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Articolo 656 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 477)

[Aggiornato al 11/01/2024]

Esecuzione delle pene detentive

Dispositivo dell'art. 656 Codice di procedura penale

1. Quando deve essere eseguita una sentenza di condanna a pena detentiva, il pubblico ministero emette ordine di esecuzione con il quale, se il condannato non è detenuto, ne dispone la carcerazione. Copia dell'ordine è consegnata all'interessato.

2. Se il condannato è già detenuto, l'ordine di esecuzione è comunicato al Ministro di grazia e giustizia e notificato all'interessato.

3. L'ordine di esecuzione contiene le generalità della persona nei cui confronti deve essere eseguito e quant'altro valga a identificarla, l'imputazione, il dispositivo del provvedimento e le disposizioni necessarie all'esecuzione nonché l’avviso al condannato che ha facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa. L'ordine è notificato al difensore del condannato(12).

3-bis. L'ordine di esecuzione della sentenza di condanna a pena detentiva nei confronti di madre di prole di minore età è comunicato al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo di esecuzione della sentenza(1).

4. L'ordine che dispone la carcerazione è eseguito secondo le modalità previste dall'articolo 277.

4-bis. Al di fuori dei casi previsti dal comma 9, lett. b), quando la residua pena da espiare, computando le detrazioni previste dall'articolo 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354, non supera i limiti indicati dal comma 5, il pubblico ministero, prima di emettere l'ordine di esecuzione, previa verifica dell'esistenza di periodi di custodia cautelare o di pena dichiarata fungibile relativi al titolo esecutivo da eseguire, trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza affinché provveda all'eventuale applicazione della liberazione anticipata. Il magistrato di sorveglianza provvede senza ritardo con ordinanza adottata ai sensi dell'articolo 69 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. La presente disposizione non si applica nei confronti dei condannati per i delitti di cui all'articolo 4 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354(2).

4-ter. Quando il condannato si trova in stato di custodia cautelare in carcere il pubblico ministero emette l'ordine di esecuzione e, se ricorrono i presupposti di cui al comma 4-bis, trasmette senza ritardo gli atti al magistrato di sorveglianza per la decisione sulla liberazione anticipata(2).

4-quater. Nei casi previsti dal comma 4-bis, il pubblico ministero emette i provvedimenti previsti dai commi 1, 5 e 10 dopo la decisione del magistrato di sorveglianza(3).

5. Se la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non è superiore a tre anni, quattro anni nei casi previsti dall’articolo 47 ter, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, o sei anni nei casi di cui agli articoli 90 e 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, il pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi 7 e 9, ne sospende l'esecuzione. L'ordine di esecuzione e il decreto di sospensione sono notificati al condannato e al difensore nominato per la fase dell'esecuzione o, in difetto, al difensore che lo ha assistito nella fase di giudizio, con l'avviso che entro trenta giorni può essere presentata istanza, corredata dalle indicazioni e dalla documentazione necessarie, volta ad ottenere la concessione di una delle misure alternative alla detenzione di cui agli articoli 47, 47 ter e 50, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, e di cui all'articolo 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, ovvero la sospensione dell'esecuzione della pena di cui all'articolo 90 dello stesso testo unico. L'avviso informa altresì che, ove non sia presentata l'istanza o la stessa sia inammissibile ai sensi degli articoli 90 e seguenti del citato testo unico l'esecuzione della pena avrà corso immediato(4). Con l’avviso il condannato è informato che ha facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa e che, se il processo si è svolto in sua assenza, nel termine di trenta giorni dalla conoscenza della sentenza può chiedere, in presenza dei relativi presupposti, la restituzione nel termine per proporre impugnazione o la rescissione del giudicato(13).

6. L'istanza deve essere presentata dal condannato o dal difensore di cui al comma 5 ovvero allo scopo nominato al pubblico ministero, il quale la trasmette, unitamente alla documentazione, al tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero. Se l'istanza non è corredata dalla documentazione utile questa, salvi i casi di inammissibilità può essere depositata nella cancelleria del tribunale di sorveglianza fino a cinque giorni prima dell'udienza fissata a norma dell'art. 666, comma 3. Resta salva, in ogni caso, la facoltà del tribunale di sorveglianza di procedere anche d'ufficio alla richiesta di documenti o di informazioni, o all'assunzione di prove a norma dell'articolo 666, comma 5. Il tribunale di sorveglianza decide non prima del trentesimo e non oltre il quarantacinquesimo giorno dalla ricezione della richiesta(5).

7. La sospensione dell'esecuzione per la stessa condanna non può essere disposta più di una volta, anche se il condannato ripropone nuova istanza sia in ordine a diversa misura alternativa, sia in ordine alla medesima, diversamente motivata, sia in ordine alla sospensione dell'esecuzione della pena di cui all'articolo 90 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni.

8. Salva la disposizione del comma 8-bis, qualora l'istanza non sia tempestivamente presentata, o il tribunale di sorveglianza la dichiari inammissibile o la respinga, il pubblico ministero revoca immediatamente il decreto di sospensione dell'esecuzione. II pubblico ministero provvede analogamente quando l'istanza presentata è inammissibile ai sensi degli articoli 90 e seguenti del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, nonché, nelle more della decisione del tribunale di sorveglianza, quando il programma di recupero di cui all'articolo 94 del medesimo testo unico non risulta iniziato entro cinque giorni dalla data di presentazione della relativa istanza o risulta interrotto. A tal fine il pubblico ministero, nel trasmettere l'istanza al tribunale di sorveglianza, dispone gli opportuni accertamenti(6).

8-bis. Quando è provato o appare probabile che il condannato non abbia avuto effettiva conoscenza dell'avviso di cui al comma 5, il pubblico ministero può assumere, anche presso il difensore, le opportune informazioni, all'esito delle quali può disporre la rinnovazione della notifica.

9. La sospensione dell'esecuzione di cui al comma 5 non può essere disposta:

  1. a) nei confronti dei condannati per i delitti di cui all'articolo 4 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, nonché di cui agli articoli 423 bis, 572, secondo comma, 612 bis, terzo comma, 624 bis del codice penale, fatta eccezione per coloro che si trovano agli arresti domiciliari disposti ai sensi dell'articolo 89 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni(7)(8)(11);
  2. b) nei confronti di coloro che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovano in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene definitiva.
  3. [c) nei confronti dei condannati ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall'articolo 99, quarto comma, del codice penale.](9)

10. Nella situazione considerata dal comma 5, se il condannato si trova agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire, e se la residua pena da espiare determinata ai sensi del comma 4-bis non supera i limiti indicati dal comma 5, il pubblico ministero sospende l'esecuzione dell'ordine di carcerazione e trasmette gli atti senza ritardo al tribunale di sorveglianza perché provveda alla eventuale applicazione di una delle misure alternative di cui al comma 5. Fino alla decisione del tribunale di sorveglianza, il condannato permane nello stato detentivo nel quale si trova e il tempo corrispondente è considerato come pena espiata a tutti gli effetti. Agli adempimenti previsti dall'articolo 47 ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, provvede in ogni caso il magistrato di sorveglianza(10).

Note

***DIFFERENZE RISPETTO ALLA FORMULAZIONE PREVIGENTE***
(in verde le modifiche e in "[omissis]" le parti della norma non toccate dalla riforma)


[omissis]
3. L’ordine di esecuzione contiene le generalità della persona nei cui confronti deve essere eseguito e quant’altro valga a identificarla, l’imputazione, il dispositivo del provvedimento e le disposizioni necessarie all’esecuzione nonché l’avviso al condannato che ha facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa. L’ordine è notificato al difensore del condannato.
[omissis]
5. Se la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non è superiore a tre anni, quattro anni nei casi previsti dall’articolo 47-ter, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, o sei anni nei casi di cui agli articoli 90 e 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, il pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi 7 e 9, ne sospende l’esecuzione. L’ordine di esecuzione e il decreto di sospensione sono notificati al condannato e al difensore nominato per la fase dell’esecuzione o, in difetto, al difensore che lo ha assistito nella fase del giudizio, con l’avviso che entro trenta giorni può essere presentata istanza, corredata dalle indicazioni e dalla documentazione necessarie, volta ad ottenere la concessione di una delle misure alternative alla detenzione di cui agli articoli 47, 47-ter e 50, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, e di cui all’articolo 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, ovvero la sospensione dell’esecuzione della pena di cui all’articolo 90 dello stesso testo unico. L’avviso informa altresì che, ove non sia presentata l’istanza o la stessa sia inammissibile ai sensi degli articoli 90 e seguenti del citato testo unico, l’esecuzione della pena avrà corso immediato. Con l’avviso il condannato è informato che ha facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa e che, se il processo si è svolto in sua assenza, nel termine di trenta giorni dalla conoscenza della sentenza può chiedere, in presenza dei relativi presupposti, la restituzione nel termine per proporre impugnazione o la rescissione del giudicato.
[omissis]

