Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 1040 del 3 maggio 1994

(1 massima)

(massima n. 1)

Nel disciplinare l'istituto dell'appello in materia di misure cautelari, l'art. 310 c.p.p., mentre espressamente si richiama alle disposizioni dettate dall'art. 309 c.p.p. per quanto concerne la procedura, nulla specifica circa i poteri decisori del tribunale e la tipologia dei provvedimenti adottabili a seguito della proposta impugnazione. Per ragioni di coerenza dell'ordinamento, tale silenzio assume il significato di un rinvio implicito, per tutto ciò che non trova espressa previsione nel disposto dell'art. 310 c.p.p., ai principi e alle norme che disciplinano l'istituto dell'appello, nelle parti che si rendono applicabili. Ne consegue che il tribunale, quale giudice di appello dei provvedimenti in materia di libertà personale, essendo tenuto a pronunciarsi unicamente con le formule conclusive proprie del giudizio di merito — conferma o riforma del provvedimento impugnato — non può annullare lo stesso per difetto di motivazione, ma deve invece, nel rispetto del principio tantum devolutum quantum appellatum, provvedere a completare la stessa, integrandola in tutto o in parte.

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