Cassazione penale Sez. Unite sentenza n. 16103 del 30 aprile 2002

(4 massime)

(massima n. 1)

In tema di correzione dell'errore di fatto, poiché la relativa richiesta è ammessa solo a favore del condannato e l'art. 625 bis c.p.p. ha natura di norma eccezionale, possono costituire oggetto dell'impugnazione straordinaria esclusivamente quei provvedimenti della Corte di cassazione che rendono definitiva una sentenza di condanna e non anche le altre decisioni che intervengono in procedimenti incidentali.

L'omesso esame di un motivo di ricorso per cassazione non dà luogo ad errore di fatto rilevante a norma dell'art. 625 bis c.p.p., né determina incompletezza della motivazione della sentenza allorché, pur in mancanza di espressa disamina, il motivo proposto debba considerarsi implicitamente disatteso perché incompatibile con la struttura e con l'impianto della motivazione, nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima, ovvero quando l'omissione sia soltanto apparente, risultando le censure formulate con il relativo motivo assorbite dall'esame di altro motivo preso in considerazione, giacché, in tal caso, esse sono state comunque valutate, pur essendosene ritenuta superflua la trattazione per effetto della disamina del motivo ritenuto assorbente; mentre deve essere ricondotto alla figura dell'errore di fatto quando sia dipeso da una vera e propria svista materiale, cioè da una disattenzione di ordine meramente percettivo che abbia causato l'erronea supposizione dell'inesistenza della censura, la cui presenza sia immediatamente e oggettivamente rilevabile in base al semplice controllo del contenuto del ricorso. (La Corte in motivazione ha precisato che la mera qualificazione della svista in questione come errore di fatto non può tuttavia giustificare, di per sé, l'accoglimento del ricorso straordinario proposto a norma dell'art. 625 bis c.p.p., possibile solo ove si accerti che la decisione del giudice di legittimità sarebbe stata diversa se fosse stato vagliato il motivo di censura dedotto).

(massima n. 2)

In tema di procedimento per la correzione dell'errore di fatto nei provvedimenti della Corte di cassazione, nell'ipotesi in cui il ricorso straordinario sia dichiarato inammissibile, all'esito di udienza, la relativa pronuncia deve assumere la forma della sentenza, atteso che il comma 4 dell'art. 625 bis c.p.p. impone l'adozione dell'ordinanza nei soli casi in cui l'inammissibilità sia dichiarata de plano senza l'instaurazione del contraddittorio e che — al di fuori dei casi previsti da specifiche disposizioni di legge — la sentenza corrisponde all'ordinaria forma delle decisioni della Corte di cassazione, anche se dichiarative dell'inammissibilità del ricorso, siano esse adottate nell'udienza pubblica o in quella camerale, partecipata o non.

(massima n. 3)

In tema di ricorso straordinario per errore di fatto, poiché l'art. 625 bis, comma 4, c.p.p. dispone che la Corte di cassazione, se accoglie la richiesta, adotta i provvedimenti necessari per correggere l'errore, l'esito del procedimento camerale conseguente alla proposizione di tale mezzo straordinario di impugnazione va individuato di volta in volta in relazione alle peculiari connotazioni delle singole situazioni processuali. Ne consegue che, pur restando il momento rescindente e quello rescissorio sempre distinguibili concettualmente, la definizione della procedura non deve necessariamente articolarsi nelle due distinte fasi della immediata caducazione del provvedimento viziato e della successiva udienza, pubblica o in camera di consiglio, per la celebrazione del rinnovato giudizio sul precedente ricorso per cassazione e può ben avvenire con l'immediata pronuncia della decisione che, se è di accoglimento del ricorso, non rappresenta una semplice «correzione» di quella precedente, ma la sostituisce in toto.

(massima n. 4)

L'errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimedio previsto dall'art. 625 bis c.p.p. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall'influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall'inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso. (La Corte ha precisato in motivazione che: 1) qualora la causa dell'errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì un giudizio; 2) sono estranei all'ambito di applicazione dell'istituto gli errori di interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l'attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati, nonché gli errori percettivi in cui sia incorso il giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere — anche se risoltisi in travisamento del fatto — soltanto nelle forme e nei limiti delle impugnazioni ordinarie; 3) l'operatività del ricorso straordinario non può essere limitata alle decisioni relative all'accertamento dei fatti processuali, non risultando giustificata una simile restrizione dall'effettiva portata della norma in quanto l'errore percettivo può cadere su qualsiasi dato fattuale).

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