__________________

(1) Il comma 3 bis è stato inserito dall'art. 15 bis, comma 2, lettera c) del D.L. 4 ottobre 2018 n. 113, convertito con modificazioni dalla L. 1 dicembre 2018, n. 132.
(2) Tale comma è stato inserito dall’art. 1, comma 1, lett. b), n. 1, del D.L. 1° luglio 2013, n. 78, convertito nella L. 9 agosto 2013, n. 94.
(3) Il presente comma è stato così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. b), n. 2, del D.L. 1° luglio 2013, n. 78, convertito nella L. 9 agosto 2013, n. 94.
(4) La Corte Costituzionale, con la sentenza 2 marzo 2018, n. 4, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 656, comma 5, nella parte in cui si prevede che il pubblico ministero sospende l’esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non superiore a tre anni, anziché a quattro anni.
(5) Tale sesto comma è stato modificato dall'art. 4 comma 1 lett. a) del D.L. 2 ottobre 2018 n. 123,
(6) Comma modificato dall'art. 4-undecies, D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, con decorrenza dal 28 febbraio 2006.
(7) La Corte Costituzionale, con la sentenza 6 aprile 2016, n. 125, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 656, comma 9, lett. a), nella parte in cui stabilisce che non può essere disposta la sospensione dell'esecuzione nei confronti delle persone condannate per il delitto di furto con strappo.
(8) La Corte Costituzionale, con la sentenza 28 aprile 2017, n. 90, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 656, comma 9, lett. a), nella parte in cui non consente la sospensione dell’esecuzione della pena detentiva nei confronti dei minorenni condannati per i delitti ivi elencati.
(9) La presente lettera è stata eliminata dall’art. 1, comma 1, lett. b), n. 3, del D.L. 1° luglio 2013, n. 78, convertito nella L. 9 agosto 2013, n. 94.
(10) Il comma in esame è stato così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. b), n. 4, del D.L. 1° luglio 2013, n. 78, convertito nella L. 9 agosto 2013, n. 94.
(11) La Corte Costituzionale, con sentenza 23 novembre 2022 - 20 gennaio 2023, n. 3 (in G.U. 1ª s.s. 25/1/2023, n. 4), ha dichiarato "l'illegittimità costituzionale dell'art. 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale, nella parte in cui stabilisce che non può essere disposta la sospensione dell'esecuzione nei confronti dei condannati per il delitto di incendio boschivo colposo di cui all'art. 423-bis, secondo comma, del codice penale".
(12) Comma modificato dall'art. 38, co. 1, lett. a) del D.Lgs. n. 150 del 2022 (c.d. "Riforma Cartabia"). La riforma ha introdotto, nell'ordine di esecuzione, l'avviso al condannato della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa.
(13) Comma modificato dall'art. 38, co. 1, lett. a), n. 2) del D.Lgs. n. 150 del 2022 (c.d. "Riforma Cartabia").

Ratio Legis

La norma disciplina l'esecuzione delle pene detentive sotto il profilo dell'attività del pubblico ministero come organo propulsivo dell'esecuzione, del contenuto dell'ordine di esecuzione, delle modalità della sua concreta esecuzione e, nell'osservanza dei principi di razionalità e civiltà giuridica, della sospensione della pena detentiva allorquando ne sussistano le condizioni.

Spiegazione dell'art. 656 Codice di procedura penale

Le norme di cui al libro X si occupano dell’esecuzione penale: ossia, le attività successive alla formazione del giudicato. Dopo aver precisato i provvedimenti suscettibili di essere mandati ad esecuzione (sentenze e decreti irrevocabili) e i soggetti protagonisti di questa fase, il legislatore disciplina l’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali.

Dall’art. 655 del c.p.p. all’art. 664 del c.p.p., il codice regolamenta quelle attività prettamente esecutive che rappresentano una mera ottemperanza al comando contenuto nella decisione irrevocabile. Queste attività, in quanto tali, hanno una natura amministrativa e non giurisdizionale, non avendo un contenuto decisorio in senso stretto ed attitudine a definire il processo. Ecco perché, ai sensi dell’art. 655 del c.p.p., è il pubblico ministero a curare d’ufficio e senza ritardo l’esecuzione dei provvedimenti, non appena gli perviene dalla cancelleria del giudice l'estratto della decisione irrevocabile.

In particolare, l’art. 656 c.p.p. disciplina l’esecuzione delle pene detentive.

A norma del comma 1, quando deve essere eseguita una sentenza di condanna a pena detentiva, il pubblico ministero emette l’ordine di esecuzione: ossia, l’atto che costituisce il titolo esecutivo di una pena detentiva irrogata con sentenza divenuta irrevocabile.

Il comma 3 (come modificato dalla riforma Cartabia, d.lgs. n. 150 del 2022) precisa il contenuto dell’ordine di esecuzione. Nello specifico, l’ordine deve contenere le generalità e quant’altro serva ad identificare il condannato, l’imputazione, il dispositivo del provvedimento e le prescrizioni necessarie all’esecuzione, nonché l’avviso al condannato che ha facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa.

Il comma 1 precisa che, se il condannato non è detenuto, il pubblico ministero, con l’ordine di esecuzione, ne dispone la carcerazione. In tal caso, copia dell’ordine è consegnata personalmente nelle mani dell’interessato. Invece, il comma 2 stabilisce che, se il condannato è già detenuto, l’ordine di esecuzione deve essere comunicato al Ministero di grazia e giustizia e notificato al condannato in carcere.
Inoltre, a norma del comma 3, l’ordine è notificato al difensore del condannato.

A tal riguardo, il comma 5 dell’art. 655 del c.p.p. stabilisce che i provvedimenti del pubblico ministero, di cui è prescritta la notificazione al difensore, sono notificati, a pena di nullità, entro trenta giorni dalla loro emissione, al difensore del condannato (il difensore di fiducia o, in mancanza, quello designato dal pubblico ministero a norma dell’art. 97 del c.p.p.), senza che ciò determini la sospensione o il ritardo dell'esecuzione.

Peraltro, il comma 5 (anch’esso modificato dalla riforma Cartabia) stabilisce che, nel caso di pena detentiva breve (non superiore a tre anni o, nei casi espressamente previsti dal codice, a quattro o sei anni), il pubblico ministero dispone la sospensione dell’esecuzione. In questa ipotesi, il pubblico ministero emette l’ordine di esecuzione ed il decreto di sospensione della pena, i quali sono notificati al condannato e al suo difensore, con una serie di avvisi:
  • l’avviso che, entro trenta giorni, con istanza al pubblico ministero, il condannato può essere richiesta la concessione di una misura alternativa alla detenzione (se l’istanza non è presentata o è inammissibile, l’esecuzione della pena avrà corso immediato);
  • l’avviso che il condannato ha facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa;
  • l’avviso che, se il processo si sia svolto in sua assenza, entro trenta giorni dalla conoscenza della sentenza, il condannato può chiedere la restituzione nel termine per proporre l’ impugnazione o la rescissione del giudicato.

Il comma 6 precisa che l’istanza di misura alternativa deve essere presentata al pubblico ministero, che la trasmette al tribunale di sorveglianza, il quale decide non prima del trentesimo e non oltre il quarantacinquesimo giorno dalla ricezione della richiesta.

Però, la sospensione dell’esecuzione non può esserci nei casi previsti dai commi 7 e 9. Infatti, il comma 7 prevede che la sospensione dell’esecuzione non può essere concessa più di una volta per la medesima condanna. Invece, il comma 9 prende in considerazione una serie di ipotesi in cui la sospensione non può mai essere concessa (ad esempio, nei confronti di coloro che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovano in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene definitiva).

Relazione al D.Lgs. 150/2022

(Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150: "Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari")

1 
L’intervento effettuato, per la parte qui di interesse, dà puntuale attuazione al criterio di delega che impone di avvisare il condannato, nel provvedimento di esecuzione, che, ove si sia proceduto in sua assenza potrà attivare i rimedi previsti, che sono, a seconda dei casi, la remissione nel termine per impugnare o la rescissione del giudicato.
2 
La legge delega detta al legislatore delegato i criteri da rispettare nella previsione della disciplina relativa all’informazione rispetto ai programmi di giustizia riparativa anche in fase di esecuzione della pena.
Al fine di dare attuazione al predetto criterio, sono state introdotte norme specifiche e coordinate nel codice di procedura penale, nel quale sono stati adeguati gli artt. 656 e 660 c.p.p..


Nel comma 3 della prima norma si è infatti previsto che l'ordine di esecuzione debba contenere, oltre alle generalità della persona nei cui confronti deve essere eseguito e quant'altro valga a identificarla, l'imputazione, il dispositivo del provvedimento e le disposizioni necessarie all'esecuzione anche l’avviso al condannato della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa.
Allo stesso modo, nel comma 5 della stessa norma, si prevede che l'ordine di esecuzione, in uno al decreto di sospensione ed il relativo avviso (caso del c.d. ‘libero sospeso’) siano notificati al difensore del condannato, fornendogli la relativa informazione circa la facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa.


Analoga informazione è data nell'ipotesi di cui all'art. 660 c.p.p., per l'ipotesi di esecuzione di una condanna a pena pecuniaria, anche in sostituzione di una pena detentiva.

Massime relative all'art. 656 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 47084/2018

La sospensione dell'esecuzione della pena a norma dell'art. 656 cod. proc. pen. non può essere disposta nei confronti del tossicodipendente o dell'alcooldipendente istante per l'affidamento terapeutico, allorché essa riguardi condanna inflitta per reato ostativo alla sospensione stessa, salvo che, al momento del passaggio in giudicato della sentenza, l'interessato si trovi agli arresti domiciliari disposti ai sensi dell'art. 89 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e l'interruzione del programma in corso possa pregiudicarne il recupero.

Cass. pen. n. 34427/2018

In tema di esecuzione di pene detentive brevi, a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale (v. C. Cost. n. 41 del 2018) dell'art. 656, comma 5, cod. proc. pen., il giudice dell'esecuzione ha il dovere di esaminare la domanda del detenuto di sospensione temporanea dell'ordine di esecuzione relativo a pena superiore a tre anni ma inferiore a quattro e, in presenza degli altri presupposti di legge, di provvedere al ripristino della facoltà del medesimo di proporre, da libero, istanza di misura alternativa, con tempestiva sospensione dell'esecuzione, a condizione che analoga istanza di misura alternativa, proposta dopo l'inizio dell'esecuzione della pena cui l'istanza stessa si riferisce, non sia già stata oggetto di decisione da parte del Tribunale di Sorveglianza.

