Cassazione penale Sez. III sentenza n. 11962 del 6 dicembre 1995

(2 massime)

(massima n. 1)

Un comportamento venatorio consentito dalla L. 11 febbraio 1992, n. 157 non può integrare gli estremi del reato di maltrattamento di animali di cui all'art. 727 c.p., anche se è idoneo a cagionare sofferenze agli stessi, poiché il fatto è scriminato a norma dell'art. 51 c.p., purché le concrete modalità di attuazione della pratica non sottopongano l'animale ad un aggravamento di sofferenze non giustificate dalle esigenze della caccia. (Nella fattispecie la Cassazione ha ritenuto che configuri una pratica venatoria consentita dall'art. 21 della legge sulla caccia l'utilizzo come richiamo di uccelli legati con imbracatura attorno al capo, sia in quanto non espressamente vietata, sia in quanto meno dolorosa rispetto a quella, di legare l'animale per le ali, per la quale è stato fissato il divieto.

(massima n. 2)

Una pratica venatoria che è consentita dalla L. 11 febbraio 1992, n. 157 non può essere punita a norma dell'art. 727 c.p. (maltrattamento di animali), poiché il fatto è scriminato a norma dell'art. 51 c.p. in quanto costituisce l'esercizio di un diritto. Non ricorre una tale esimente nel caso in cui la pratica venatoria, pur essendo consentita a norma della citata L. n. 157 del 1992, per le sue concrete modalità di attuazione sottopone l'animale ad un aggravamento di sofferenze non giustificate dalle esigenze della caccia. (Nella specie la Suprema Corte, considerato che la L. n. 157 del 1992 all'art. 21 vieta l'uso di uccelli come richiamo nel caso in cui l'animale è legato per le ali, mentre nella specie l'allodola venne legata con una imbracatura attorno al corpo, ha ritenuto che gli imputati adattarono una pratica venatoria consentita dalla predetta legge, sia perché non espressamente vietata e sia perché certamente meno dolorosa per l'animale rispetto a quella per la quale è stato fissato il divieto).

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