non esista una clausola concordata, la disposizione relativa alla confisca va eliminata, al fine di consentire all'interessato di far valere le sue ragioni in sede esecutiva).

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