Cass. pen. n. 11916/2018

In tema di esecuzione di pene detentive brevi, ai fini della sospensione dell'ordine di esecuzione correlata ad un'istanza di affidamento in prova ai servizi sociali ai sensi dell'art. 47, comma 3-bis, ord. pen., il limite edittale cui il pubblico ministero deve fare riferimento per l'emissione dell'ordine di carcerazione ex art. 656, commi 5 e 10, cod. proc. pen. è quello di tre anni, essendo rimessa al Tribunale di sorveglianza ogni valutazione circa l'istanza di affidamento in prova nel caso di pena espianda, anche residua, non superiore ad anni quattro. (In motivazione la Corte ha osservato che l'art. 1, commi 82 e 85, della legge 23 giugno 2017, n. 103, recante "Modifiche al cod. pen., al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario", nel delegare il Governo ad emanare un D.Lgs. di revisione della disciplina concernente le procedure di accesso alle misure alternative, ha ritenuto necessario fissare uno specifico criterio volto a elevare a quattro anni il limite di pena per la sospensione obbligatoria dell'ordine di carcerazione, in tal modo corroborando l'interpretazione dell'art. 656, comma quinto, cod. proc. pen. accolta).

Cass. pen. n. 10786/2018

In tema di misure cautelari, l'irrevocabilità della sentenza di condanna a pena detentiva determina il venir meno della funzione della misura custodiale ed impedisce la rimessione in libertà del condannato garantendo l'esigenza di non creare, anche in caso di sospensione dell'esecuzione disposta ai sensi dell'art. 656, comma 10, cod. proc. pen., una soluzione di continuità tra l'applicazione della misura e l'esecuzione della condanna; ne consegue che è inammissibile l'impugnazione cautelare (nella specie l'appello avverso il rigetto della richiesta di sostituzione della custodia cautelare in carcere) in quanto la definitività del titolo esecutivo apre una fase ontologicamente incompatibile con la verifica demandata al tribunale ordinario a fini cautelari.

Cass. pen. n. 10733/2018

In tema di esecuzione di pene detentive brevi, ai fini della sospensione dell'ordine di esecuzione correlata ad un'istanza di affidamento in prova ai servizi sociali ai sensi dell'art. 47, comma 3-bis, ord. pen., il limite edittale cui il pubblico ministero deve fare riferimento per l'emissione dell'ordine di carcerazione ex art. 656, commi 5 e 10, cod. proc. pen. è quello di tre anni, essendo rimessa al Tribunale di sorveglianza ogni valutazione circa l'istanza di affidamento in prova nel caso di pena espianda, anche residua, non superiore ad anni quattro. (In motivazione la Corte ha precisato che, a seguito della sentenza della C. Cost. n. 41 del 2018, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 656, comma 5, cod. proc. pen. nella parte in cui prevede che il pubblico ministero sospende l'esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggior pena, non superiore a tre anni, anziché a quattro anni, incombe sul giudice dell'esecuzione il dovere di rivalutare i casi ancora pendenti o comunque relativi a situazioni non ancora esaurite).

Cass. pen. n. 57259/2017

In tema di riconoscimento delle sentenze penali emesse in uno Stato membro dell'Unione ai fini dell'esecuzione delle pene detentive, la sospensione dell'ordine di esecuzione di una pena detentiva breve, prevista dall'art. 656, comma 5, cod. proc. pen., non opera nei confronti del condannato che, al momento dell'esecuzione, abbia già scontato una parte della pena nello Stato di condanna.

Cass. pen. n. 25483/2017

Ai fini dell'esecutività di una condanna a pena detentiva, il P.M. è tenuto ad emettere immediatamente ordine di carcerazione e, quando esistano o sopravvengano più condanne per reati diversi, è tenuto altresì a determinare la pena complessiva. Ne consegue che, anche nel caso di concorso di pene detentive brevi, ciascuna delle quali, singolarmente considerata, darebbe luogo a sospensione del provvedimento di carcerazione in vista della possibile applicazione di benefici penitenziari, non viene meno l'obbligo di provvedere al cumulo, con l'ulteriore conseguenza che, unificata la pena, ove questa risulti superiore ai limiti di legge cui è subordinata la concessione delle misure alternative richiedibili, la sospensione dell'esecuzione prevista dall'art. 656 cod. proc. pen., come modificato dalla legge n. 165 del 1998 non può essere più disposta.

Cass. pen. n. 1452/2017

In tema di esecuzione delle pene brevi, il divieto sancito dall'art. 656, comma nono, lett. a) cod. proc. pen. di sospensione dell'ordine di esecuzione comprendente taluno dei delitti di cui all'art. 4 bis ord. pen., opera anche quando la responsabilità per il reato ostativo sia stata ritenuta a titolo di concorso anomalo, ex art. 116 cod. pen. (In motivazione la Corte ha aggiunto che la configurazione del concorso anomalo come forma di partecipazione dolosa - e non colposa - esclude profili di irragionevolezza che possano postulare l'illegittimità costituzionale degli artt. 656, comma nono, cod. proc. pen., 4 bis ord. pen. e 116, cod. pen. in relazione agli artt. 3 e 27, comma primo, Cost.).

Cass. pen. n. 17045/2015

La sospensione dell'ordine di esecuzione previsto dall'art. 656 c.p.p., funzionalmente preordinata al possibile conseguimento di una misura alternativa alla detenzione, se già disposta con riguardo ad alcuna delle condanne oggetto di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti, non può essere reiterata in relazione a successivo provvedimento che inglobi il precedente, qualora l'istanza di misura alternativa presentata a seguito dell'originaria sospensione sia stata rigettata, a nulla rilevando che la pena complessiva risultante dal cumulo rientri nei limiti previsti per disporre la sospensione. (In motivazione, la Corte ha precisato che l'art. 656 c.p.p., comma settimo, con l'espressione "stessa condanna" si riferisce anche ad una soltanto delle condanne comprese nel cumulo, poiché questo istituto comporta la contemporanea esecuzione di tutti i titoli esecutivi come se fossero riferibili ad un'unica pronuncia, e, quindi, preclude la separata esecuzione delle singole condanne, al fine di consentire che delle stesse, autonomamente considerate, si possa sospendere l'esecuzione).

Cass. pen. n. 4971/2015

Nei confronti del condannato che ha già beneficiato della sospensione dell'esecuzione della pena ex art. 656 c.p.p. e che non ha avanzato la richiesta di misura alternativa, il pubblico ministero deve disporre una ulteriore sospensione dell'esecuzione, quando sussistono le condizioni previste dall'art. 1, L. 26 novembre 2010, n. 199, per consentire al magistrato di sorveglianza di decidere se la pena vada eseguita presso il domicilio.

Cass. pen. n. 18441/2013

La presentazione al P.M. dell'istanza di misura alternativa alla detenzione in pendenza della sospensione ex art.656, comma quinto, c.p.p., dell'esecuzione della pena detentiva, può avvenire o mediante materiale deposito dell'atto nella segreteria della Procura della Repubblica o mediante spedizione a mezzo del servizio postale, essendo tuttavia essenziale che essa pervenga alla segreteria stessa entro il termine di trenta giorni, pena la cessazione della sospensione provvisoria suddetta. (In motivazione la Corte ha sottolineato l'inapplicabilità alla disciplina in oggetto della disposizione dettata dall'art. 583 c.p.p. per il deposito degli atti di impugnazione).

Cass. pen. n. 104/2013

La prosecuzione degli arresti domiciliari, a seguito del passaggio in giudicato della condanna ed in costanza della sospensione dell'esecuzione ai sensi dell'art. 656, comma decimo, c.p.p., non preclude la misura alternativa dell'espulsione ex art. 5 d.l.vo n. 286 del 1998.

Cass. pen. n. 43117/2012

Non può essere disposta la sospensione dell'esecuzione della pena detentiva irrogata per il delitto di violenza sessuale, ai sensi dell'art. 656, comma nono, c.p.p., che, a tal fine, richiama le fattispecie indicate dall'art. 4 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, mediante un rinvio formale, il quale recepisce tutte le modifiche incidenti nel tempo su quest'ultima disposizione

Cass. pen. n. 10537/2012

Il divieto di sospensione dell'esecuzione della pena previsto dall'art. 656, comma nono, c.p.p. non è applicabile nel caso di condanna per l'ipotesi attenuata del delitto di violenza sessuale, di cui all'art. 609 bis, ultimo comma, c.p..

Cass. pen. n. 29384/2010

Non può essere disposta la sospensione dell'esecuzione di condanna inflitta per il delitto di violenza sessuale ai sensi dell'art. 656, comma nono, c.p.p., neanche ove sia stata riconosciuta la circostanza attenuante della minore gravità del fatto prevista dal comma terzo dell'art. 609 bis c.p., in quanto la deroga prevista per quest'ultima ipotesi dall'ultima parte dell'art. 4 bis, comma primo "quater", della legge 26 luglio 1975 n. 354 (cosiddetto ordinamento penitenziario) riguarda solo l'accesso ai benefici penitenziari.

Cass. pen. n. 18775/2010

La richiesta di misura alternativa alla detenzione, ai sensi dell'art. 656, comma sesto, c.p.p., deve essere corredata, a pena di inammissibilità, anche se presentata dal difensore, dalla dichiarazione o dalla elezione di domicilio effettuata dal condannato non detenuto. (In motivazione la Corte ha chiarito che il principio non trova applicazione per il condannato latitante o irreperibile)

Cass. pen. n. 3486/2010

Ai fini della deroga al divieto di sospensione dell'esecuzione della pena stabilita per i recidivi reiterati dall'art. 656, comma nono, lett. c), c.p.p., in favore dei condannati tossicodipendenti o alcoldipendenti che abbiano in corso, al momento del deposito della sentenza definitiva, un programma terapeutico di recupero presso i servizi pubblici per l'assistenza ai tossicodipendenti, per sentenza definitiva deve intendersi quella della Corte di cassazione per effetto della quale la condanna sia divenuta irrevocabile.

