Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 1782 del 21 luglio 1993

(3 massime)

(massima n. 1)

A norma dell'art. 275 c.p.p. così come risulta dalle modifiche e integrazioni apportatevi dal D.L. 13 maggio 1991 n. 152 convertito in L. 12 luglio 1991 n. 203 e dal D.L. 9 settembre 1991 n. 292 convertito in L. 8 novembre 1991 n. 356, l'esistenza di esigenze cautelari tali da disporre l'applicazione e il mantenimento della custodia cautelare in carcere dell'indagato, quando si sia in presenza di gravi indizi di colpevolezza dello stesso in ordine a taluno dei delitti indicati in detta norma, è da considerare presunta, sicché non spetta al giudice dimostrare, con adeguata motivazione che le esigenze in questione siano effettivamente sussistenti, ma è onere dell'indagato allegare gli elementi specifici e peculiari in virtù dei quali la presunzione della loro esistenza deve ritenersi superata.

(massima n. 2)

Il termine «indizi» ha valore e significato diversi secondo che con esso si faccia riferimento agli elementi di prova necessari per affermare la responsabilità di un soggetto in ordine ai reati ascrittigli, ovvero a quelli legittimanti una misura cautelare personale. Nel primo caso per indizi si intendono le prove logiche, attraverso le quali da un fatto certo si risale, per massime di comune esperienza, ad uno incerto, mentre nel secondo caso la parola «indizi» fa riferimento anche alle prove dirette che, al pari di quelle indirette, devono essere tali da far apparire probabile la responsabilità dell'indagato in ordine al fatto o ai fatti per i quali si procede. L'indizio richiesto dall'art. 273 c.p.p. ai fini dell'adozione di misura cautelare non coincide con quello di cui all'art. 192 comma secondo stesso codice che indica i criteri di valutazione della prova logica indiziaria, in quanto la prima di tali disposizioni non richiede anche l'univocità e la convergenza dei dati indizianti, bensì soltanto la gravità di essi. Il concetto di gravità dell'indizio non può identificarsi con quello di sufficienza da cui si distingue sia qualitativamente, sia quantitativamente in quanto postula l'obiettiva precisione dei singoli elementi indizianti che, nel loro complesso, debbono essere, per la loro convergenza, tali da consentire di pervenire a un giudizio che, pur senza raggiungere il grado di certezza richiesto per la condanna, sia di alta probabilità dell'attribuibilità del reato all'indagato.

(massima n. 3)

L'ordinanza emessa dal tribunale in sede di riesame del sequestro probatorio (artt. 257 e 324 c.p.p.) deve seguire lo schema formale di motivazione previsto dall'art. 125, comma terzo, c.p.p. costituisce parte integrante della motivazione del provvedimento l'esposizione degli elementi di fatto ritenuti e posti a fondamento del giudizio, alla quale deve rifarsi la Corte di cassazione per esercitare il controllo di legittimità sull'adeguatezza, congruità e logicità della motivazione del provvedimento impugnato, essendole inibito di accedere alla consultazione degli atti al fine di verificare la carenza o illogicità della motivazione. Ove tale ricostruzione manchi o risulti frammentaria, tanto da non rendere intellegibile l'esatto contorno storico e processuale della vicenda, la Corte viene posta nella impossibilità di esplicare correttamente il suo ruolo di pura legittimità. Ne consegue la nullità del provvedimento. In particolare, nel provvedimento deve essere indicata l'ipotesi concreta del reato per cui si procede, sia pure sinteticamente e con l'approssimazione che lo stato delle indagini permette, non essendo sufficiente la sola indicazione degli articoli di legge, e ciò al fine di stabilire la relazione esistente tra la cosa sequestrata ed il reato per consentire al giudice dell'impugnazione di valutarne la sussistenza e la legittimità.

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