Brocardi.it - L'avvocato in un click! CHI SIAMO   CONSULENZA LEGALE

Articolo 175 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 28/12/2023]

Direzione del procedimento

Dispositivo dell'art. 175 Codice di procedura civile

Il giudice istruttore esercita tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento [84 disp. att.].

Egli fissa le udienze successive e i termini entro i quali le parti debbono compiere gli atti processuali (1).

Quando il giudice ha omesso di provvedere a norma del comma precedente, si applica la disposizione dell'articolo 289 (2).

Note

(1) Ai sensi dell'art. 80 disp. att., il presidente del tribunale stabilisce per ogni anno giudiziario il calendario delle udienze: se il giudice istruttore fissa l'udienza in un giorno diverso da quelli calendatizzati, oppure in un giorno in cui abbia luogo una festività sopravvenuta, la causa viene spostata alla prima udienza utile successiva a quella erroneamente stabilita.
(2) L'art. 289 del c.p.c. stabilisce che, qualora i provvedimenti istruttori non contengano la fissazione dell'udienza successiva o del termine entro il quale le parti debbono compiere gli atti processuali, essi possano essere integrati, su istanza di parte o d'ufficio, entro il termine perentorio di sei mesi dall'udienza in cui i provvedimenti furono pronunciati, oppure dalla loro notificazione o comunicazione se prescritte.
Se il provvedimento istruttorio è del tutto omesso, è l'ufficio a dover provvedere, senza alcun onere a carico delle parti.

Spiegazione dell'art. 175 Codice di procedura civile

Dopo l’introduzione della causa, che ha termine con la costituzione delle parti, ha inizio la fase istruttoria della stessa, nel corso della quale si acquisiscono gli elementi di fatto e si controllano gli aspetti giuridici necessari per definire il processo.
Mentre nella fase introduttiva sono le parti i veri protagonisti, in questa fase, invece, è l’autorità giudiziaria, in persona del giudice istruttore, a svolgere funzioni di propulsore.

In essa si possono distinguere tre momenti fondamentali:

  1. quello della trattazione, nel corso del quale vengono individuate le parti, precisate o modificate le domande e discusse le questioni più importanti;
  2. quello dell’istruzione probatoria, volto all’acquisizione delle prove scritte ed orali;
  3. quello della rimessione della causa in decisione, a seguito della quale l’autorità giudiziaria si riserva la decisione finale sulla domanda.

Fatta questa breve premessa, la prima norma con la quale viene aperto il capo relativo all’istruzione della causa si occupa proprio della figura del giudice istruttore, evidenziando il suo ruolo di direzione del procedimento, nel cui ambito è chiamato a fissare le udienze successive alla prima ed i termini entro cui le parti debbono compiere gli atti processuali (ovviamente l’indicazione contenuta nel primo comma della norma in esame non esaurisce il novero dei poteri attribuiti al giudice istruttore nel corso del processo).

Sotto il profilo del potere di direzione, si ritiene che vi si possa far rientrare il potere del giudice di indicare alle parti i punti della controversia che andrebbero maggiormente sviluppati, mentre sotto il profilo del sollecito svolgimento del processo si ritiene che vi si possa far rientrare il potere dello stesso giudice di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo a una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo.

In relazione a quanto previsto al secondo comma deve segnalarsi il disposto dell’art. 80 bis delle disp. att. c.p.c., in forza del quale sin dalla prima udienza il giudice può disporre il rinvio al collegio ex art. 187 del c.p.c. se ritiene che la causa sia matura per essere decisa o se debbano essere conosciute questioni di carattere preliminare, ritenute assorbenti.

In relazione alle udienze ed alla loro fissazione, è opportuno richiamare il disposto dell'art. 82 delle disp. att. c.p.c. per il quale, qualora nel giorno designato il giudice istruttore non tenga udienza, questa, nell'ipotesi di prima comparizione, si intende rinviata d'ufficio alla udienza di prima comparizione immediatamente successiva, assegnata allo stesso giudice.
Qualora si tratti di udienza di trattazione, la causa si intende rinviata alla prima udienza di istruzione immediatamente successiva.