Cass. pen. n. 41958/2009

La sospensione dell'esecuzione di condanna inflitta per il delitto di atti sessuali con minorenne previsto dall'art. 609-quater c.p. non può essere disposta ai sensi dell'art. 656, comma nono, c.p.p., neanche ove sia stata riconosciuta la circostanza attenuante speciale prevista dal comma quarto della citata disposizione, in quanto la concessione di benefici penitenziari ai condannati per tale delitto è subordinata all'osservazione scientifica e collegiale della personalità condotta per almeno un anno. (Nell'enunciare il principio di cui in massima, la Corte ha anche ritenuto manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 27 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis L. 26 luglio 1975 n. 354, come modificato dalla L. 23 aprile 2009 n. 38, nella parte in cui irrazionalmente discriminerebbe, quanto all'accesso ai benefici penitenziari, i condannati "ex" art. 609-bis e quelli "ex" art. 609-quater c.p. cui sia stata egualmente concessa l'attenuante della minore gravità del fatto)

Cass. pen. n. 41592/2009

L'ordine di esecuzione, emesso dal pubblico ministero senza il contestuale provvedimento di sospensione per pene detentive brevi, non può essere annullato dal giudice dell'esecuzione ma esclusivamente dichiarato temporaneamente inefficace, per consentire al condannato di presentare, nel termine di trenta giorni, la richiesta di concessione di una misura alternativa alla detenzione.

Cass. pen. n. 40548/2009

Il pubblico ministero, nell'emettere l'ordine di esecuzione per pena detentiva e ai fini della determinazione della pena ancora da espiare, deve tenere conto del beneficio dell'indulto, anche se non ancora concesso dal giudice dell'esecuzione.

Cass. pen. n. 28453/2007

Il Tribunale di sorveglianza competente a decidere su richieste di benefici penitenziari avanzate da «collaboratori di giustizia» che abbiano fruito della sospensione obbligatoria dell'esecuzione della pena ai sensi dell'art. 656 c.p.p. va individuato sulla base non del criterio di cui al comma sesto di tale articolo, ma di quello stabilito dalla disposizione speciale di cui all'art. 16 nonies, comma ottavo, D.L. 15 gennaio 1991 n. 8, conv. con modif. in L. 15 marzo 1991 n. 82, e successive modificazioni e integrazioni, in forza del quale deve aversi riguardo al luogo in cui il condannato ha eletto domicilio a norma dell'art. 12, comma terzo bis, del medesimo D.L.

Cass. pen. n. 8152/2007

Il divieto di procedere alla sospensione dell'esecuzione di una pena detentiva breve, previsto dall'art. 656, comma nono, c.p.p., come modificato dalla L. n. 251 del 2005, non opera quando la recidiva prevista dall'art. 99, comma quarto, c.p., sia stata ritenuta in una sentenza diversa da quella in esecuzione.

Cass. pen. n. 24561/2006

Il divieto di sospensione dell'esecuzione previsto dall'art. 656, nono comma, lett. a), per il caso di condanna per taluno dei delitti di cui all'art. 4 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (c.d. Ordinamento penitenziario), non opera quando, trattandosi di delitti indicati in detta seconda disposizione soltanto come reati-fine di un'associazione per delinquere, non vi sia stata condanna per quest'ultimo reato (principio affermato, nella specie, con riguardo a condanna per il solo delitto di violenza sessuale di cui all'art. 609 bis c.p., facente parte, prima della modifica dell'art. 4 bis cit. ad opera dell'art. 15 della legge 6 febbraio 2006, n. 38, di quelli indicati unicamente come reati-fine di un'associazione per delinquere).

Le disposizioni concernenti l'esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione, non riguardando l'accertamento del reato e l'irrogazione della pena, ma soltanto le modalità esecutive della stessa, non hanno carattere di norme penali sostanziali e pertanto (in assenza di una specifica disciplina transitoria), soggiacciono al principio tempus regit actum, e non alle regole dettate in materia di successione di norme penali nel tempo dall'art. 2 c.p., e dall'art. 25 della Costituzione. (In applicazione di tale principio, le Sezioni Unite hanno ritenuto che, in un caso in cui vi era stata condanna per il delitto di violenza sessuale, la sopravvenuta inclusione di tale delitto, per effetto dell'art. 15 della legge 6 febbraio 2006, n. 38, tra quelli previsti dall'art. 4 bis dell'ordinamento penitenziario in quanto tali, e non più soltanto come reati-fine di un'associazione per delinquere, comportasse l'operatività, altrimenti esclusa, dal divieto della sospensione dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 656, nono comma, lett. a), c.p.p., non essendo ancora esaurito il relativo procedimento esecutivo al momento dell'entrata in vigore della novella legislativa).

Cass. pen. n. 4383/2006

La competenza a decidere su richieste di benefici penitenziari avanzate da «collaboratori di giustizia» i quali abbiano titolo a fruire della sospensione obbligatoria dell'esecuzione della pena, ai sensi dell'art. 656 c.p.p. appartiene al tribunale di sorveglianza da individuarsi in base al criterio stabilito dal comma 6 di detto articolo, non potendo, in tale situazione, trovare applicazione il diverso criterio dettato dall'art. 16 nonies del D.L. 15 gennaio 1991 n. 8, conv. con modif. in legge 15 marzo 1991 n. 82, e successive modificazioni e integrazioni, secondo cui è competente il tribunale di sorveglianza del luogo in cui il condannato ha eletto domicilio a norma dell'art. 12, comma 3 bis, del medesimo D.L.

Cass. pen. n. 1888/2006

Il tribunale di sorveglianza competente a decidere su richieste di benefici penitenziari avanzate da «collaboratori di giustizia» i quali abbiano titolo a fruire della sospensione obbligatoria dell'esecuzione della pena, ai sensi dell'art. 656 c.p.p. va individuato sulla base non del criterio stabilito dal comma 6 di tale articolo ma di quello stabilito dalla speciale disposizione normativa costituita dall'art. 16 nonies, comma 8, del D.L. 15 gennaio 1991 n. 8, conv. con modif. in legge 15 marzo 1991, n. 82, e successive modificazioni e integrazioni, secondo cui deve aversi riguardo al luogo in cui il condannato ha eletto domicilio a norma dell'art. 12, comma 3 bis, del medesimo D.L.

Cass. pen. n. 38602/2005

L'art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p., ove si stabilisce il divieto di sospensione dell'esecuzione delle pene detentive brevi nel caso di condanna per taluno dei delitti indicati nell'art. 4 bis della legge n. 354/1975 (c.d. «Ordinamento penitenziario»), tra i quali figura quello di associazione per delinquere finalizzata al compimento di determinati reati, va interpretato, con riguardo a tale ultima ipotesi, nel senso che il divieto non opera quando la condanna sia stata soltanto per taluno di tali reati (nella specie, quello di violenza sessuale di cui all'art. 609 bis c.p.), e non per quello associativo.

Cass. pen. n. 37174/2004

La sospensione automatica dell'esecuzione delle pene detentive brevi è da escludere quando il condannato sia già detenuto in espiazione di altra pena, mentre deve aver luogo, alla stregua del letterale tenore dell'art. 656, comma 9, lett. b), c.p.p., quando egli si trovi in stato di custodia cautelare per fatto diverso da quello per il quale è sopravvenuta la condanna definitiva.

Cass. pen. n. 8720/2004

L'istituto della sospensione della pena, disciplinato dall'art. 656, comma quinto, c.p.p., è ispirato alla ratio di impedire l'ingresso in carcere di coloro che possono aspirare ad uno dei regimi alternativi. Pertanto di esso possono beneficiare solo i condannati che si trovino in stato di libertà e non coloro che, al sopravvenire di un nuovo titolo definitivo, si trovino già detenuti in espiazione di pena per altra causa.

Cass. pen. n. 32747/2003

Il divieto di reiterazione della sospensione dell'esecuzione, previsto dall'art. 656, comma 7, c.p.p., non opera nell'ipotesi in cui il condannato abbia precedentemente fruito soltanto del rinvio dell'esecuzione per ragioni di salute, previsto dall'art. 147 c.p.

Cass. pen. n. 21377/2003

In tema di benefici penitenziari, lo stato di custodia cautelare per causa diversa da quella relativa al titolo da eseguire non è ostativo all'ammissione del condannato a misura alternativa alla detenzione, dovendosi valutare nel merito l'istanza dell'interessato e la compatibilità tra la misura cautelare in atto ed il beneficio richiesto. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio l'ordinanza del Tribunale di sorveglianza che aveva ritenuto inammissibile la richiesta di affidamento in prova proposta da persona sottoposta a misura cautelare).

Cass. pen. n. 12362/2003

La sospensione prevista dall'art. 656, comma 5, c.p.p. non trova applicazione nei confronti dì colui che si trovi già ristretto in carcere in relazione alla medesima sentenza, cui si riferisce l'istanza, in quanto l'esecuzione concerne la pronuncia nella sua interezza e non già i singoli reati oggetto della condanna, neppure se gli stessi non siano stati ritenuti avvinti dal vincolo della continuazione.

Cass. pen. n. 38511/2002

La sospensione dell'ordine di esecuzione delle pene detentive brevi prevista dall'art. 656, comma 5, c.p.p., va disposta anche nei confronti di chi si trovi in stato di custodia cautelare per fatto diverso da quello oggetto della condanna da eseguire, nel momento in cui la relativa sentenza diviene irrevocabile.

