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Il genitore non può più pretendere dall’ex coniuge un contributo nel mantenimento del figlio convivente se questi perde il lavoro

Famiglia - -
Il genitore non può più pretendere dall’ex coniuge un contributo nel mantenimento del figlio convivente se questi perde il lavoro
Il figlio che abbia in passato iniziato ad espletare un’attività lavorativa, ha dimostrato il raggiungimento di una adeguata capacità, determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento (se previsto) ad opera del genitore.
E’ del 16 maggio 2017 un’altra interessante sentenza della Corte di Cassazione in tema di divorzio e di dovere di mantenere i figli, sancito, in linea generale, dall'art. 147 c.c. (sentenza n. 12063 del 16 maggio 2017).
In particolare, se il figlio maggiorenne economicamente indipendente perde il lavoro, il genitore con lui convivente può pretendere dall’ex coniuge la corresponsione di un assegno mensile a titolo di contributo nel mantenimento del figlio, non più economicamente autosufficiente?
Nel caso esaminato dalla Cassazione, era stato dichiarato il divorzio di una coppia e sia il Tribunale che la Corte d’appello avevano rigettato la domanda dell’ex moglie, volta ad ottenere l’attribuzione di un assegno divorzile, di una quota del TFR percepito dall’ex marito e di un contributo per il mantenimento del figlio maggiorenne della coppia.
Secondo la Corte d’appello, in particolare, le condizioni economiche della donna erano migliorate da quando i coniugi si erano separati (in sede di separazione, alla donna era stato riconosciuto il diritto ad un assegno mensile di mantenimento di Euro 150), mentre erano rimaste invariate quelle dell’ex marito.
Inoltre, la donna beneficiava anche di una pensione di Euro 650 mensili e non era stata fornita alcuna prova del precedente tenore di vita matrimoniale.
La Corte d’appello, dunque, aveva rigettato sia la domanda di assegno divorzile, sia quella di assegnazione di una quota del TFR dell’ex marito.

Per quanto riguarda, invece, la domanda di contributo al mantenimento del figlio maggiorenne, la Corte d’appello evidenziava che quest’ultimo aveva 33 anni ed era economicamente indipendente, tanto che lo stesso aveva un contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Di conseguenza, anche la domanda riferita al mantenimento del figlio doveva essere rigettata.
Ritenendo la decisione ingiusta, l’ex moglie decideva di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Secondo la ricorrente, infatti, la Corte d’appello non avrebbe adeguatamente tenuto in considerazione il fatto che vi era una certa disparità di reddito tra i due ex coniugi e che il figlio era attualmente disoccupato, essendo il medesimo stato licenziato dal proprio datore di lavoro.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione alla ricorrente, rigettando il relativo ricorso.
Osservava la Cassazione, in proposito, che la donna aveva proposto ricorso evidenziando che il figlio maggiorenne, il quale aveva raggiunto l’indipendenza economica, l’aveva successivamente perduta, essendo stato licenziato.
Tuttavia, la domanda di contributo nel mantenimento del figlio non poteva essere accolta, dovendosi escludere il diritto dell’ex coniuge di ottenere dall’altro ex coniuge un assegno per il mantenimento del figlio maggiorenne convivente, al momento non autosufficiente economicamente, se questi “abbia in passato iniziato ad espletare un’attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di una adeguata capacità e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento (se previsto) ad opera del genitore”.

In sostanza, una volta che il figlio raggiunga l’indipendenza economica, il genitore convivente non può più pretendere dall’ex coniuge un contributo nel suo mantenimento, a prescindere dal fatto che il figlio, successivamente, perda il lavoro e l’indipendenza economica.

Ciò considerato, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dall’ex moglie, confermando integralmente la sentenza resa dalla Corte d’appello e compensando tra le parti le spese processuali.


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