Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 3089 del 8 marzo 1999

(3 massime)

(massima n. 1)

In tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, relativmente alla individuazione del giudice territorialmente competente a giudicare del reato associativo, data la natura permanente del delitto occorre fare riferimento al luogo in cui ha avuto inizio la consumazione (art. 8, comma terzo, c.p.) e, solo in caso di mancanza di prova sul luogo e sul momento della costituzione dell'organizzazione, possono soccorrere i criteri sussidiari e presuntivi del luogo in cui fu commesso l'ultimo reato-fine concretamente accertato, del luogo di arresto dell'imputato ovvero del luogo di domicilio, residenza o dimora dello stesso (attualmente stabiliti dall'art. 9 c.p.p. del 1988 e, in precedenza, previsti dall'art. 40 c.p.p. del 1930 operante in caso di impossibilitą di determinare la competenza in base ai criteri di cui all'art. 39, comma terzo, siccome modificato dall'art. 1 della legge 8 agosto 1977, n. 534).

(massima n. 2)

In tema di misure cautelari personali, nel caso in cui il Gip abbia rigettato la richiesta di emissione di provvedimento coercitivo per carenza di esigenze cautelari e pur ritenendo sussistenti, nel caso sottoposto al suo esame, gravi indizi di colpevolezza, il tribunale, investito dell'appello proposto dal P.M., deve - al fine di disporre la richiesta misura in accoglimento del gravame - prendere in considerazione tutti gli elementi di cui all'art. 292 c.p.p. e pertanto deve motivare adeguatamente, non solo in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari (oggetto della impugnazione del P.M.), ma anche in ordine alla gią ritenuta configurabilitą dei gravi indizi, della quale l'indagato non aveva alcun interesse a dolersi, essendo stata comunque disattesa, nei suoi confronti, la richiesta di applicazione della misura cautelare. (Fattispecie relativa a rigetto di ricorso del P.M., che aveva denunciato violazione del principio devolutivo dell'appello, un quanto il tribunale, investito del gravame con riferimento alla ritenuta carenza di esigenze cautelari, aveva esteso la sua cognizione anche alla valutazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza).

(massima n. 3)

In virtł del principio di territorialitą della legge penale di cui al secondo comma dell'art. 6 c.p., il reato si considera commesso nel territorio dello Stato anche quando l'azione o l'omissione, che ne costituisce la condotta, si č ivi realizzata soltanto in parte, dovendosi tale termine intendersi in senso naturalistico, come un momento dell'iter criminoso che, considerato unitariamente ai successivi atti compiuti all'estero, viene a integrare un'ipotesi di delitto tentato o consumato. Pertanto, con riferimento al reato di associazione per delinquere di tipo mafioso, l'adesione al sodalizio criminoso che si č formato e ha operato in Italia, integra partecipazione a un reato commesso nel territorio dello Stato anche se l'aderente materialmente rimanga sempre all'estero, ove la sua condotta di partecipazione all'associazione si sia svolta per intero, con l'apporto di contributi apprezzabili alla organizzazione.

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