Per ciò che attiene ai termini, nell'ipotesi di termine perentorio, fissato dal giudice, ogni attività che sia stata effettuata dopo la scadenza non può essere considerata valida e, quindi, di essa non se ne può tenere conto nel giudizio.
Se, invece, si tratta di termine ordinatorio, la giurisprudenza ha ritenuto che di tale termine si debba chiedere l'eventuale proroga, prima della scadenza, in difetto di che si verranno a determinare i medesimi effetti preclusivi del termine perentorio.

L'ultimo comma della norma richiama esplicitamente l’art. 289 del c.p.c. ed ha lo scopo di colmare una lacuna discendente dall'omissione, da parte del giudice, di provvedere alla fissazione dei termini e delle udienze, come previste dal secondo comma di questa stessa norma.
In buona sostanza, la parte più diligente dovrà richiedere la fissazione dell'udienza o del termine entro sei mesi, a far data dall'udienza nella quale i provvedimenti furono pronunciati o dalla loro notificazione o comunicazione; in mancanza di ciò il processo si estingue, per come disposto dall’art. 307 del c.p.c..

Massime relative all'art. 175 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 14365/2019

Il rispetto del diritto fondamentale a una ragionevole durata del processo impone al giudice, ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c., di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo a una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità dei soggetti nella cui sfera giuridica l'atto finale è destinato a esplicare i suoi effetti. Ne deriva che l'istanza per la trattazione congiunta di una pluralità di giudizi relativi alla medesima vicenda, non espressamente contemplata dagli artt. 115 e 82 disp. att. c.p.c., deve essere sorretta da ragioni idonee ad evidenziare i benefici suscettibili di bilanciare gli inevitabili ritardi conseguiti all'accoglimento della richiesta, bilanciamento che dev'essere effettuato con particolare rigore nel giudizio di cassazione in considerazione dell'impulso d'ufficio che lo caratterizza. (Nel ribadire il principio, la S.C. ha ritenuto non meritevole di accoglimento la richiesta riunione tra un ricorso per cassazione avverso la sentenza che aveva dichiarato inammissibile per tardività l'appello e quello avverso la decisione che aveva deciso l'impugnazione per revocazione avverso la medesima sentenza di appello). (Rigetta, CORTE D'APPELLO L'AQUILA, 01/08/2016).

Cass. civ. n. 14750/2015

Ai fini dell'accertamento del termine ragionevole del processo, a fronte di una cospicua serie di differimenti chiesti (o non opposti) da una parte e disposti dal giudice istruttore, si deve distinguere tra tempi addebitabili alle parti e tempi addebitabili allo Stato per la loro evidente irragionevolezza, sicché, salvo che sia motivatamente evidenziata una vera e propria strategia dilatoria, idonea ad impedire l'esercizio dei poteri di direzione del processo propri del giudice, è necessario individuare la durata comunque ascrivibile allo Stato, ferma restando la possibilità che la frequenza ed ingiustificatezza delle istanze di differimento incidano sulla valutazione del patema indotto dalla pendenza del giudizio e, dunque, sulla misura dell'indennizzo da riconoscere. (Cassa con rinvio, App. Perugia, 01/07/2013).

Cass. civ. n. 3189/2012

Il rispetto del diritto fondamentale a una ragionevole durata del processo impone al giudice, ai sensi degli artt. 175 e 127 cod. proc. civ., di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo a una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l'atto finale è destinato a esplicare i suoi effetti. Ne deriva che l'istanza per la trattazione congiunta di una pluralità di giudizi relativi alla medesima vicenda, non espressamente contemplata dagli artt. 115 e 82 disp. att. cod. proc. civ., deve essere sorretta da ragioni idonee ad evidenziare i benefici suscettibili di bilanciare gli inevitabili ritardi conseguiti all'accoglimento della richiesta, bilanciamento che dev'essere effettuato con particolare rigore nel giudizio di cassazione in considerazione dell'impulso d'ufficio che lo caratterizza. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che la mancanza di sufficiente motivazione che caratterizzava l'istanza di rinvio e riunione - afferente a un ricorso per la cassazione di una sentenza di revocazione e ad altri due ricorsi per la cassazione di sentenze relative alla medesima vicenda - si traducesse in violazione del principio di lealtà e probità processuale sancito dall'art. 88 cod. proc. civ., con conseguente applicazione dell'art. 92, primo comma, ultima parte, cod. proc. civ.). (Dichiara inammissibile, App. Ancona, 05/03/2010).

