Cassazione penale Sez. V sentenza n. 23227 del 27 maggio 2003

(1 massima)

(massima n. 1)

L'art. 136 del D.L.vo 1 settembre 1993, n. 385 (relativo al fatto di chi, esercitando funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso una banca, contragga obbligazioni con lo stesso istituto di credito, in mancanza di apposita deliberazione dell'organo di amministrazione), non può ritenersi abrogato a seguito dell'entrata in vigore del D.L.vo 11 aprile 2002, n. 61, che ha radicalmente modificato l'art. 2624 c.c. al quale lo stesso art. 136 rinvia, ancora oggi, ai fini dell'individuazione della pena da irrogare. Ed, infatti, tale rinvio non è quoad poenam, sì che possa essere recepito il diverso trattamento sanzionatorio previsto dalla novella, nonostante il nuovo art. 2624 abbia introdotto una tipologia di reato (Falsità nelle relazioni e nelle comunicazioni delle società di revisione) radicalmente diversa dalla precedente fattispecie (Prestiti e garanzie della società), oggi non più penalmente rilevante. Ne consegue che la pena prevista dalla vecchia formulazione del menzionato art. 2624 c.c., che presentava tratti di analogia con la fattispecie di reato di cui all'art. 136 (tanto da giustificare l'identità di trattamento sanzionatorio) deve intendersi come trascritta nel testo di quest'articolo, il cui precetto continua, dunque, ad essere sanzionato con la pena congiunta della reclusione e della multa, così come in precedenza previsto, e non già con la pena dell'arresto, di cui al novellato art. 2624, comma primo.

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