Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 5573 del 13 maggio 1998

(2 massime)

(massima n. 1)

Il segno di croce apposto in calce all'atto da parte dell'analfabeta è un semplice elemento grafico convenzionale indicante che una persona non sa scrivere, e, non essendo idoneo ad individuare l'autore, non può costituire equipollente della sottoscrizione, con la conseguenza che deve ritenersi inoperante la funzione stessa dell'autenticazione. Pertanto, mentre va esclusa, nei riguardi dell'analfabeta, l'applicabilità dell'art. 110, terzo comma c.p.p, che si riferisce alla persona che non è in grado di scrivere per causa diversa dall'analfabetismo, deve, altresì, escludersi l'applicabilità dell'art. 39 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, che conferisce al difensore il mero potere di autenticazione della sottoscrizione e non anche quello di formazione dell'atto di nomina che, nel caso specifico, deve necessariamente essere ricevuto dal pubblico ufficiale a ciò autorizzato, ai sensi dell'art. 96, comma 2, c.p.p., con la conseguenza dell'inammissibilità dell'impugnazione proposta dall'analfabeta il cui «crocesegno» sia stato autenticato dal difensore, del quale ultimo difetta la legittimazione alla proposizione del gravame.

(massima n. 2)

Lo specifico mandato ad impugnare previsto dall'art. 571, comma 3, c.p.p., nel caso di sentenza contumaciale, non può considerarsi validamente conferito mediante un atto recante, come sottoscrizione, il solo segno di croce, ancorché seguito da autenticazione da parte del difensore.

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