Cass. civ. n. 2723/2010

Il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 cod. proc. civ.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l'atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti. Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione "prima facie" infondato, appare superflua, pur potendo sussistere i presupposti (come nella specie, per inesistenza della notificazione del ricorso nei confronti di alcuni litisconsorti necessari), la fissazione del termine ex art. 331 cod. proc. civ. per l'integrazione del contraddittorio, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell'effettività dei diritti processuali delle parti. (Rigetta, App. Roma, 20/09/2005).

Cass. civ. n. 26773/2009

Il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall'art. 111, secondo comma, Cost. e dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali) impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare ed impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, espresso dall'art. 101 c.p.c., da effettive garanzie di difesa (art. 24 Cost.) e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità (art. 111, secondo comma Cost.) dei soggetti nella cui sfera giuridica l'atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti. (In applicazione del suddetto principio, la S.C. - avendo valutato inammissibile il ricorso principale - ha ritenuto superflua la rimessione in termini del resistente, che ne aveva fatto istanza, per il completamento della notificazione del controricorso, riconoscendo che il resistente medesimo aveva comunque avuto la possibilità di esercitare l'attività difensiva mediante partecipazione alla discussione in camera di consiglio, in relazione alla quale egli aveva ricevuto notifica dell'avviso).

Cass. civ. n. 12388/2000

Rientra nei poteri ordinari del giudice (laddove, come nel rito del lavoro, non gli vengano attribuiti poteri istruttori ufficiosi) ed è consolidata consuetudine della «dialettica processuale», indirizzare, nella fase istruttoria, le parti o sollecitarle in ordine all'attività di produzione documentale. (Nella specie, emanato decreto ingiuntivo sulla base della copia fotostatica di un assegno bancario in sequestro penale, il giudice istruttore dell'opposizione aveva indicato all'opposto l'opportunità di produrre l'assegno in copia conforme all'originale; la S.C., in applicazione dell'esposto principio, ha escluso che il giudice avesse trasmodato dai suoi poteri istruttori).

Cass. civ. n. 6118/1995

Nell'esercizio della sua funzione direttiva del processo il giudice istruttore ha il potere di invitare le parti a colmare eventuali lacune probatorie (nella specie, omessa produzione di decreti ministeriali), senza con ciò violare il principio dispositivo.

Cass. civ. n. 6520/1991

Il provvedimento del giudice che, con riguardo all'udienza di istruzione della singola causa, dopo la chiusura del relativo verbale, che segna anche il momento terminale dell'udienza, abbia, su istanza di parte, disposto la riapertura del verbale stesso, implica la revoca del provvedimento già pronunciato di fissazione dell'udienza successiva con immediata trattazione della causa. Tale provvedimento, che può ricondursi al potere di direzione del procedimento che compete al giudice istruttore (art. 175 c.p.c.), non può ledere il diritto di difesa delle parti e non può pertanto prescindere dalla sua tempestiva comunicazione, in mancanza della quale, a meno che non vi sia l'accordo dei procuratori delle parti costituite o che questi non siano presenti, l'udienza così anticipata («riaperta») deve ritenersi nulla.

Cass. civ. n. 2197/1972

Istituitosi regolarmente il rapporto processuale con la regolare costituzione delle parti, la irrituale presenza in giudizio di un procuratore non legittimato non impedisce al giudice di disporre di ufficio quegli atti (quali la consulenza tecnica) che rientrano nel suo potere di impulso a fondare su di essi e sugli elementi scaturenti dall'attività processuale delle altre parti il proprio convincimento.

