Cassazione civile Sez. II sentenza n. 1403 del 12 settembre 1970

(3 massime)

(massima n. 1)

Il primo comma dell'art. 733 c.c. riconosce al testatore il potere di dettare norme per la composizione delle porzioni, i cosiddetti assegni obbligatori divisionali, attribuendo all'assegnatario il diritto di pretendere che nella futura divisione il bene o i beni assegnati siano imputati alla propria quota a titolo di apporzionamento. Il secondo comma dell'art. 733 c.c., invece, riconosce al testatore il potere di designare una persona, che non sia erede o legatario, affidandole (analogamente a quanto può fare nei confronti dell'esecutore testamentario, ex art. 706 c.c.) non solo il compito di procedere alla stima, ma anche quello di effettuare la divisione dei beni, ossia di compiere tutti gli atti necessari per giungere allo scioglimento della comunione ereditaria. Il potere del testatore di cui al primo comma dell'art. 733 c.c. importa quello di attribuire ad altri, ed anche all'erede istituito nella disponibile, la facoltà di scegliere, con effetto vincolante per i legittimari, il bene o i beni da includere nella propria quota, così determinandone la composizione qualitativa (nella specie: una persona, testando, aveva attribuito al proprio figlio la facoltà di «indicare e scegliere l'eredità spettantegli su uno o più cespiti dell'intero asse» e la Corte di cassazione ha ritenuto che tale disposizione rientrasse, sotto il profilo di una delega del potere di cui al primo comma dell'art. 733 c.c., nell'ipotesi ivi prevista e non già in quella di cui al comma secondo dello stesso articolo).

(massima n. 2)

L'art. 590 c.c., il quale, al pari di quanto stabilisce in tema di contratti l'art. 1444, dal quale si distingue unicamente per il fatto che questo è applicabile ai soli casi di annullabilità (quello è invece applicabile a tutte le ipotesi di nullità da qualunque causa derivante), richiede che il soggetto, a cui spettava l'azione di annullamento, abbia confermato la disposizione testamentaria viziata o vi abbia dato volontaria esecuzione, concedendo il motivo di invalidità e ponendo in essere un comportamento inconciliabile con la volontà di impugnarla.

(massima n. 3)

La disposizione contenuta nell'art. 500 c.c. (recte: 549 – N.d.R.) va interpretata nel senso che la quota di legittima non è suscettibile di oneri o condizioni che ne diminuiscano il valore, cioè la sua entità, e nel senso che al detto limite quantitativo si aggiunga un limite qualitativo.

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