Cassazione civile Sez. I sentenza n. 7554 del 6 giugno 2000

(2 massime)

(massima n. 1)

È nulla la clausola dell'atto costitutivo di una società in accomandita semplice, la quale preveda la necessità del consenso scritto di tutti i soci per una determinata serie di atti, in violazione dell'articolo 2320 c.c., che istituisce una necessaria correlazione tra potere economico e rischio economico nell'interesse non solo dei soci e dei creditori ma, in generale, di un responsabile esercizio dell'attività d'impresa. (Il testo della clausola era il seguente: «L'uso della firma sociale e la legale rappresentanza della società di fronte ai terzi e in giudizio spettano al socio accomandatario... Egli può compiere tutti gli atti che rientrano nell'oggetto sociale... ad eccezione dei seguenti atti: a) nomina e revoca di procuratori della società per i quali occorre il consenso scritto di tutti i soci; b) acquisto, permuta di beni immobili, stipulazione di contratti di locazione di immobili per durata ultranovennale, costituzione di diritti reali su beni immobili, determinazione dei prezzi di vendita dei beni immobili, stipulazione di contratti di appalto, rilascio di avalli e fideiussioni in nome della società a favore di terzi, per tutti i quali occorre la firma congiunta del socio accomandatario e di un procuratore della società ovvero — in mancanza del medesimo — il preventivo consenso scritto di tutti i soci»).

(massima n. 2)

Nella società in accomandita semplice, il socio accomandante che compie atti della gestione sociale incorre a norma dell'articolo 2320 c.c. nella decadenza dalla limitazione di responsabilità, e ciò anche qualora si tratti di atti di gestione interna senza concorrere alla estrinsecazione esterna della volontà dell'ente societario e senza entrare in rapporto con i terzi nella conclusione dell'affare; pertanto, ai sensi dell'articolo 1471. fall., il fallimento della società in accomandita semplice va esteso anche all'accomandante che si sia ingerito nell'amministrazione della società. (Nella specie, in applicazione di tale principio la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito che aveva respinto l'opposizione alla dichiarazione di fallimento di soci accomandanti, i quali, in forza di clausola dell'atto costitutivo dichiarata nulla ex officio, avevano previamente autorizzato il compimento di un atto di amministrazione).

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