Notizie giuridiche correlate all'articolo

Hai un dubbio o un problema su questo argomento?

Scrivi alla nostra redazione giuridica

e ricevi la tua risposta entro 5 giorni a soli 29,90 €

Nel caso si necessiti di allegare documentazione o altro materiale informativo relativo al quesito posto, basterà seguire le indicazioni che verranno fornite via email una volta effettuato il pagamento.

SEI UN AVVOCATO?
AFFIDA A NOI LE TUE RICERCHE!

Sei un professionista e necessiti di una ricerca giuridica su questo articolo? Un cliente ti ha chiesto un parere su questo argomento o devi redigere un atto riguardante la materia?
Inviaci la tua richiesta e ottieni in tempi brevissimi quanto ti serve per lo svolgimento della tua attività professionale!

Consulenze legali
relative all'articolo 175 Codice di procedura civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Italo Q. chiede
domenica 18/08/2019 - Umbria
“Spett.le Redazione
Nel gennaio 2016 ho iniziato una causa per nullità ( per la quale già in passato ho richiesto vostri pareri) di un contratto con una banca che nel frattempo è stata cancellata dal registro essendo assorbita dalla casa madre con sede in Olanda.
Nel luglio stesso anno fu da me proposta querela di falso per sigle apocrife aggiunte dopo la mia firma apposta presso la sede della Banca al contratto che mi fu restituito - contrariamente a quanto stabilito per obbligo e riportato nel contratto stesso.! dopo oltre due mesi ( sic!) essendo stato inspiegabilmente trattenuto nella sede della banca in quanto all'atto non era presente nella sede la persona autorizzata a controfirmarlo.
A seguito di vari trasferimenti dei giudici del tribunale di Perugia finalmente il Giudice attualmente incaricato ha ritenuto necessario pronunciarsi preliminarmente con sentenza sulle questioni preliminari proposte dalle parti e a tal fine, ha rinviato per precisazione delle conclusioni... al 23/9/2020
Insomma in oltre quattro anni non si sono pronunziati nemmeno circa la querela di falso!!
Per sopravvenuti motivi di salute ho interesse che la causa abbia svolgimento più rapido e completo pertanto chiedo cosa sia possibile e consigliabile fare a tal fine!
a puro titolo esemplificativo : richiesta di giudizio sommario ( eventualmente certificando i i suddetti motivi di salute ?)
oppure iniziare nuovo processo con querela di falso in via principale
o appellarsi alla Legge Pinto?
In attesa di vostro cortese sollecito riscontro porgo distinti saluti

Consulenza legale i 22/08/2019
Ciò di cui qui ci si lamenta sembra possa essere un uso distorto dello strumento processuale, per reprimere il quale il nostro ordinamento conferisce al giudice ampi poteri, da esercitare anche prima che il processo giunga a conclusione ed ogniqualvolta le parti si avvalgano delle facoltà loro spettanti per finalità ostruzionistiche e dilatorie.
Fra i poteri specifici del giudice, orientati in tal senso, si segnalano:
- l’art. 245 del c.p.c., in forza del quale al giudice è concesso di ridurre le liste testimoniali sovrabbondanti se ritiene che l’ assunzione di tutti i testi indicati non risulti essere utile per la soluzione della controversia;
- l’art. 209 del c.p.c. che autorizza il giudice a chiudere l’istruzione probatoria qualora, tenuto conto dei risultati già raggiunti, ritenga superflua l’assunzione di prove ulteriori;
- l’art. 175 c.p.c. che riconosce al giudice istruttore la facoltà di esercitare tutti i suoi poteri per garantire il più sollecito e leale svolgimento del processo.

