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Il bambino non vaccinato non può frequentare la scuola dell’infanzia

Sanità - -
Il bambino non vaccinato non può frequentare la scuola dell’infanzia
Secondo il T.A.R. Abruzzo prevale l’interesse pubblico alla tutela della salute della collettività e della comunità scolastica.
Con l’ordinanza n. 41 del 23 febbraio 2019, il T.A.R. Abruzzo, Sez. I, si è pronunciato sulla dibattuta questione dell’ammissione a scuola dei bambini non sottoposti a vaccinazioni obbligatorie.
Com’è noto, il D.L. n. 73/2017, convertito nella L. n. 119/2017, ha reso obbligatorie alcune vaccinazioni per i minori di età compresa tra zero e sedici anni, al dichiarato fine “di assicurare la tutela della salute pubblica e il mantenimento di adeguate condizioni di sicurezza epidemiologica in termini di profilassi e di copertura vaccinale”, oltre che al fine del “rispetto degli obblighi assunti a livello europeo ed internazionale”.
Ai sensi dell’art. 3, comma 3, del citato decreto - legge, la presentazione della documentazione comprovante l’avvenuto assolvimento dell’obbligo vaccinale “costituisce requisito di accesso” dei minori ai servizi educativi per l'infanzia e alle scuole dell'infanzia, ivi incluse quelle private non paritarie.
Nel caso in esame, una bambina era stata esclusa dalla frequenza della scuola dell’infanzia, con provvedimento del Dirigente Scolastico, proprio per la mancanza delle vaccinazioni obbligatorie per legge.
Il T.A.R., con l’ordinanza in commento, ha respinto il ricorso proposto, in via cautelare, dai genitori della minore, riaffermando il principio di legge secondo cui le vaccinazioni obbligatorie costituiscono requisito di accesso alla scuola dell’infanzia e, quindi, la mancata effettuazione delle stesse, oltre a comportare conseguenze sanzionatorie nei confronti dei genitori, preclude la frequenza della scuola da parte dei minori che non siano vaccinati secondo le previsioni del calendario ministeriale vaccinale.
Quanto al presupposto del fumus boni iuris, il tribunale amministrativo ha precisato che la presentazione all’istituto scolastico della formale richiesta delle vaccinazioni obbligatorie alla A.S.L. competente, quale documento alternativo al certificato vaccinale, è prevista dall’art. 3 del D.L. 73/2017 come documentazione idonea ai soli fini dell’“atto di iscrizione”.
Il T.A.R. ha peraltro smentito la tesi dei genitori ricorrenti, i quali avevano dedotto una presunta mancata risposta della A.S.L. alla propria formale richiesta di vaccinazione: infatti dalla documentazione depositata in giudizio risultava che la A.S.L. li aveva convocati, a mezzo lettera raccomandata, per fornire le informazioni necessarie ai vaccini, precisando, altresì, che le vaccinazioni avrebbero potuto comunque essere effettuate presso gli ambulatori.
Nella fattispecie in esame il T.A.R. ha escluso anche la sussistenza del secondo presupposto di legge per l’accoglimento della domanda cautelare, ovvero del c.d. periculum in mora (il pregiudizio grave ed irreparabile che potrebbe verificarsi durante i tempi ordinari di un processo).
Infatti nell’ordinanza si legge che “il legislatore, a fronte dei due interessi contrapposti, quali il diritto alla frequenza della scuola dell’infanzia ed il diritto alla salute pubblica, perseguito attraverso il raggiungimento di un livello di sicurezza epidemiologica ovvero della c.d. “immunità di gregge” ha inteso privilegiare quest’ultimo, anche a tutela di quei minori che, per particolari situazioni patologiche, non hanno la possibilità di vaccinarsi”.
Inoltre - aggiunge il T.A.R. Abruzzo - sia il diritto all’educazione del minore, sia il pregiudizio economico prospettato dalla madre (derivante dalla ridotta capacità di svolgere la propria attività lavorativa a causa della necessità di accudimento della bambina, esclusa dal servizio scolastico) sono “recessivi” a fronte del preminente interesse pubblico alla tutela della salute della collettività e della comunità scolastica, ed a fronte dell'interesse della stessa bambina non vaccinata.
In proposito, l’ordinanza del T.A.R. richiama espressamente i principi espressi dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 258 del 1994. In quella sede la Consulta ebbe modo di affermare che l’art. 32 della Costituzione postula “il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto negativo di non assoggettabilità a trattamenti sanitari non richiesti od accettati) con il coesistente e reciproco diritto di ciascun individuo (sentenza 1994 n. 218 ) e con la salute della collettività (sentenza 1990 n. 307); nonché, nel caso in particolare di vaccinazioni obbligatorie, "con l'interesse del bambino", che esige "tutela anche nei confronti dei genitori che non adempiono ai compiti inerenti alla cura del minore" (sentenza 132/1992). Su questa linea si è ulteriormente precisato che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l'art. 32 della Costituzione”.


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