Cassazione civile Sez. I sentenza n. 2603 del 14 aprile 1986

(2 massime)

(massima n. 1)

Ai sensi del novellato art. 234 in correlazione al precedente art. 232 c.c. nell'ipotesi di figlio nato dopo i trecento giorni dall'annullamento, dallo scioglimento o dalla cessazione degli effetti civili del matrimonio, ovvero ancora dall'autorizzazione data ai coniugi di vivere separati, si presume l'illegittimità del figlio medesimo, con la conseguenza che, ai fini dell'onere della prova, nell'azione di disconoscimento della paternità, non spetta al marito provare (oltre la separazione) la mancanza assoluta di rapporti intimi, sibbene alla moglie, che si oppone al disconoscimento, dimostrare che vi è stata riunione temporanea, con possibilità di incontri intimi e quindi della copula fecondatrice.

(massima n. 2)

Le norme di diritto transitorio dell'art. 229 della L. 19 maggio 1985, n. 151, secondo cui le disposizioni sul disconoscimento di paternità si applicano anche ai figli nati prima dell'entrata in vigore della legge medesima, comporta che, fermo restando lo status di figlio legittimo acquistato alla stregua del diritto previgente, gli strumenti atti a rimuovere detto status e i requisiti sostanziali per operarne la rimozione non sono quelli del tempo in cui l'azione è stata proposta, sibbene quelli del tempo della decisione. Conseguentemente la fattispecie del figlio nato dopo decorsi trecento giorni dall'autorizzazione presidenziale ai coniugi di vivere separatamente — che non dispensava il presunto padre dall'onere di provare la fisica impossibilità di coabitazione con la moglie all'epoca del concepimento secondo la vecchia legge, mentre, secondo la disciplina vigente, costituisce addirittura un caso di esclusione della presunzione di concepimento durante il matrimonio — per effetto della norma transitoria dell'art. 229 citato, può essere considerata come un'ipotesi di disconoscimento della legittimità del rapporto di filiazione per mancata coabitazione dei coniugi (art. 235, n. 1, c.c.), con un rovesciamento dell'onere della prova alla stregua della disciplina dettata dal nuovo testo dell'art. 234 c.c.

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