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Articolo 73 Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR)

(D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917)

[Aggiornato al 01/01/2024]

Soggetti passivi

Dispositivo dell'art. 73 TUIR

1. Sono soggetti all'imposta sul reddito delle società:

  1. a) le società per azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative e le società di mutua assicurazione, nonché le società europee di cui al regolamento (CE) n. 2157/2001 e le società cooperative europee di cui al regolamento (CE) n. 1435/2003 residenti nel territorio dello Stato;
  2. b) gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali;
  3. c) gli enti pubblici e privati diversi dalle società, i trust che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale nonché gli organismi di investimento collettivo del risparmio, residenti nel territorio dello Stato;
  4. d) le società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato.

2. Tra gli enti diversi dalle società, di cui alle lettere b) e c) del comma 1, si comprendono, oltre alle persone giuridiche, le associazioni non riconosciute, i consorzi e le altre organizzazioni non appartenenti ad altri soggetti passivi, nei confronti delle quali il presupposto dell'imposta si verifica in modo unitario e autonomo. Tra le società e gli enti di cui alla lettera d) del comma 1 sono comprese anche le società e le associazioni indicate nell'articolo 5. Nei casi in cui i beneficiari del trust siano individuati, i redditi conseguiti dal trust sono imputati in ogni caso ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell'atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi ovvero, in mancanza, in parti uguali.

3. Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la sede di direzione effettiva o la gestione ordinaria in via principale. Per sede di direzione effettiva si intende la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l'ente nel suo complesso. Per gestione ordinaria si intende il continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l'ente nel suo complesso. Gli organismi di investimento collettivo del risparmio si considerano residenti se istituiti in Italia. Si considerano altresì residenti nel territorio dello Stato, salvo prova contraria, i trust e gli istituti aventi analogo contenuto istituiti in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze emanato ai sensi dell'articolo 11, comma 4, lettera c), del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, in cui almeno uno dei disponenti e almeno uno dei beneficiari del trust sono fiscalmente residenti nel territorio dello Stato. Si considerano, inoltre, residenti nel territorio dello Stato, salvo prova contraria, i trust istituiti in uno Stato diverso da quelli di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze emanato ai sensi dell'articolo 11, comma 4, lettera c), del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, quando, successivamente alla loro costituzione, un soggetto residente nel territorio dello Stato effettui in favore del trust un'attribuzione che importi il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, nonché vincoli di destinazione sugli stessi(1).

4. L'oggetto esclusivo o principale dell'ente residente è determinato in base alla legge, all'atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata. Per oggetto principale si intende l'attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall'atto costitutivo o dallo statuto.

5. In mancanza dell'atto costitutivo o dello statuto nelle predette forme, l'oggetto principale dell'ente residente è determinato in base all'attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato; tale disposizione si applica in ogni caso agli enti non residenti.

5-bis. Salvo prova contraria, si considerano altresì residenti nel territorio dello Stato le società ed enti che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, del codice civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1, se, in alternativa(1):

  1. a) sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell'articolo 2359, primo comma , del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato;
  2. b) sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

5-ter. Ai fini della verifica della sussistenza del controllo di cui al comma 5-bis, rileva la situazione esistente alla data di chiusura dell'esercizio o periodo di gestione del soggetto estero controllato. Ai medesimi fini, per le persone fisiche si tiene conto anche dei voti spettanti ai familiari di cui all'articolo 5, comma 5.

5-quater. Salvo prova contraria, si considerano residenti nel territorio dello Stato le società o enti il cui patrimonio sia investito in misura prevalente in quote o azioni di organismi di investimento collettivo del risparmio immobiliari, e siano controllati direttamente o indirettamente, per il tramite di società fiduciarie o per interposta persona, da soggetti residenti in Italia. Il controllo è individuato ai sensi dell'articolo 2359, commi primo e secondo, del codice civile, anche per partecipazioni possedute da soggetti diversi dalle società.

