Cassazione penale Sez. Unite sentenza n. 30 del 14 dicembre 1995

(4 massime)

(massima n. 1)

Ai fini della configurabilità, sul piano soggettivo, del concorso esterno nel delitto associativo non si richiede, in capo al concorrente, il dolo specifico proprio del partecipe, dolo che consiste nella consapevolezza di far parte dell'associazione e nella volontà di contribuire a tenerla in vita e a farle raggiungere gli obiettivi che si è prefissa, bensì quello generico, consistente nella coscienza e volontà di dare il proprio contributo al conseguimento degli scopi dell'associazione.

(massima n. 2)

Il vizio di manifesta illogicità che, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera e), c.p.p., legittima il ricorso per cassazione, deve risultare dal testo stesso del provvedimento impugnato, il che vuol dire, per un verso, che il ricorrente deve dimostrare, in tale sede, che l'iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e, per altro verso, che questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un'altra interpretazione o di un altro iter, in tesi egualmente corrette sul piano logico. Ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicità. (Fattispecie in tema di impugnazione di provvedimento cautelare).

(massima n. 3)

La circostanza che l'indagato sia (o sia stato) ministro della Repubblica non fa cambiare natura al concorso nell'associazione per delinquere di stampo mafioso che gli sia stato contestato non già per la sua attività di ministro, bensì per la sua attività di uomo di partito, occasionalmente divenuto ministro in un momento della storia di quel concorso. (Fattispecie in tema di competenza, relativamente alla quale la Suprema Corte, alla stregua del principio di cui in massima, ha escluso la competenza funzionale del cosiddetto tribunale dei ministri, per affermare quella del giudice ordinario).

(massima n. 4)

La disposizione di cui all'art. 172, comma 6, c.p.p., secondo cui il termine per il deposito di atti in un ufficio giudiziario «si considera scaduto nel momento in cui, secondo i regolamenti, l'ufficio viene chiuso al pubblico», non opera con riguardo al deposito dei provvedimenti del giudice. (Fattispecie relativa a deposito dell'ordinanza del tribunale del riesame effettuato nell'ultimo giorno utile, dopo la scadenza dell'orario di apertura al pubblico della cancelleria).

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