E’ proprio quest’ultima norma, il cui contenuto come può notarsi risulta abbastanza ampio e generico, che si consiglia nel caso di specie di invocare per chiedere al giudice istruttore un’anticipazione dell’udienza già fissata per la precisazione delle conclusioni, motivando tale richiesta per gravi e sopravvenute esigenze di salute, che occorrerà opportunamente documentare (la relativa istanza, esente da costi, va formulata dall’avvocato della parte e depositata presso la Cancelleria del giudice competente per il procedimento).
Trattasi di norma decisamente sottovalutata, ma di cui si ritiene debba valorizzarsi il contenuto in quanto il potere con essa concesso al giudice potrebbe essere utilizzato come utile strumento per reprimere eventuali condotte processuali abusive, ed inoltre, trattandosi di un potere atipico, trova come limite esclusivamente il rispetto del diritto di difesa, del contraddittorio e del principio dispositivo.

Dalle norme sopra richiamate si evince come fra le tecniche con le quali le parti possono perpetrare l’abuso del processo si annoverano anche tutte quelle attività che, pur utilizzando strumenti previsti dal legislatore per garantire l’effettività della difesa, sono in realtà volte a dilatare i tempi del processo ed a procrastinare la decisione, sino al punto da rendere la stessa non più utile per la parte che ha ragione, ciò che qui sembra si teme possa accadere.

Sia la giurisprudenza di legittimità che quella di merito, al fine di giustificare la repressione e sanzione di condotte abusive, hanno più volte fatto ricorso al principio del c.d. giusto processo sancito dall’art. 111 Cost., affermando che condotte di tal genere sono in grado di ledere i principi di effettività e di efficacia della tutela giurisdizionale.
Giusto, e quindi non abusivo, infatti, è quel processo che assicuri in tempi ragionevoli una tutela giurisdizionale effettiva; ciò comporta che nell’esercizio dei suddetti poteri il giudice è chiamato ad operare un bilanciamento tra il principio di effettività per il quale “il processo deve dare, per quanto è possibile praticamente, a chi ha un diritto tutto quello e proprio quello che egli ha diritto di conseguire” ed il principio di efficienza, atto a preservare e tutelare la produttività dell’apparato giudiziario.
D’altro canto, la necessità di evitare inutili rallentamenti, di velocizzare la giustizia e di reprimere comportamenti scorretti, non può comprimere integralmente valori quali il diritto di difesa, il diritto al contraddittorio o l’ancor più generale diritto ad un giudizio; a ciò si aggiunga che il principio del giusto processo, richiamato anche all’art. 6 CEDU, non si esplicita nella sola durata ragionevole dello stesso, occorrendo prestare la massima attenzione ad evitare di sanzionare comportamenti processuali ritenuti non improntati al valore costituzionale della ragionevole durata del processo, a scapito degli altri valori sopra menzionati in cui pure si sostanzia il processo equo (ovvero, il diritto di difesa e quello al contraddittorio).

Con ciò vuol dirsi che un processo può essere ritenuto giusto non soltanto in termini oggettivi, funzionali e strutturali, ma anche da un punto di vista soggettivo e comportamentale, sicché nel momento in cui si andrà a chiedere al giudice ex art. 175 c.p.c. un’anticipazione dell’udienza fissata per la precisazione delle conclusioni, si dovrà cercare anche di offrire allo stesso validi argomenti per porlo in condizione di valutare se le condotte fino a quel momento adottate dall’altra parte siano connotate da mala fede processuale, assumendo esclusivamente finalità dilatorie.

Non è possibile, invece, chiedere il passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione, in quanto la relativa scelta è rimessa o all’iniziativa dell’attore ex art. 702 del c.p.c. (introducendo la causa con ricorso) ovvero alla discrezionalità del Giudice il quale, alla prima udienza di trattazione, dopo avere valutato la complessità della causa e le prove già prodotte, potrà decidere ex art. 183 bis del c.p.c. di disporre il passaggio dal rito ordinario a quello sommario di cognizione (obiettivamente si ritiene che, tenuto conto della complessità della vicenda, non si tratti di causa da poter trattare con il rito sommario di cognizione).

