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Il datore di lavoro può controllare la cronologia del browser del dipendente?

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Il datore di lavoro può controllare la cronologia del browser del dipendente?
La Cassazione ha chiarito che il Jobs Act consente di monitorare la navigazione su internet del dipendente per verificarne la diligenza.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 32760 del 9 novembre 2021, è tornata sul tema delle sanzioni disciplinari irrogate al dipendente per aver navigato online a scopi personali utilizzando la rete aziendale e in orario di lavoro, precisando che dal 2015 è consentito che il datore di lavoro monitori la cronologia del lavoratore.
In particolare, la Suprema Corte ha sottolineato la differenza del regime precedente all’introduzione del c.d. Jobs Act rispetto a quello attualmente vigente, introdotto appunto dal D. Lgs. n. 151 del 2015:
  • prima del 2015, infatti, il controllo a distanza era rigidamente vietato, salvo fosse necessario alla luce delle esigenze di sicurezza e di tutela del patrimonio aziendale. Solo in tali casi, quindi, il datore di lavoro poteva tracciare la navigazione online del dipendente, fermo il rispetto della procedura richiesta dall’art. 4 Statuto dei Lavoratori, per cui gli strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori possono essere installati solo previo accordo collettivo, stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In assenza di tale accordo, pertanto, la sanzione non poteva essere applicata;
  • dopo il 2015, invece, il datore di lavoro può controllare la navigazione online condotta dal dipendente al fine di verificarne la diligenza nello svolgimento del proprio lavoro. A tale affermazione la Suprema Corte giunge valorizzando il fatto che il c.d. Jobs Act ha modificato l’art. 4 comma 2 Statuto dei Lavoratori, il quale ora recita che la disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa. Non può più, pertanto, ritenersi vietato il tracciamento dell’attività online del lavoratore dipendente allo scopo di vagliarne la diligenza nello svolgimento dell’attività lavorativa ed eventualmente irrogare una sanzione disciplinare a suo carico.
La vicenda giunta all’attenzione della Suprema Corte, segnatamente, riguardava la sanzione disciplinare (consistente nella sospensione dal lavoro e dal diritto alla retribuzione per un giorno) irrogata – prima dell’introduzione del c.d. Jobs Act – da una famosa casa di moda ad un lavoratore dipendente, il quale nel periodo prenatalizio aveva navigato online dal computer aziendale. Tale navigazione, nello specifico, era avvenuta in orario di lavoro ed era rivolta alla soddisfazione di interessi del tutto personali del dipendente, atteso che i siti internet da questo consultati erano di carattere commerciale.
Il lavoratore aveva quindi impugnato la sanzione e il Tribunale gli aveva dato ragione, ritenendo che il controllo a distanza operato dal datore di lavoro fosse illegittimo in quanto era stato condotto in totale ignoranza della procedura imposta dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori. Inoltre, il datore di lavoro non aveva fornito la prova del fatto che il controllo fosse finalizzato a soddisfare esigenze di sicurezza o di tutela del patrimonio aziendale, requisiti – come visto – al tempo necessari per il monitoraggio della navigazione online del dipendente.
La Corte d’appello, successivamente, aveva confermato la sentenza di prime cure, condividendone la motivazione.
Avverso tale provvedimento giurisdizionale aveva allora proposto ricorso la casa di moda, ma anche tale gravame è stato rigettato dalla Cassazione: la Corte, nel chiarire come nel caso di specie fosse applicabile ratione temporis la previgente disciplina e dunque come il controllo posto in essere dalla casa di moda fosse effettivamente illegittimo, ha operato le importanti precisazioni sopra riportate sulle regole attuali.


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