Cassazione penale Sez. II sentenza n. 1526 del 28 settembre 1999

(3 massime)

(massima n. 1)

In tema di durata massima della custodia cautelare per delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale, il termine previsto dall'art. 303, comma primo, lett. a), n. 3, c.p.p. opera solo ove per i delitti in questione siano realizzate le condizioni di pena edittale previste nell'art. 407, comma secondo, lett. a), n. 4, e non sulla base del solo titolo di reato. (Fattispecie relativa a contestazione del delitto di partecipazione ad associazione con finalità di terrorismo ed eversione dell'ordine democratico, previsto dall'art. 270 bis, comma secondo, c.p., punito con pena da quattro ad otto anni di reclusione, relativamente al quale la S.C. ha ritenuto che il termine di durata massima della custodia cautelare nella fase delle indagini preliminari sia di sei mesi e non di un anno, pur prevedendo l'art. 303 citato quest'ultimo termine in presenza di pena edittale massima superiore nel massimo a sei anni: e ciò sia sul rilievo che l'art. 407, comma secondo, lett. a è da intendere recepito integralmente, e non solo con riferimento al nomen juris, nell'art. 303, comma primo, lett. a n. 3 del codice di rito, sia perché, nel dubbio interpretativo, il favor libertatis impone di scartare un'interpretazione in malam partem). Non risultano precedenti.

(massima n. 2)

In tema di incompatibilità, questa non sussiste tra il Gip che ha applicato la misura cautelare in carcere, confermata da collegio diversamente composto in sede di riesame con la concessione degli arresti domiciliari, ed il tribunale del riesame, presieduto dallo stesso giudice, chiamato a decidere della revoca della misura coercitiva (sotto il profilo della cessazione delle esigenze cautelari e, in subordine, dell'applicazione di una misura meno afflittiva o del permesso di allontanarsi dal proprio domicilio per svolgere attività lavorativa). L'incompatibilità non sussiste non solo per assenza di previsione formale, ma altresì per difetto di interferenza funzionale tra i giudizi espressi, che sono complementari, in quanto riguardano statuizioni successive rese nel medesimo procedimento, ma con oggetto diverso, e, quindi, compatibili in quanto non comportano revisione delle valutazioni svolte in precedenza.

(massima n. 3)

La presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all'art. 275, comma 3, c.p.p., rileva anche in sede di applicazione delle misure cautelari personali non detentive conseguenti alla scarcerazione per decorrenza dei termini massimi della custodia cautelare (art. 307, comma 1, c.p.p.). (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto l'infondatezza del ricorso con il quale si deduceva che la presunzione predetta, per il suo carattere eccezionale, può operare esclusivamente con riferimento alla fase genetica della misura cautelare).

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