Per quanto concerne la querela di falso, va detto che non sortirebbe alcun effetto diverso la proposizione in via autonoma del relativo procedimento in quanto, come affermato dalla Corte di Cassazione, Sez. II Civ., con sentenza n. 12399 del 28/05/2007, “la sentenza che decide sulla querela di falso non è una sentenza parziale (cioè non definitiva) ma rappresenta l’epilogo di un procedimento che – pur se attivato in via incidentale – è comunque autonomo, avendo per oggetto l’accertamento della falsità o meno di un atto con fede privilegiata”.
Peraltro, competente a decidere su di essa, sia se proposta in via principale che in via incidentale, è pur sempre il Tribunale in composizione collegiale (cfr. art. 225 del c.p.c.), tant’è che il giudice, davanti al quale la querela fosse incidentalmente proposta, dovrà rimettere la causa relativa alla sola querela di falso al Tribunale competente, ai sensi dell’art. 34 del c.p.c., disponendo nel contempo la sospensione del processo principale (art. 295 del c.p.c.), fino alla decisione della questione del falso.

Ultimo aspetto che rimane da valutare è quello relativo alla possibilità di invocare la Legge 24 marzo 2001 n. 89, c.d. Legge Pinto.
Come si ritiene possa essere noto, con la Legge di Stabilità del 2016 è stato però previsto l’obbligo, per la parte di un processo che intenda chiedere il risarcimento, di esperire, nel corso dello stesso processo ed almeno sei mesi prima che si maturi il diritto all'indennizzo, ovvero prima del superamento del termine massimo di durata del processo, dei rimedi preventivi (disciplinati specificamente dall’art 1 ter della Legge Pinto), pena l’inammissibilità della domanda di equa riparazione.
Per il processo civile costituiscono rimedi preventivi la proposizione del giudizio con rito sommario o la richiesta di passaggio dal rito ordinario al rito sommario entro l’udienza di trattazione e, comunque, almeno 6 mesi prima che siano trascorsi 3 anni in primo grado.
Nelle cause in cui non si applica il rito sommario di cognizione, costituisce rimedio preventivo la richiesta di decisione a seguito di trattazione orale ai sensi dell’art. 281 sexies del c.p.c. , possibile anche se vi è competenza collegiale del Tribunale, sempre almeno 6 mesi prima del termine ragionevole, che come prima detto è fissato in tre anni per il primo grado di giudizio.
Stabilisce il comma 2 bis dell’art. 2 Legge Pinto che, ai fini del computo della durata, il processo si considera iniziato con il deposito del ricorso introduttivo del giudizio ovvero con la notificazione dell’atto di citazione.
Sembra, dunque, che non vi siano più i termini per esperire uno dei rimedi preventivi richiesti dalla suddetta legge ai fini della richiesta di indennizzo, a meno che nel caso di specie non ricorra la particolare ipotesi prevista dal comma 2 quater dell’art. 2, nella parte in cui dispone che ai fini del computo non si tiene conto del tempo in cui il processo è sospeso (non si sa se vi è stata sospensione ex art. 295 c.p.c. per decidere la questione preliminare di falso).

Va segnalato sul tema della ragionevole durata del processo la recente sentenza della Corte di Cassazione n. 267/2019, nella quale la S.C. afferma che il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice, ai sensi del combinato disposto degli artt. 175 e 127 c.p.c., di evitare comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio e delle garanzie di difesa e dal diritto a partecipare al processo in condizioni di parità.
In particolare, poi, a fronte di una cospicua serie di differimenti chiesti (o non opposti) da una parte e disposti dal giudice istruttore, si deve distinguere tra tempi addebitabili alle parti e tempi addebitabili allo Stato per la loro evidente irragionevolezza, sicché l’irragionevole durata sarà in ogni caso ascrivibile allo Stato qualora non sia motivatamente evidenziata una vera e propria strategia dilatoria, idonea ad impedire l'esercizio dei poteri di direzione del processo propri del giudice (ossia quel potere di direzione disciplinato dall’art. 175 c.p.c. e di cui si è parlato nella prima parte di questa consulenza).