Cassazione penale Sez. I sentenza n. 1381 del 17 maggio 1995

(3 massime)

(massima n. 1)

Gli indizi, che sono le prove indirette del fatto, inseriti in una serie causale costituiscono anelli di una catena di rapporti naturali costantemente uniformi e di comportamenti umani che secondo l'id quod plerumque accidit conducono ad un risultato secondo le leggi della psicologia per cui, in linea di massima, data un'azione, si può formulare un giudizio probabilistico su altre che l'hanno preceduta e che la seguiranno: probabilità che diventa certezza (rilevante per l'affermazione della responsabilità penale) se i rapporti o i comportamenti sono plurimi e convergenti, inequivoci nella loro direzione finalistica e conducenti ad univoca interpretazione da parte del giudice. Attraverso questa si ricostruisce il fatto ignoto (colpevolezza dell'imputato) con un giudizio complessivo dei dati che tenga conto del loro valore intrinseco e delle connessioni tra essi esistenti e che conduca alla prova indiziaria, che viene ad avere normativamente analoga efficacia della prova diretta. In tale contesto, quando nell'iter argomentativo della sentenza la catena viene interrotta con l'innesto di una serie causale autonoma, per sfuggire al vizio dell'illogicità va data da parte del giudice rigorosa e convincente spiegazione — e nella specie ciò è mancato da parte del giudice d'appello — della scelta adottata e del privilegio accordato a soluzioni divergenti dal percorso motivazionale originario conducente coerentemente in direzione della responsabilità dell'imputato.

(massima n. 2)

La decisione del giudice di appello, che comporti totale riforma della sentenza di primo grado, impone la dimostrazione dell'incompletezza o della non correttezza ovvero dell'incoerenza delle relative argomentazioni con rigorosa e penetrante analisi critica seguita da corretta, completa e convincente motivazione che, sovrapponendosi a tutto campo a quella del primo giudice, senza lasciare spazio alcuno, dia ragione delle scelte operate e del privilegio accordato ad elementi di prova diversi o diversamente valutati. L'alternatività della spiegazione di un fatto non attiene al mero possibilismo, come tale esercitazione astratta del ragionamento disancorata dalla realtà processuale, ma a specifici dati fattuali che rendano verosimile la conclusione di un iter logico cui si perviene senza affermazioni apodittiche. Il supporto motivazionale di una decisione giurisdizionale per essere logico deve essere conforme ai canoni che presiedono alle forme corrette del ragionamento in direzione della dimostrazione della verità. (Nella specie la corte di assise di appello, dopo aver riconosciuto l'esistenza di un plausibile movente, dopo aver considerato che gli imputati avevano trascorso sicuramente con la vittima buona parte del tempo che aveva preceduto la sua uccisione e dopo aver posto in rilievo che i medesimi imputati avevano avuto la possibilità di commettere l'omicidio, con evidente salto logico prospettava, in maniera del tutto generica e disancorata da concreti elementi emersi dal processo, ipotesi alternative in ordine all'omicidio in questione).

(massima n. 3)

Poiché l'imputabilità di cui all'art. 88 c.p. e la capacità di partecipare al processo penale di cui all'art. 70 c.p.p., pur costituendo stati soggettivi accomunati dall'infermità mentale, operano su piani del tutto diversi ed autonomi, non ha alcuna incidenza sull'accertamento della capacità dell'imputato di essere parte e sulla eventuale sospensione del procedimento l'impedimento, derivante dalla declaratoria di incostituzionalità dell'art. 425, n. 1, c.p.p., all'adozione, nell'udienza preliminare, della pronuncia di non luogo a procedere per difetto di imputabilità, conseguentemente deve considerarsi abnorme, e come tale immediatamente ricorribile per cassazione, il provvedimento del giudice dell'udienza preliminare che disattende la richiesta di accertamenti sulla capacità dell'imputato di parteciparvi, argomentando che il difetto di imputabilità può essere dichiarato solo dal giudice del dibattimento: tale rifiuto incide infatti su uno dei fondamentali e indefettibili presupposti richiesti dalla legge ai fini della costituzione e dello svolgimento del rapporto processuale, il cui cardine è rappresentato dal fatto che esso deve necessariamente far capo ad un soggetto capace di partecipare coscientemente al processo, come premessa essenziale della possibilità di autodifesa e quale garanzia del «giusto processo» presidiata dall'art. 24 della Costituzione.

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