Cass. pen. n. 35979/2002

In tema di esecuzione, il termine perentorio di trenta giorni ai fini della presentazione dell'istanza per la concessione della misura alternativa alla detenzione decorre - a seguito delle modifiche dell'art. 656, comma 5, c.p.p. per effetto del D.L. n. 341 del 2000, conv. dalla legge n. 4 del 2001 - dalla valida notifica dell'ordine di esecuzione e del decreto di sospensione al condannato ed al difensore. Ne consegue che è nulla ed improduttiva di effetti la notifica dei suddetti provvedimenti al condannato presso lo studio professionale del difensore, ancorché il condannato abbia ivi eletto domicilio nel procedimento di cognizione in quanto detta elezione vale per ogni stato e grado del giudizio ma dopo la sua conclusione, con la pronuncia della sentenza irrevocabile, cessa di avere efficacia e non è più utilizzabile per la fase esecutiva.

Cass. pen. n. 22479/2002

In tema di esecuzione delle pene brevi, dovendo trovare applicazione il principio della scindibilità del cumulo ogniqualvolta da essa possano derivare conseguenze favorevoli per il condannato, deve ritenersi che il divieto di sospensione dell'esecuzione sancito dall'art. 656, comma 9, lett. a) c.p.p. nel caso di condanna per taluno dei delitti di cui all'art. 4 bis ord. pen., non operi, in presenza di una condanna per delitti uniti per continuazione, allorché la pena residua da espiare sia riferibile soltanto a reato non compreso fra quelli di cui al citato art. 4 bis ord. pen.

Cass. pen. n. 17885/2002

Il divieto di reiterazione, per la stessa condanna, del provvedimento di sospensione dell'esecuzione di cui all'art. 656, comma 7, c.p.p. è principio di validità generale, identificabile nella necessità di evitare che attraverso la presentazione di istanze a catena si possa ottenere indefinitamente il rinvio della concreta espiazione della pena detentiva. Ne consegue che tale limite è applicabile anche alla sospensione dell'esecuzione disposta in base agli artt. 91 e 94 del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309.

Cass. pen. n. 17827/2002

La sospensione dell'esecuzione della pena non è consentita qualora sopravvenga ulteriore titolo esecutivo nei confronti del detenuto in stato di custodia cautelare per il fatto oggetto di esso, a nulla rilevando che la residua pena da espiare, come risultante dal cumulo disposto, rientri nei limiti previsti per la sospensione stessa dall'art. 656, comma 5 c.p.p., in quanto l'obbligatorietà della sua concessione prevista dal successivo comma 10 riguarda esclusivamente il detenuto che si trovi, al momento della condanna da eseguire, agli arresti domiciliari per il fatto oggetto di questa.

Cass. pen. n. 14895/2002

La sospensione dell'esecuzione di pene detentive brevi, che la legge impone fino a quando non sia inutilmente scaduto il termine per l'istanza di concessione delle misure alternative alla detenzione, o non sia intervenuta la decisione del tribunale di sorveglianza sull'istanza eventualmente proposta, opera per effetto del comma 10 dell'art. 656 c.p.p. a favore di tutti coloro che si trovino in stato di arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna, ancorché evasi al momento di passaggio in giudicato della sentenza.

Cass. pen. n. 10050/2002

Il reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, anche quando l'associazione sia costituita al fine di commettere fatti di lieve entità e pertanto soggetta alla disciplina più favorevole di cui all'art. 74, comma 6, del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, rientra comunque tra i delitti di cui all'art. 4 bis dell'ordinamento penitenziario per i quali, ai sensi dell'art. 656, comma 9, lett. a), non è consentita la sospensione dell'esecuzione della pena.

Cass. pen. n. 5597/2002

Il divieto di reiterazione della sospensione dell'esecuzione di pena detentiva per la stessa condanna — previsto dall'art. 656, comma 7, c.p.p., del testo riformato ex art. 1 della legge 27 maggio 1998, n. 165 — è operante anche nei casi in cui la prima sospensione sia stata ottenuta in epoca antecedente all'entrata in vigore della legge di riforma, ed anche se la nuova istanza si fondi su presupposti in precedenza irrilevanti o riguardi una misura non esistente prima della riforma.

Cass. pen. n. 45638/2001

Il divieto di sospensione dell'esecuzione delle pene detentive brevi, previsto dall'art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p. nei confronti di soggetti che siano stati condannati per taluno dei delitti di cui all'art. 4 bis dell'ordinamento penitenziario trova applicazione anche nel caso, previsto dal successivo comma 10 dello stesso articolo 656, in cui il condannato si trovi agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire, atteso che tale circostanza non fa venir meno la ragione del suddetto divieto, costituita dalla presunzione di particolare pericolosità dei soggetti in questione, contrapposta e prevalente rispetto a quella di ridotta pericolosità, in genere, dei condannati a pene detentive brevi, sulla quale si basa la regola della sospensione, nei loro confronti, dell'esecuzione di tali pene.

Cass. pen. n. 36764/2001

In tema di esecuzione, quando la condanna sia stata inflitta per taluno dei delitti di cui all'art. 4 bis dell'ordinamento penitenziario, il divieto di sospensione previsto dall'art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p. deve ritenersi operante anche se il condannato si trovi agli arresti domiciliari, dovendosi considerare il suddetto divieto come preclusivo anche della sospensione prevista dal successivo comma 10 dello stesso art. 656 per i condannati che si trovino agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire.

La sospensione dell'ordine di carcerazione, prevista dall'art. 656 c.p.p. (modificato dal decreto legge 24 novembre 2000 n. 341, convertito nella legge 19 gennaio 2001, n. 4) in favore del condannato che sia ristretto agli arresti domiciliari al momento del passaggio in giudicato della sentenza, non opera nel caso che la condanna riguardi i reati previsti dal comma 9, lett. a), della medesima disposizione (il quale richiama i gravi reati elencati nell'art. 4 bis ord. pen.), atteso che la presunzione di pericolosità, insita nella condanna definitiva pronunciata per alcuno dei detti reati, è presa in considerazione anche dal comma 10, dell'art. 656, senza che possa avere rilievo contrario la valutazione favorevole compiuta dal giudice della cognizione con l'applicazione della misura degli arresti domiciliari.

Cass. pen. n. 32732/2001

Il pubblico ministero ha l'obbligo di procedere alla sospensione dell'esecuzione della pena, quando ricorrono i presupposti stabiliti dal quinto comma dell'art. 656, indipendentemente dalla irreperibilità del condannato, atteso che la norma, volta ad evitare l'esperienza carceraria ad un soggetto che è nelle condizioni per fruire delle misure alternative, prescinde del tutto dal fatto che il soggetto interessato sia o meno reperibile, non potendosi annettere a tale situazione alcun significato circa un'ipotetica volontà di sottrarsi alle conseguenze del reato.

Cass. pen. n. 30786/2001

Il divieto di reiterazione, per la stessa condanna, del provvedimento di sospensione dell'esecuzione in vista dell'eventuale concessione di misure alternative alla detenzione (nella specie: ai sensi degli artt. 90 e 91 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, in materia di programma terapeutico e socio-riabilitativo) è principio di portata generale, applicabile nei confronti del condannato, sia questo in stato di libertà che in stato di detenzione per espiazione pena.

Cass. pen. n. 25919/2001

In tema di esecuzione di pene detentive, quando il condannato si trova agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna, deve essere applicato il decimo comma dell'art. 656 c.p.p. e, nel caso in cui il tribunale di sorveglianza abbia negato l'applicazione della detenzione domiciliare, è preclusa l'operatività della disciplina stabilita dal precedente quinto comma dello stesso articolo, atteso che tale ultima disposizione — che consente la sospensione dell'esecuzione — si applica ai condannati in stato di libertà al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna e la mancata applicazione della detenzione domiciliare esclude implicitamente l'esistenza dei presupposti per l'applicazione di misure alternative meno gravi. (Fattispecie precedente all'entrata in vigore della modifica del decimo comma dell'art. 656 c.p.p. ad opera dell'art. 10 D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito nella L. 19 gennaio 2001, n. 4).

Cass. pen. n. 20989/2001

La sospensione dell'ordine di carcerazione di cui al comma 5 dell'art. 656 c.p.p., come sostituito dall'art. 1 della legge 27 maggio 1998, n. 165, trova applicazione solo quando il condannato, al momento della formazione del giudicato, si trova in libertà, condizione che deriva sia dal non essere mai stato raggiunto da misura cautelare personale sia dalla avvenuta revoca di questa, ma che non può invece ritenersi sussistente quando il soggetto risulti destinatario di un provvedimento di custodia cautelare relativo al fatto per cui è intervenuta condanna, sebbene si trovi di fatto in libertà per essersi volontariamente sottratto all'esecuzione dello stesso o per essere evaso. (Nell'occasione la Corte Suprema ha rilevato che la prevista sospensione si basa su una presunzione di non attualità della pericolosità sociale di cui è indice lo stato di libertà voluto dal giudice e che nel caso del latitante o dell'evaso non è consentito al P.M. sostituire una propria valutazione a quella effettuata dal giudice del processo).