5-quinquies. I redditi degli organismi di investimento collettivo del risparmio istituiti in Italia, diversi dagli organismi di investimento collettivo del risparmio immobiliari, e di quelli con sede in Lussemburgo, già autorizzati al collocamento nel territorio dello Stato, di cui all'articolo 11-bis del decreto-legge 30 settembre 1983, n. 512, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 novembre 1983, n. 649, e successive modificazioni, sono esenti dalle imposte sui redditi purché il fondo o il soggetto incaricato della gestione sia sottoposto a forme di vigilanza prudenziale. Le ritenute operate sui redditi di capitale sono a titolo definitivo. Non si applicano le ritenute previste dai commi 2 e 3 dell'articolo 26 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e successive modificazioni, sugli interessi ed altri proventi dei conti correnti e depositi bancari, e le ritenute previste dai commi 3-bis e 5 del medesimo articolo 26 e dall'articolo 26-quinquies del predetto decreto nonché dall'articolo 10-ter della legge 23 marzo 1983, n. 77, e successive modificazioni.

Note

(1) Il presente articolo è stato modificato dall'art. 2, comma 1, lettere a) e b) del D. Lgs. 27 dicembre 2023, n. 209, che ha modificato i commi 3 e 5-bis, alinea.
Il D.Lgs. 27 dicembre 2023, n. 209 ha disposto (con l'art. 7, comma 2) che le presenti modifiche "si applicano a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto".

Massime relative all'art. 73 TUIR

Cass. civ. n. 20480/2019

Gli Istituti diocesani per il sostentamento del clero sono legittimati ad esercitare l'opzione per la rivalutazione dei beni immobili ed il versamento dell'imposta sostitutiva della tassazione della plusvalenza successivamente realizzata con la cessione degli stessi ove ed entro i limiti in cui svolgano in concreto, accanto ad attività di religione o di culto, attività di carattere commerciale.

Cass. civ. n. 16697/2019

In tema di imposte sui redditi, ricorre l'ipotesi di esterovestizione allorché una società, la quale ha nel territorio dello Stato la sede dell'amministrazione, da intendersi come luogo in cui si svolge in concreto la direzione e gestione dell'attività di impresa e dal quale promanano le relative decisioni, localizzi la propria residenza fiscale all'estero al solo fine di fruire di una legislazione tributaria più vantaggiosa.

Cass. civ. n. 15184/2019

In tema di IRES, ai fini dell'individuazione della residenza fiscale delle società ed enti, in base all'art. 73 (già 87), comma 3, del d.P.R. n. 917 del 1986 la nozione di "sede dell'amministrazione", in quanto contrapposta alla "sede legale", è assimilabile alla "sede effettiva" di matrice civilistica, intesa come il luogo di concreto svolgimento delle attività amministrative, di direzione dell'ente e di convocazione delle assemblee e, quindi, come luogo stabilmente utilizzato per l'accentramento, nei rapporti interni e con i terzi, degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell'impulso dell'attività dell'ente. (Fattispecie in tema di estero-vestizione di una società-madre avente sede in Olanda in cui la S.C., cassando la sentenza della C.T.R., ha ritenuto la nazionalità italiana ed inglese dei suoi amministratori non sintomatica dell'ubicazione della sede effettiva in Italia).

Cass. civ. n. 33234/2018

Ai fini della configurazione di un abuso del diritto di stabilimento, nell'ipotesi di esterovestizione, ossia di localizzazione fittizia della residenza fiscale di una società all'estero al solo fine di fruire di una legislazione tributaria più vantaggiosa, non è necessario accertare la sussistenza o meno di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale, ma occorre verificare l'effettività del trasferimento, cioè se la singola operazione sia meramente artificiosa, risolvendosi nella creazione di una forma giuridica che non riproduce una corrispondente e genuina realtà economica, fermo restando che la società esterovestita non è, per ciò solo, priva di autonomia giuridico-patrimoniale e, quindi, automaticamente qualificabile come "schermo" creato con l'unico obiettivo di farvi confluire i profitti degli illeciti fiscali.

