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Visita ai figli: quando il rifiuto diventa reato?

Visita ai figli: quando il rifiuto diventa reato?
Non è possibile riconoscere la sussistenza della particolare tenuità del fatto alla madre che rifiuta ripetutamente al padre la visita ai figli, poiché segno inequivocabile della volontà costante nel tempo di eludere il provvedimento giudiziale e non rispettare il diritto a questo riconosciuto.
La Cassazione si pronuncia su un caso di violazione del diritto di visita del padre previsto nel provvedimento giudiziale di omologa in sede di separazione, affermando che è inammissibile la non punibilità per particolare tenuità del fatto in favore dell'imputata ex art. art. 131 bis del c.p., che, infatti, non sarebbe applicabile a causa delle condotte seriali poste in essere, mosse da motivi assolutamente futili ed in relazione alla personalità dell'imputata.

In secondo grado, la Corte di Appello aveva dato poco rilievo al danno patito dalla persona offesa con conseguente assoluzione per il reato di cui all'art. art. 388 del c.p., con cui viene punita la mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice. In particolare, l'imputata aveva violato ripetutamente il provvedimento con cui il giudice, in sede di separazione, aveva riconosciuto al marito il diritto di visita nei confronti dei propri figli minori.

La Procura Generale ritiene la sentenza contraddittoria, poiché, se da un lato si afferma che le condotte ripetute ed uniformi erano idonee a configurare il reato contestato, dall’altro veniva dato poco rilievo ai danni arrecati al querelante e alla prole, concludendo per tale ragione, per la non punibilità per particolare tenuità dei fatti.

Di seguito, essa si sofferma sui caratteri delle condotte perpetrate, evidenziando una chiara volontà dell'imputata di ostacolaresistematicamente al padre la visita dei figli, in violazione di quanto statuito dal provvedimento giudiziale di omologazione della separazione. Questa chiusura era resa ancor più immotivata dalla flessibilità prevista negli accordi intercorsi tra le parti all’atto di separazione e dalla disponibile collaborazione dei servizi sociali in luogo di visita.

Nella pronuncia della Corte di Appello si sottolinea la ripetitività della condotta oppositiva, la quale si era manifestata in diversi agiti di identico tenore tutti generati dalla medesima scelta a monte di non voler adempiere al provvedimento giudiziale pretermesso; a tal proposito l’uso dell'aggettivo "spesso" per argomentare la sentenza gravata nel rassegnare le violazioni del diritto di visita e incontro dei figli che la persona offesa fondava sul citato provvedimento di omologa.

In questo caso, non si può riconoscere la non punibilità per particolare tenuità del fatto perché il reato contestato è stato commesso attraverso l'esecuzione di diverse azioni. La donna, infatti, non ha rispettato il precetto giudiziale in diverse occasioni, negando alla persona offesa la possibilità di incontrare i figli. Questa scelta dell'imputata è stata continuativa nel tempo e ha dimostrato una volontà di eludere il provvedimento reso in occasione della omologazione della separazione consensuale.

La serialità delle azioni, che indica una personalità che non merita il vantaggio previsto dall'articolo art. 131 bis del c.p. del Codice penale, esclude la non punibilità per particolare tenuità del fatto. La Corte di Appello ha commesso un errore non valutando questo elemento e l'intensità del dolo che ha guidato la condotta dell'imputata, che non ha mostrato alcuna volontà di trovare soluzioni più accomodanti per tutte le parti coinvolte e per rispettare il provvedimento giudiziale.

In relazione alle condotte poste in essere dal reo, pertanto, il ricorso della Procura Generale deve essere accolto, rinviando alla Corte di Appello per un nuovo giudizio, che dovrà tenere conto delle osservazioni e indicazioni contenute nella sentenza della Cassazione n. 1933/2023.


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