Cass. pen. n. 14996/2001

In tema di esecuzione di pena detentiva nei confronti di condannato che si trovi agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire, l'art. 656, comma 10, c.p.p. (nel testo vigente anteriormente alle modifiche apportate dal decreto-legge 24 novembre 2000, n. 341, convertito nella legge n. 4 del 2001), che attribuisce al pubblico ministero il potere di sospendere l'esecuzione dell'ordine di carcerazione e di trasmettere gli atti al tribunale di sorveglianza per l'eventuale concessione della misura alternativa della detenzione domiciliare, sussistendo le condizioni indicate nel precedente comma 5, non trova applicazione quando ricorrano le condizioni menzionate nel comma 9, e cioè nei confronti dei condannati per i delitti di cui all'art. 4 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, atteso che tra le due disposizioni vi è uno stretto collegamento testuale e che l'interpretazione letterale è sorretta anche da una convergente esegesi adeguata al dato costituzionale, pena la lesione dell'art. 3 Cost., riguardo ai detenuti agli arresti domiciliari, rispetto agli imputati a piede libero. (Fattispecie in tema di condanna per l'art. 628, commi 1 e 3, c.p., per la quale è stato escluso il beneficio).

Cass. pen. n. 8880/2001

Atteso il carattere derogatorio che deve attribuirsi alle disposizioni del comma 9 dell'art. 656 c.p.p. rispetto alla disciplina generale in tema di sospensione dell'esecuzione delle pene detentive brevi contenuta nei commi precedenti, e dovendosi quindi interpretare dette disposizioni con criterio restrittivo, è da escludere che possa essere considerato ostativo alla sospensione il fatto che il condannato si trovi in stato di custodia cautelare in carcere per fatto diverso da quello che forma oggetto della sentenza di condanna da eseguire.

Cass. pen. n. 8498/2001

Alla luce di una interpretazione complessiva e sistematica della disciplina dettata dall'art. 656 c.p.p. deve ritenersi che la sospensione automatica dell'esecuzione della pena sia esclusa quando il condannato sia già detenuto in espiazione di pena per altro titolo ovvero sia in stato di custodia cautelare in carcere per lo stesso fatto al quale si riferisce la condanna da eseguire, dovendosi invece dar luogo alla suddetta sospensione quando il condannato sia in stato di custodia cautelare per fatto diverso, atteso che in tal caso la sua condizione è equiparabile, ai fini dell'operatività dell'istituto in esame, a quella di chi si trovi in stato di libertà.

Cass. pen. n. 4583/2000

In materia di esecuzione di pene detentive, qualora debba trovare applicazione la disciplina dettata dall'art. 656, comma 10, c.p.p. per il caso del condannato che si trovi già in regime di arresti domiciliari relativamente al fatto oggetto della condanna da eseguire, e sia stata quindi disposta la sospensione dell'esecuzione con trasmissione degli atti al tribunale di sorveglianza ai fini dell'eventuale applicazione della detenzione domiciliare (fermo restando, nel frattempo, lo stato detentivo in atto), i provvedimenti interinali che, nell'attesa della decisione del tribunale di sorveglianza, siano stati adottati dal magistrato di sorveglianza, in forza del richiamo all'art. 47 ter dell'ordinamento penitenziario contenuto nell'ultima parte della citata disposizione normativa, sono da ritenere sottratti ad ogni genere di impugnazione.

Cass. pen. n. 2761/2000

Ai sensi dell'art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p., deve escludersi l'operatività della sospensione obbligatoria dell'esecuzione della pena ogni qual volta questa sia stata inflitta per taluno dei delitti previsti dall'art. 4 bis dell'Ordinamento penitenziario; il che trova ragionevole giustificazione — con esclusione, quindi, di ogni dubbio di incostituzionalità — ove si consideri che l'istituto della sospensione obbligatoria si fonda sulla presunzione di una ridotta pericolosità del condannato, quando ricorrano le condizioni di cui al comma 5 del citato art. 656, mentre per i delitti di cui all'art. 4 bis dell'ordinamento penitenziario vige l'opposta — se pur relativa — presunzione di pericolosità.

Cass. pen. n. 2195/2000

La speciale disciplina derogatoria e premiale, prevista in materia di misure alternative alla detenzione dall'art. 13 ter D.L. 15 gennaio 1991 n. 8, convertito in legge 15 marzo 1991 n. 82, per i collaboratori di giustizia, non comporta l'automatico obbligo per il pubblico ministero di sospendere l'esecuzione della pena detentiva, a prescindere dai limiti e dai divieti fissati dall'art. 656, commi quinto e nono, c.p.p., per l'esercizio della relativa potestà sospensiva. (Fattispecie nella quale l'interessato risultava essere stato condannato, per uno dei delitti di cui all'art. 4 bis della legge n. 354 del 1975, alla pena di otto anni di reclusione, onde, a norma dell'art.656, commi quinto e nono, c.p.p., non sussistevano i presupposti per la sospensione dell'esecuzione in attesa della pronuncia del tribunale di sorveglianza sulla domanda di affidamento in prova al servizio sociale proposta).

Cass. pen. n. 2349/2000

L'annullamento dell'ordine di carcerazione da parte del giudice dell'esecuzione non può trovare giustificazione nella circostanza che la pena, rideterminata a seguito della ritenuta continuazione a norma dell'art. 671 c.p.p., sia stata ridotta nei limiti previsti dall'art. 656, comma quinto, stesso codice. E invero la rideterminazione della pena comporta solo l'obbligo di comunicazione all'istituto di detenzione della nuova data di scadenza della pena, ma non può avere come conseguenza l'annullamento di un ordine di carcerazione legittimamente emesso, la sospensione della cui esecuzione può avvenire esclusivamente, ricorrendone i presupposti, a seguito di richiesta di misure alternative alla detenzione.

Cass. pen. n. 2517/2000

La disposizione di cui al quinto comma dell'art. 656 c.p.p. nella parte in cui consente al pubblico ministero di sospendere l'esecuzione della pena, è norma del tutto eccezionale rispetto al principio generale di immediata esecuzione dei giudicati di condanna stabilito dall'art. 665 c.p.p. Ne deriva che essa è di stretta interpretazione, e non è pertanto consentita la sua applicazione in via estensiva ad ipotesi non espressamente previste. (Nella fattispecie: soggetto escluso per il titolo del reato ma che ha collaborato con l'autorità di polizia o con l'autorità giudiziaria).

Cass. pen. n. 440/2000

La disciplina dettata dall'art. 656, comma 10, c.p.p. (secondo cui, sussistendo le condizioni indicate nel precedente comma 5, qualora il condannato si trovi agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire, il pubblico ministero sospende l'esecuzione dell'ordine di carcerazione e trasmette gli atti al tribunale di sorveglianza per l'eventuale concessione della misura alternativa della detenzione domiciliare), non può trovare applicazione nel caso in cui la pena da eseguire sia cumulata con altre; e ciò senza che in contrario possa invocarsi il principio della scindibilità del cumulo ogni qual volta possa da ciò derivare un vantaggio per il condannato, atteso che la sospensione dell'ordine di carcerazione, ai sensi della disposizione normativa sopra citata, è funzionalmente preordinata al possibile conseguimento di una misura alternativa alla detenzione, e una tale misura non può operare su una soltanto delle pene concorrenti, ma esclusivamente sulla pena unica determinata sulla base di tutti i titoli contemporaneamente esecutivi nei confronti del medesimo soggetto.

Cass. pen. n. 1443/2000

Non spetta né al pubblico ministero competente all'emissione dell'ordine di carcerazione per delitti di cui all'art. 4 bis ord. pen., né al giudice dell'esecuzione davanti al quale sia stato proposto incidente, la valutazione, ai fini della sospensione dell'esecuzione, della sussistenza o meno dei requisiti richiesti dalla legge per l'ammissione in via di eccezione del condannato ai benefici penitenziari, essendo tale compito riservato esclusivamente al tribunale di sorveglianza e dovendo l'organo dell'esecuzione limitarsi alla mera constatazione della presenza dei titoli ostativi alla sospensione. (In applicazione di tale principio la Corte ha annullato la decisione del giudice dell'esecuzione il quale, investito dell'incidente avverso il provvedimento del pubblico ministero che aveva negato la sospensione dell'esecuzione a condannato per uno dei delitti di cui all'art. 4 bis ord. pen., aveva concesso la sospensione medesima sul presupposto dell'assenza di collegamenti del reo con la criminalità organizzata).

Cass. pen. n. 6364/2000

L'esclusione della sospensione dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p., nei confronti di chi sia stato condannato per taluno dei delitti previsti dall'art. 4 bis dell'ordinamento penitenziario, è da ritenere operante anche quando trattisi di soggetto ammesso allo speciale programma di protezione previsto per i «collaboratori di giustizia». La suddetta disposizione normativa non contiene, infatti, alcuna deroga analoga a quella prevista, in favore dei medesimi «collaboratori», con riguardo alla sola fruibilità dei benefici penitenziari, dall'art. 13 ter, comma 1, del D.L. 15 gennaio 1991 n. 8, convertito con modifiche in legge 15 marzo 1991 n. 82, né può, d'altra parte, estendersi la sfera di applicabilità di tale ultima disposizione al di fuori della materia strettamente penitenziaria per la quale essa è stata dettata; materia diversa da quella dell'esecuzione, pur se ad essa funzionalmente collegata.

Cass. pen. n. 7061/2000

La legge 27 maggio 1998 n. 165, nel modificare l'art. 656 c.p.p. e l'art. 47 dell'ordinamento penitenziario, con contestuale abrogazione dell'art. 47 bis del medesimo ordinamento, non ha tuttavia abrogato, né esplicitamente né implicitamente, la disciplina, che, per il caso di richiesta di affidamento in prova al servizio sociale da parte di tossicodipendenti o alcoldipendenti, è dettata dal combinato disposto degli artt. 91, comma 4, e 94, comma 2, del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309; disciplina in base alla quale, quando la detta richiesta sia stata presentata dopo l'avvenuta esecuzione dell'ordine di carcerazione, spetta al pubblico ministero disporre la scarcerazione del condannato in attesa della decisione del tribunale di sorveglianza. Deve pertanto escludersi che a tale adempimento, nell'ipotesi data, sia tenuto invece il magistrato di sorveglianza, secondo la regola dettata per l'affidamento in prova ordinario dal novellato art. 47, comma 4, dell'ordinamento penitenziario.

