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Randagismo: chi è responsabile per i danni causati dagli animali?

Randagismo: chi è responsabile per i danni causati dagli animali?
Secondo la Cassazione, al fine di stabilire chi debba risarcire i danni causati dagli animali randagi, occorre analizzare le diverse normative regionali ed individuare l'ente responsabile per la cattura e la custodia degli animali stessi.
Se investiamo un cane randagio e la nostra auto subisce dei danni, a chi possiamo rivolgerci per il risarcimento?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15167 del 20 giugno 2017, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Giudice di Pace di Viterbo aveva condannato il Comune di Viterbo e l’Azienda Sanitaria Locale a risarcire un soggetto, che aveva investito un cane randagio, con conseguenti danni alla propria autovettura.

Il Tribunale aveva, tuttavia, riformato questa decisione, ritenendo che, sulla base di quanto stabilito dalla legge regionale n. 34 del 1997, dovesse ritenersi responsabile in via esclusiva l’Azienda Sanitaria, dal momento che alla stessa era demandata la responsabilità della cattura dei cani randagi.

Ritenendo la decisione ingiusta, l’Azienda Sanitaria decideva di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.

La ricorrente, in particolare, si richiamava alla succitata legge regionale, nonché alla legge statale n. 281 del 1997 (legge in materia di prevenzione del randagismo), osservando che “la prevenzione del fenomeno del “randagismo” sarebbe di esclusiva competenza dei comuni che si dovrebbero attivare per la rimozione del pericolo, eventualmente segnalando il fenomeno alla ASL territorialmente competente per gli adempimenti di sua spettanza (tra cui la cattura dei cani randagi, ma soltanto su segnalazione appunto del comune o, tutt’al più, su segnalazione di altri enti o di privati cittadini)”.


La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover dar ragione alla ricorrente, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.

Evidenziava la Cassazione, in particolare, che la responsabilità per i danni causati dai cani randagi spetta esclusivamente all’ente cui è attribuito per legge “il compito di prevenire il pericolo specifico per l’incolumità della popolazione connesso al randagismo, e cioè il compito della cattura e della custodia dei cani vaganti o randagi”.

In tal senso, infatti, si era espressa la stessa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12495 del 2017.

Nel caso di specie, dunque, secondo la Corte, il principio doveva essere ribadito, dal momento che “l’attribuzione per legge ad uno o più determinati enti pubblici del compito della cattura e quindi della custodia degli animali vaganti o randagi (e cioè liberi e privi di proprietario) costituisce il fondamento della responsabilità per i danni eventualmente arrecati alla popolazione dagli animali suddetti, anche quanto ai profili civilistici conseguenti all’inosservanza di detti obblighi di cattura e custodia”.

Di conseguenza, poiché la legge statale n. 281 del 1991 non indica direttamente a quale ente spetti di catturare e custodire i cani randagi, rimettendo alle Regioni la regolamentazione concreta di questa materia, occorreva, secondo la Cassazione, analizzare la normativa regionale.

Ebbene, per quanto riguardava la regione Lazio, in cui era avvenuto l’episodio oggetto di contestazione, la Cassazione evidenziava che la legge regionale n. 34 del 1997 attribuiva ai Comuniil compito di cattura dei randagi e di custodia degli stessi nelle apposite strutture”, restando fermo il fatto che i servizi veterinari delle ASL dovevano, comunque, provvedere alla tenuta dei canili pubblici gestiti dai Comuni.

Ciò considerato, la Cassazione giungeva alla conclusione di dover affermare la responsabilità per i danni causati dal cane randagio in questione sia del Comune di Viterbo che dell’Azienda Sanitaria Locale, dal momento che entrambi tali enti non avevano assicurato la cattura e la custodia dell’animale.

Ciò considerato, la Corte di Cassazione annullava la sentenza impugnata, confermando integralmente la sentenza che era stata resa, in primo grado, dal Giudice di Pace di Viterbo.


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