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Diritto penale -

Delitti contro l'eguaglianza e libertą di manifestazione del pensiero

AUTORE:
ANNO ACCADEMICO: 2022
TIPOLOGIA: Tesi di Laurea Magistrale
ATENEO: Universitą degli Studi di Perugia
FACOLTÀ: Giurisprudenza
ABSTRACT
“Delitti contro l’eguaglianza” è il titolo che il legislatore ha scelto di assegnare alla Sezione I bis del Capo III, Titolo XII del Codice Penale, contenente due norme introdotte nel codice solo nel 2018, ma di creazione ben più risalente.
Gli attuali artt. 604 bis e 604 ter c.p., infatti, nascono con la Legge 13 ottobre 1975, n. 654, c.d. legge Reale, con cui si è inteso dare attuazione alla Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, firmata a New York il 7 Marzo 1966. Le disposizioni della legge Reale vengono poi modificate più volte a partire dalla legge Mancino (Legge di conversione 25 giugno 1993, n. 205 del decreto legge 26 aprile 1993, n. 122), fino all’introduzione dell’aggravante di negazionismo avutasi nel 2016.
A livello internazionale, tali fattispecie si collocano nella categoria degli Hate crimes, ossia i crimini commessi nei confronti di determinati soggetti in ragione di loro caratteristiche immodificabili, tra cui la razza, l’etnia, la nazionalità, la religione.
La collisione con la libertà di manifestazione del pensiero emerge allora in modo evidente se si considera che della categoria degli Hate Crimes fanno parte anche le norme che puniscono l’Hate Speech, ossia «ogni comportamento consistente nell’istigazione pubblica alla violenza o all’odio nei confronti di un gruppo di persone, o di un suo membro, definito in riferimento alla razza, al colore, alla religione, all’ascendenza o all’origine nazionale o etnica».
Le fattispecie di propaganda ed istigazione di cui al primo comma dell’art. 604 bis c.p. rimandano direttamente alla più generale categoria dei reati di opinione, e all’annoso dibattito svoltosi a livello giurisprudenziale e dottrinale sull’alternativa tra pericolo astratto e pericolo concreto.
Dunque, nell’esplorare il terreno di ciò che precede i delitti contro l’eguaglianza, non può non considerarsi il contributo dato dalla Corte Costituzionale con alcune sentenze degli anni ’70 riguardanti il rapporto tra i limiti alla libertà di manifestazione del pensiero e il diritto penale. Tra queste, la cardinale sentenza n. 65 del 1970, con cui la Corte si è espressa sull’apologia di delitti di cui all’art. 414, comma 3, c.p.; a seguire nel 1974 la Corte è intervenuta anche sull’istigazione all’odio fra le classi sociali, di cui all’art. 415 c.p., dichiarando la norma illegittima nella parte in cui non prevede che l’istigazione pubblica all’odio tra le classi sociali debba essere attuata in modo pericoloso per la pubblica tranquillità, poiché solo in questi termini può dirsi sussistente un pericolo concreto, idoneo a giustificare la compressione della libertà di manifestazione del pensiero.
L’alternativa tra le due tecniche di incriminazione del pericolo concreto e del pericolo astratto si ripropone allora anche per i delitti contro l’eguaglianza: il dibattito interessa non solo la giurisprudenza, ma anche la dottrina, chiamate ad analizzare sia le fattispecie di istigazione e propaganda di cui al primo comma, ma anche la fattispecie associativa di cui al comma 2 dell’art. 604 bis c.p. e il fenomeno del negazionismo.
Un ausilio nell’analisi delle norme in questione viene dalla scienza comparatistica, che permette di volgere lo sguardo ad altri ordinamenti, ad esempio la Francia, la Spagna, la Germania, ma anche gli ordinamenti di Common Law, confrontando tecniche di incriminazione e scelte di criminalizzazione.
Il tema dei delitti contro l’eguaglianza si dimostra estremamente attuale, soprattutto dopo il sentito dibattito sul c.d. D.d.l. Zan per la lotta contro le discriminazioni legate al sesso, al genere, all’identità di genere o all’orientamento sessuale, nonché alla disabilità. In un ambito così strettamente giuridico, un ruolo rilevante viene riservato a componenti sociali: la comunicazione veloce e diffusiva garantita dall’uso dei social network si intreccia con l’analisi dell’evento di pericolo e il pregresso storico delle Nazioni entra nelle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, e sembra giustificare scelte di politica criminale diverse in materia di negazionismo.

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