Cass. pen. n. 2658/1999

La disciplina relativa alla sospensione dell'ordine di carcerazione di cui all'art. 656, comma 5, c.p.p., nella formulazione introdotta con la L. 27 maggio 1998 n. 165, può trovare applicazione esclusivamente nei confronti di condannati che non si trovino già detenuti in carcere e quindi non si applica, oltre che nei casi previsti dal comma 9, nei confronti di coloro che al momento dell'esecuzione si trovano in carcere in espiazione pena per fatto oggetto di condanna diversa da quella da eseguire.

Cass. pen. n. 3933/1999

Il termine di trenta giorni concesso al condannato per la presentazione dell'istanza volta ad ottenere una delle misure alternative alla detenzione, così come disposto nel quinto comma dell'art. 656 c.p.p., ha natura processuale. Ne consegue che si applicano le disposizioni in tema di sospensione dei termini processuali nel periodo feriale.

Cass. pen. n. 4476/1999

Alla stregua del testuale tenore dell'art. 656, comma 9, lett. b), c.p.p., è da escludere che il divieto di disporre la sospensione dell'esecuzione della pena operi, oltre che nel caso, ivi espressamente previsto, di condannato che si trovi in stato di custodia cautelare in carcere «per il fatto oggetto della condanna da eseguire», anche in quello di condannato il cui stato di custodia cautelare sia riferibile ad un fatto diverso.

Cass. pen. n. 3007/1999

Allorché rilevi l'esecutività di una condanna a pena detentiva, il P.M. è tenuto ad emettere immediatamente ordine di carcerazione, e, quando esistano o sopravvengano più condanne per reati diversi, è tenuto altresì a determinare la pena complessiva, in ossequio a quanto dispongono le norme del codice penale. Ne consegue che, anche in caso di concorso di pene detentive brevi, ciascuna delle quali, singolarmente considerata, darebbe luogo a sospensione del provvedimento di carcerazione in vista della possibile applicazione di benefici penitenziari, non viene meno l'obbligo di provvedere al cumulo, con l'ulteriore conseguenza che, unificata la pena, ove questa risulti superiore ai limiti di legge cui è subordinata la concessione delle misure alternative richiedibili, la sospensione dell'esecuzione prevista dall'art. 656 c.p.p., come modificato dalla L. n. 165 del 1998 non può essere più disposta.

Cass. pen. n. 3415/1999

Le modifiche introdotte dalla legge n. 165 del 1998 (c.d. legge Simeone) hanno mantenuto inalterata la disciplina delle misure alternative per i tossicodipendenti prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990. Pertanto, quando il condannato proponga istanza di concessione di una delle due misure alternative previste rispettivamente dagli artt. 90 e 94 del medesimo D.P.R. n. 309 del 1990 (sospensione della esecuzione della pena detentiva o affidamento in prova al servizio sociale), il potere di sospensione della esecuzione del pubblico ministero trova fondamento in quanto previsto nei commi 3 e 4 dell'art. 91 del decreto stesso, e non nella nuova formulazione del comma 5 dell'art. 656 c.p.p. Ne deriva che per la sospensione della esecuzione in favore dei tossicodipendenti non si applica la preclusione derivante dal titolo di reato, prevista dallo stesso art. 656, comma 9, lett. a), del codice di rito.

Cass. pen. n. 1739/1999

Poiché l'ordine di carcerazione non deve essere notificato al condannato, ma deve essere eseguito, sono inammissibili tanto censure di nullità della notifica dell'ordine stesso, quanto quelle relative alla violazione dell'art. 656 comma 2 c.p.p., nel testo anteriore alle modifiche introdotte con l'art. 1 della legge 27 maggio 1998 n. 865. Invero, da un lato, la prescritta consegna di copia all'interessato al momento dell'esecuzione è unicamente diretta a mettere il soggetto in grado di attivare tempestivamente le eventuali questioni sul titolo e le altre previste dagli articoli 667 e seguenti del c.p.p.; dall'altro, per il principio di tassatività delle nullità, l'omissione della prevista ingiunzione all'interessato di costituirsi in carcere, in caso di condanna a pena detentiva non superiore a mesi sei, è sfornita di sanzioni e non comporta alcuna conseguenza.

Cass. pen. n. 6356/1999

Il divieto di reiterazione, per la stessa condanna, del provvedimento di sospensione dell'esecuzione in vista dell'eventuale concessione di misure alternative alla detenzione, previsto dall'art. 656, comma 7, c.p.p., nel testo introdotto dall'art. 1 della legge 27 maggio 1998 n. 165, opera — trattandosi di norma processuale e non sostanziale — anche nel caso che la relativa istanza sia stata presentata prima dell'entrata in vigore della citata legge di modifica.

Cass. pen. n. 459/1999

In applicazione del principio tempus regit actum e mancando un'apposita disciplina transitoria, deve ritenersi che, anche nel caso di ordini di carcerazione per espiazione di pena emessi prima dell'entrata in vigore della legge 27 maggio 1998 n. 165 (introduttiva della nuova formulazione dell'art. 656 c.p.p.), e non ancora eseguiti, trovi applicazione la disciplina della sospensione dell'esecuzione prevista dal comma 5 del citato art. 656 c.p.p.

Cass. pen. n. 6359/1999

Attesa l'applicabilità, anche in favore di soggetti che siano stati condannati per taluno dei reati previsti dall'art. 4 bis dell'ordinamento penitenziario, dell'affidamento in prova in casi particolari, quale ora previsto e disciplinato unicamente dall'art. 94 del T.U. in materia di stupefacenti approvato con D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 (dopo l'espressa abrogazione dell'art. 47 bis dell'ordinamento penitenziario, disposta dall'art. 3 della legge 27 maggio 1998 n. 165), deve ritenersi che sia tuttora applicabile, per i medesimi soggetti, anche la disciplina della sospensione dell'esecuzione in caso di presentazione dell'istanza di affidamento terapeutico, prevista dall'art. 91 del citato T.U., dovendosi escludere l'abrogazione implicita di detta ultima disposizione per effetto dell'art. 1 della summenzionata legge n. 165 del 1998, introduttivo del nuovo testo dell'art. 656 c.p.p., nella parte in cui esso pone, in generale, il divieto di sospensione dell'esecuzione nei confronti di tutti i condannati per delitti di cui al richiamato art. 4 bis ord. pen.

Cass. pen. n. 3250/1999

L'omessa notificazione dell'ingiunzione a costituirsi in carcere, o l'omessa rinnovazione della notificazione, non è causa di nullità dell'ordine di esecuzione della pena detentiva, perché non sancita dal codice di rito. La particolare procedura prevista dall'art. 656, comma secondo, c.p.p. per l'esecuzione della pena detentiva non riguarda infatti la libertà personale, ma esclusivamente le modalità attraverso le quali il condannato deve esser ristretto in carcere per espiare la pena a lui inflitta.

Cass. pen. n. 20/1998

Nei procedimenti di sorveglianza in corso al momento dell'entrata in vigore della legge 27 maggio 1998 n. 165 le nuove disposizioni si applicano ai rapporti non ancora esauriti, sicché è consentita la sospensione dell'esecuzione della pena anche in favore del condannato che, al momento del passaggio in giudicato della sentenza, si trovi ristretto agli arresti domiciliari ed abbia richiesto l'affidamento in prova al servizio sociale, sempre che non sussista una delle condizioni ostative di cui al comma 9 dell'art. 656 c.p.p., come modificato dalla legge predetta, ovvero non sia nel frattempo intervenuta la decisione del tribunale di sorveglianza che abbia negato la concessione del beneficio.

Cass. pen. n. 13/1995

Una volta che il giudice dell'esecuzione abbia sospeso, per un termine non inferiore a quello di cinque giorni previsto dall'art. 656, comma secondo, c.p.p., l'esecuzione dell'ordine di carcerazione non preceduto dall'intimazione a costituirsi in carcere, viene meno qualsiasi interesse del condannato a far valere la nullità dell'ordine medesimo perché emesso in luogo dell'ingiunzione stessa.

Cass. pen. n. 843/1995

Anche l'ordine di esecuzione della pena emanato ai sensi dell'art. 656 c.p.p. è soggetto alle disposizioni di cui all'art. 143 stesso codice in materia di traduzione degli atti destinati allo straniero che non conosca la lingua italiana. La traduzione non è però necessaria se dagli atti del procedimento di cognizione risulta che lo straniero capiva la lingua italiana.

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Consulenze legali
relative all'articolo 656 Codice di procedura penale

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Anonimo chiede
mercoledì 09/08/2023
“buongiorno,
sono stato condannato per guida in stato di ebbrezza ma non ho potuto eseguire i lavori di pubblica utilità ed in data 05/07/2023 è stato celebrato incidente di esecuzione
sono incensurato e sto aspettando l'ordine di carcerazione sospeso contro cui proporre l'istanza di affidamento in prova ai servizi sociali e chiedo se (per favore) potete dirmi se la mia istanza è formalmente corretta e se avete dei suggerimenti da darmi: grazie infinite
Consulenza legale i 23/08/2023
Letta l’istanza, si osserva quanto segue.

In primo luogo l’istanza è presentata personalmente dal condannato. Opzione certo percorribile ai sensi del comma 6 dell’art. 656 c.p.p. ma è sempre bene, in tali casi, fare riferimento ad un difensore di fiducia vista la complessità dell’esecuzione penale.

