Cassazione civile Sez. III sentenza n. 19059 del 5 settembre 2006

(2 massime)

(massima n. 1)

Nel processo di espropriazione forzata mobiliare presso terzi la dichiarazione del terzo ex art. 547 c.p.c. è preordinata all'individuazione della cosa assoggettata ad espropriazione, se essa è positiva il processo di esecuzione può procedere verso l'ordinario esito della vendita o dell'assegnazione della cosa (art. 552 c.p.c.), non profilandosi la necessità del giudizio di accertamento dell'obbligo sul medesimo incombente ex art. 549 c.p.c., la cui funzione è di pervenire — attraverso l'accertamento giudiziale del diritto del debitore — a quella medesima individuazione. Non può considerarsi positiva una dichiarazione sostanziantesi nell'indicazione che la cosa oggetto di pignoramento risulta già costituita in pegno in favore di altri, giacché essa realizza il duplice effetto di rendere il creditore procedente edotto della circostanza che il bene oggetto del pignoramento è in realtà indisponibile, e di rendergli opponibile il contratto di pegno. Ne consegue che in presenza di una siffatta dichiarazione del terzo, il creditore pignorante non può limitarsi a meramente contestare la sussistenza della prelazione in una con l'efficacia verso i terzi dell'atto costitutivo del pegno, ma è tenuto, a pena di estinzione del procedimento ex art. 630 c.p.c., a promuovere l'incidentale ed autonomo giudizio di cognizione ex artt. 548 e 549 c.p.c., che anzi è unico legittimato a richiedere, in quanto solo in senso approssimativo esso ha ad oggetto il diritto di credito del debitore esecutato verso il terzo debitore, tenuto conto che il diritto di credito pignorato si «autonomizza» al momento in cui viene effettuato il pignoramento mediante la notificazione dell'atto ex art. 543 c.p.c., giacché pur essendo esso volto ad ottenere dal terzo debitore l'adempimento che costui doveva all'escusso, il creditore esecutante non agisce in nome e per conto di quest'ultimo (come chi esercita l'azione surrogatoria) né chiede di sostituirsi nella relativa posizione di (originario) creditore, bensì agisce iure proprio e nei limiti del proprio interesse. A domandare l'istruzione della causa di accertamento in questione non è invece legittimato il debitore esecutato che si veda contestata o non riconosciuta da parte del terzo l'esistenza di un suo credito, non potendo proporre nella sede esecutiva una domanda concernente l'esistenza non già del credito pignorato bensì del proprio credito verso il terzo qual esso è nel momento in cui il processo si svolge ( e pertanto concernente oggetto diverso da quello proprio del giudizio ex art. 548 c.p.c. ), che ben può proporre in un diverso, autonomo e separato processo.

(massima n. 2)

Nel rapporto tra le parti, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2786, primo comma e 2787, terzo comma, c.c., il pegno è validamente costituito con la sola consegna della cosa senza la necessità di alcuna formalità, la forma scritta e l'identificazione del credito garantito e dei beni assoggettati alla garanzia essendo necessari per la prelazione, cioè per rendere opponibile la garanzia agli altri creditori del datore di pegno. Allo stesso modo, quando il pegno è costituito da un terzo, il mancato rispetto delle condizioni necessarie per il sorgere della prelazione giova agli altri creditori del terzo datore, ai quali la garanzia pignoratizia è quindi inopponibile, non già agli altri creditori del debitore garantito. In quanto non richiesto ad substantiam il requisito della forma scritta può considerarsi sussistente in presenza di documento o atto idoneo che sia autentico ed idoneo a dimostrare l'esistenza del diritto fatto valere in giudizio, ovvero a documentare il rapporto negoziale o a far desumere, contro il dichiarante, la prova del contenuto e dei limiti del contratto verbale concluso tra le parti: ne consegue che è idoneo ad integrare detto requisito il verbale dell'udienza avanti al giudice dell'esecuzione, ove è raccolta la dichiarazione resa dal terzo ai sensi dell'art. 547 c.p.c. Inoltre, dando luogo a mera inopponibilità, la mancanza dell'atto scritto - cosi come della datazione - non può essere rilevata d'ufficio dal giudice, ed integrando una eccezione - in senso stretto - dev'essere prospettata con l'osservanza, a pena di decadenza, delle norme stabilite dall'art. 183 c.p.c. (nel testo novellato dalla legge n. 353 del 1990), e dunque non per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni.

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