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Si dice Avvocata o Avvocato? Battaglia ideologica e dibattito aperto: ma per l'Accademia della Crusca non ci sono dubbi

Si dice Avvocata o Avvocato? Battaglia ideologica e dibattito aperto: ma per l'Accademia della Crusca non ci sono dubbi
Avvocato o avvocata? O ancora avvocatessa? Parità dei sessi anche nella scrittura giuridica, la Corte di Cassazione chiede indicazioni all'Accademia della Crusca
Ancora nel 2023 le donne che esercitano da professioniste, o ricoprono ruoli istituzionali, vengono quasi sempre appellate al maschile. Lo stesso capita nel mondo giuridico, dove si fa ancora fatica a chiamare le giuriste con l'appellativo di avvocata, magistrata, notaia. C'è da chiedersi perché mai, se stiamo parlando di professioniste? E soprattutto, qual è la forma corretta prevista dalla lingua italiana?

Innanzitutto, è bene sapere che l'Italiano non è una lingua neutra, ma prevede nel suo corretto utilizzo due generi: il femminile e il maschile.
L'avvocato è un nome di genere mobile, cioè declinabile sia al maschile che al femminile. Di conseguenza, secondo la grammatica italiana, se a svolgere la professione legale è una donna, l'appellativo più corretto è avvocata, non certamente avvocato, che risulta grammaticalmente scorretto, e nemmeno avvocatessa. Questo perché nella lingua italiana il suffisso "-essa", applicato a nomi che al maschile non terminano per “e”, ha una valenza dispregiativa o ironica. Infatti, le donne in “-essa” sono nate in un periodo storico in cui questo suffisso veniva usato in modo burlesco o per indicare “la moglie di”, come la sindachessa o la presidentessa. Il dibattito in realtà è ancora aperto: l'Accademia della Crusca ammette entrambe le forme (avvocata o avvocatessa) senza prevalenza dell'una sull'altra. Diversamente da ciò, la nota sociolinguista Vera Gheno, così come altri linguisti, ritengono che il termine corretto sia avvocata. Ciò è comprensibilmente preferibile perché più incline a un uso non discriminatorio della lingua italiana. L'Accademia della Crusca si è recentemente espressa sul tema del linguaggio di genere, a seguito del quesito proposto dal Comitato Pari opportunità del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione , sulla corretta scrittura degli atti giudiziari.

Il responso della Crusca può essere utilizzato in tutti gli ambiti e non solo in quello giuridico. L'Accademia sostiene che va utilizzato un linguaggio non discriminatorio. Insomma, anche la scrittura deve rispecchiare la parità dei sessi.
Difatti, secondo l'Accademia, «si deve far ricorso in modo sempre più esteso ai nomi di professione declinati al femminile. Questi nomi possono essere ricavati con l'applicazione delle normali regole di grammatica». Ecco alcuni esempi:
  • per i nomi che terminano al maschile in -o o al femminile in -a: architetto/architetta, ingegnere/ingegnera, magistrato/magistrata, notaio/notaia, prefetto/prefetta, avvocato/avvocata, maresciallo/marescialla, capitano/capitana;
  • per i nomi che terminano in -e, cc.dd. nomi “epicèni” (che hanno un'unica forma per il maschile e il femminile): il docente/la docente, il giudice/la giudice, il testimone/la testimone, il cancelliere/la cancelliera, il presidente/la presidente, il giudice istruttore/la giudice istruttrice, non la giudice istruttore, il dirigente scolastico/la dirigente scolastico.

Quindi, non si tratta di una presa di posizione del mondo femminile, bensì del semplice rispetto delle regole grammaticali già esistenti. Nel suo libro “Femminili singolari”, Vera Gheno sostiene: “Le forzature e le stonature che alcune persone dichiarano di percepire quando si declinano certificati termini al femminile, perciò, non possono essere ricondotte a motivazioni grammaticali e morfologiche quanto a una questione di abitudine o a un fatto socio -culturale, per cui il ricorso al femminile – stereotipicamente considerato come più debole rispetto al maschile – porta a immaginare uno sviluppo della carica o del ruolo professionale ”.

L'utilizzo del “maschile incluso” (grammaticamente scorretto) è una scelta ideologico-culturale, di una società che non rispecchia più quella attuale, ora che le donne ricoprono ruoli di potere e svolgono professioni che fino a qualche decennio fa appartenevano solo agli uomini.

Il linguaggio è uno strumento potente di rappresentazione del mondo, e la mancata declinazione dei ruoli al femminile fa un enorme danno alla società, perché non le permette di stare al passo coi tempi. Pretendere che avvocato al femminile venga declinato avvocata significa pretendere il rispetto della lingua italiana. In conclusione, una cosa è certa: la grammatica è chiara, la vera battaglia da affrontare è solo culturale.


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