Il difensore di fiducia deve essere nominato ad hoc per la fase dell’esecuzione.

L’intestazione dell’istanza è corretta ma manca il numero SIEP, ovvero il numero che verrà assegnato all’esecuzione al momento in cui verrà emesso l’ ordine di esecuzione (contestualmente sospeso) che verrà notificato all’indagato e al suo difensore (al nuovo difensore nominato o, in mancanza, a quello precedente). Il numero in questione potrebbe essere diverso da quello attribuito e riportato nell’istanza medesima (il n. 7/2023 mod. 32).

Quanto al merito, l’istanza è in sé corretta (nonostante il fatto che la stessa presenti diverse ripetizioni e non sia del tutto scorrevole dal punto di vista grammaticale e sintattico), anche in considerazione del fatto che i presupposti per l’applicazione dell’ affidamento in prova al servizio sociale vi sono e non v’è bisogno di insistere più di tanto sul merito.

La questione che si pone, però, è la seguente.

La presente esecuzione deriva dall’impossibilità per il soggetto di eseguire i lavori di pubblica utilità per ragioni di salute. Ragioni di salute che si son protratte e che sembra non abbiano consentito al soggetto di chiedere una proroga del termine per l’esecuzione dei lavori in parola, come anche affermato dal giudice nell’incidente di esecuzione allegato all’istanza (nel quale, peraltro, si è inspiegabilmente chiesta la revoca del decreto penale di condanna, non possibile nel caso di specie).

Ora, vero è che l’affidamento in prova in genere è diverso dai lavori di pubblica utilità, ma lo stesso comunque presuppone che l’esecutato faccia una qualche attività di rilevanza sociale.
Se, dunque, la patologia di cui soffre il soggetto potrebbe impedire qualsiasi attività sociale, sarebbe opportuno che l’istanza (oltre a far presente lo stato attuale di salute del soggetto) chieda in via subordinata anche la detenzione domiciliare proprio per evitare di incorrere nelle medesime problematiche che si son verificate per i lavori di pubblica utilità e in modo da avere un cuscinetto di salvataggio che eviti l’esecuzione pura della pena.

Stefano G. chiede
lunedì 29/03/2021 - Lombardia
“Se una persona residente in Lombardia è stata condannata a 20 mesi di reclusione per un reato commesso a Roma ed è stata sospesa l'esecuzione della condanna, qual è il tribunale di sorveglianza competente? A leggere l'art 677 cpp dovrebbe essere quello di Milano, a meno che la legge non disponga diversamente. La sentenza 53177/2014 della cassazione penale sembra indicare che è competente il tribunale del luogo in cui ha sede l'ufficio del P.M. che ha promosso la sospensione dell'esecuzione, cioè Roma. Quindi in contrasto con l'art 677 che richiede una legge per derogare dalla regola della residenza. Qual è la legge che consentirebbe di derogare?”
Consulenza legale i 29/03/2021
Il principio affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 53177 del 2014 è stato meglio chiarito da Cass. pen. Sez. I Sent., 28/09/2018, n. 8000 secondo cui “la competenza all'applicazione delle misure alternative alla detenzione, in ipotesi di soggetto che fruisca della sospensione della pena, appartiene al tribunale di sorveglianza del luogo ove ha sede l'ufficio del pubblico ministero preposto all'esecuzione, in forza della regola posta dall'art. 656, comma 6, cod. proc. pen., la quale deve ritenersi speciale rispetto al principio generale di cui all'art. 677 stesso codice”.

La Cassazione, dunque, precisa che il comma 6 dell’art. 656 del codice di rito dispone una chiara deroga alle statuizioni dell’art. 677 c.p.p.

Tirando le fila del ragionamento sopra esposto, nel caso di specie la competenza spetta al Tribunale di Roma e non già a quello meneghino proprio in forza della deroga di cui al menzionato art. 656 c.p.p.


A. N. chiede
sabato 09/04/2016 - Emilia-Romagna
“Nel 1990 ho avuto un indulto di 2 anni , residuo di un cumulo di pene per circa 8 anni scontati . Nel 2008 sono stato definitivamente condannato a 2 anni e 4 mesi per fatti del 1994 . Questo ha comportato la revoca dei 2 anni di indulto , dato che devono passare 5 anni senza riportare condanne superiori a due anni per evitare la revoca .
Dal 1/4/2008 al 13/10/2009 sono stato detenuto (445 giorni ) Quando il giudice della esecuzione ha disposto la revoca ( nel 2010 ) del indulto di due anni sommato ai due anni e due mesi della condanna , è stata presentata istanza nel mio interesse di applicazione del nuovo indulto emanato nel 2006 nella misura di tre anni , i restanti anni 1 e mesi 2 ho beneficiato della fungibilità e ho usato 1 anno e due mesi del periodo suddetto ( 1/4/2008. 13/10/2009 )
Nel gennaio 2016 sono stato completamente prosciolto per i fatti del 1/4/2008 13/10/2009 .
Sto predisponendo istanza per ingiusta detenzione .

Il quesito è il seguente. Nel 2010 quando ho chiesto la fungibilità della custodia cautelare , avevo o no diritto ad ottenere la liberazione anticipata sugli 8 anni trascorsi ?
È importante per me avere la certezza , perché potrebbe essere che la Corte decreti che ho diritto a un indennizzo solo per la parte per cui non c'è stata fungibilità , e ridurre drasticamente il danno .
La legge prevede 235 £ giornalieri .
Se mi fosse stata concessa la liberazione anticipata nel 2010 oggi avrei diritto al 100% a essere indennizzato per tutto il periodo dal 2008 al 2009 . Solo questo .
Avevo o no diritto alla liberazione anticipata maturata con gli 8 anni di detenzione ?”
Consulenza legale i 21/04/2016
Alla luce dell'integrazione pervenuta, i quesiti sottoposti possono essere sintetizzati come segue.

1. Un condannato che chiede di fruire della fungibilità di una pena con altri periodi di detenzione sofferti, ha diritto di accedere anche alla liberazione anticipata sui periodi trascorsi in cautelare o in detenzione a seguito di altre condanne?
Con riferimento a tale primo quesito, si ritiene di dovere rispondere positivamente poiché "in tema di liberazione anticipata, ciò che è richiesto, ai fini dell'applicabilità dell'istituto, non è l'attualità della detenzione, ma solo del rapporto esecutivo, per cui deve ritenersi ammissibile l'istanza di concessione della liberazione anticipata relativa al periodo di custodia cautelare sofferto su condanna per fatti delittuosi pregressi se tale periodo sia stato ritenuto fungibile e, quindi, considerato nella determinazione della pena residua espianda" (cfr. Sezione Sorveglianza Milano, 17 aprile 2007).
2. Il pubblico ministero ha l'obbligo di chiedere al Giudice di Sorveglianza di detrarre i giorni a cui il condannato ha diritto alla liberazione anticipata, nella misura di 45 giorni per ogni semestre scontato?
Con riferimento a tale secondo quesito, si ritiene di dovere rispondere negativamente poiché, nel caso di specie, non sembra configurarsi un obbligo, in capo al P.M., di richiedere al giudice di detrarre 45 giorni ogni semestre di pena scontata da parte del condannato.
Infatti, l'art. 54, della Legge 26 luglio 1975, n.3541 stabilisce che "al condannato a pena detentiva che ha dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione è concessa, quale riconoscimento di tale partecipazione, e ai fini del suo più efficace reinserimento nella società, una detrazione di quarantacinque giorni per ogni singolo semestre di pena scontata. A tal fine è valutato anche il periodo trascorso in stato di custodia cautelare o di detenzione domiciliare.
2. La concessione del beneficio è comunicata all'ufficio del pubblico ministero presso la corte d'appello o il tribunale che ha emesso il provvedimento di esecuzione o al pretore se tale provvedimento è stato da lui emesso".
In sostanza la legittimazione per la presentazione dell'istanza per la liberazione anticipata, anche alla luce dell'art. 54, comma 2, della Legge n. 3541/1975, sembra essere del soggetto condannato, poiché la concessione del beneficio "è comunicata all'Ufficio del Pubblico Ministero", come sembra confermato altresì dalla Giurisprudenza ("in tema di liberazione anticipata, la competenza a provvedere sull'istanza del soggetto detenuto, collaboratore di giustizia, appartiene al magistrato o al tribunale di sorveglianza che ha giurisdizione sull'istituto di prevenzione o di pena in cui si trova l'interessato all'atto della richiesta" (...), cfr. Cassazione Penale, Sez. I, 24 settembre 2015, n. 43798).
Infine, si precisa che il comma 4-bis, dell'art. 656 del c.p.p. è stato introdotto solamente dall'art. 1, d.l. 1° luglio 2013, n. 78, conv., con modif., dalla l. 9 agosto 2013, n. 94, pertanto si ribadisce che, con riferimento al 2010, non sembra che si potesse configurare un obbligo in capo al P.M. di richiedere al Giudice di Sorveglianza il beneficio della liberazione anticipata, in assenza di istanza del condannato.
Per comodità si riporta il dato testuale di quest'ultima norma richiamata: "al di fuori dei casi previsti dal comma 9, lett. b), quando la residua pena da espiare, computando le detrazioni previste dall'articolo 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354, non supera i limiti indicati dal comma 5, il pubblico ministero, prima di emettere l'ordine di esecuzione, previa verifica dell'esistenza di periodi di custodia cautelare o di pena dichiarata fungibile relativi al titolo esecutivo da eseguire, trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza affinché provveda all'eventuale applicazione della liberazione anticipata. Il magistrato di sorveglianza provvede senza ritardo con ordinanza adottata ai sensi dell'articolo 69-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. La presente disposizione non si applica nei confronti dei condannati per i delitti di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354".