Cassazione civile Sez. Lavoro sentenza n. 4720 del 22 maggio 1996

(2 massime)

(massima n. 1)

L'interpretazione dell'effettivo contenuto dell'atto di appello (rimessa istituzionalmente al giudice di merito nell'esercizio di un potere insindacabile in sede di legittimità se correttamente e congruamente motivato) deve avvenire non solo in base alla sua letterale formulazione ma tenendo conto delle sostanziali finalità che la parte intende perseguire, quali correttamente possono ritenersi compendiate e chiarite nelle specifiche conclusioni delle quali l'atto risulti corredato. (Nella specie, accolta dal pretore una domanda nei confronti dell'Inail diretta alla costituzione di rendita da infortunio, l'istituto nell'impugnare la sentenza aveva contestato la sussistenza di postumi indennizzabili e chiesto il rigetto della domanda previo rinnovo della c.t.u., deducendo altresì, per la prima volta in appello, che non si erano verificati aggravamenti rispetto alla misura dell'inabilità, concordemente valutata in sede di collegiale medica in percentuale inferiore almeno indennizzabile. Il giudice d'appello - con decisione che la S.C. ha confermato ribadendo il principio di cui alla massima - considerando che l'atto di gravame complessivamente interpretato lo avesse investito comunque della questione della sussistenza di postumi indennizzabili, in quanto requisito rilevante in sé e per sé, a prescindere dalla dedotta mancanza di un aggravamento, aveva disposto il rinnovo della c.t.u. rigettando poi la domanda).

(massima n. 2)

La consulenza tecnica anche quando diventa strumento di accertamento di meri fatti non costituisce un mezzo di prova vero e proprio in quanto ogni accertamento implica, al di là della percezione della realtà, una valutazione fondata sull'applicazione di regole di esperienza tecnica cioè un giudizio e non una semplice testimonianza. Ne consegue che tale mezzo istruttorio, del resto sottratto alla disponibilità delle parti non incorre nel divieto di rinnovazione in grado di appello neanche quando, come nel rito del lavoro, in tale grado operi il divieto di nuove prove.

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