Cass. civ. n. 32642/2018

In tema di prove civili, il riconoscimento di una presunzione favorevole ad una parte non comporta una deroga ai criteri ordinari di riparto dell'onere della prova di cui all'art. 2967 c.c., ma consente alla parte, che ne rimane gravata, di assolvervi mediante la presunzione stessa. (Nella specie, la S.C., in tema di eterovestizione, ha ritenuto che la presunzione di cui all'art. 73 del d.P.R. n. 917 del 1986 non esoneri il fisco dall'onere di provare la fittizietà della sede estera della società, in luogo di quella effettiva in Italia, ma gli consenta, in presenza di alcuni indici, di fornire tale dimostrazione mediante detta presunzione).

Cass. pen. n. 41683/2018

In tema di reati tributari, poiché la fattura deve essere emessa in duplice esemplare, il rinvenimento di uno di essi presso il terzo destinatario dell'atto può far desumere che il mancato rinvenimento dell'altra copia presso l'emittente sia conseguenza della sua distruzione o del suo occultamento.

In tema di reati tributari, appartiene all'accertamento del fatto - reato, da condurre secondo le regole proprie del diritto processuale penale e senza avvalersi di inversioni dell'onere della prova frutto del ricorso alle presunzioni fiscali, l'individuazione del "domicilio fiscale", che si identifica nel centro effettivo di direzione e di attività amministrativa dell'impresa, facendo riferimento ai criteri indicati dall'art. 162 d.P.R. n. 917 del 1986 sulla "stabile organizzazione" o agli indici elaborati dalla giurisprudenza comunitaria per identificare le società cd. "casella postale" o "schermo". (Fattispecie relativa a società con sede legale estera, controllata da impresa avente sede in Italia).

In tema di reati tributari, l'impossibilità di ricostruire il reddito od il volume d'affari derivante dalla distruzione o dall'occultamento di documenti contabili, elemento costitutivo del reato di cui all'art. 10 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 non deve essere intesa in senso assoluto, sussistendo anche quando è necessario procedere all'acquisizione della documentazione mancante presso terzi o aliunde. (In motivazione la Corte ha precisato che il reato deve essere escluso, per mancanza di offensività, solo nel caso in cui il risultato economico delle operazioni possa essere accertato in base ad altra documentazione conservata dallo stesso imprenditore).

Cass. civ. n. 22939/2018

In tema di IRES, ai fini della qualifica di ente non commerciale rileva l'esercizio, in via prevalente, di attività rese in conformità ai fini statutari non rientranti nelle fattispecie di cui all'art. 2195 c.c., svolte in mancanza di specifica organizzazione e verso il pagamento di corrispettivi non eccedenti i costi di diretta imputazione, con la conseguenza che va disconosciuto il regime di favore previsto dall'art. 143 (già 108) del d.P.R. n. 917 del 1986, per carenza di detti requisiti di "decommercializzazione", in caso di distribuzione degli utili, omessa compilazione del libro dei soci e mancata partecipazione degli associati alla vita dell'ente. (Fattispecie relativa ad associazione sportiva dilettantistica iscritta al Coni).

Comm. Trib. Reg. Lombardia n. 305/2018

La produzione del certificato di residenza fiscale soddisfa i requisiti richiesti per l’esenzione dall’effettuazione della ritenuta sugli interessi passivi di cui al comma 5 dell’art. 26 del d.p.r. n. 600/1973.

Comm. Trib. Prov. Milano n. 6814/2017

La certificazione di residenza rilasciata dalle autorità fiscali dello Stato membro in cui si trova la società presunta esterovestita (nel caso di lite, l’Olanda) ha validità probatoria e non può essere disconosciuta. Pertanto, alla luce dei principi di diritto comunitario di mutuo riconoscimento e leale cooperazione, l’avviso che accerti l’esterovestizione societaria deve essere fondato su prova certa circa l’autonomia giuridica, contrattuale, economica, finanziaria e funzionale della sede estera rispetto alle attività esercitate in Italia.

Cass. civ. n. 23812/2017

In tema di imposte dirette, gli accantonamenti indeducibili a fondo rischi, essendo effettuati in previsione di passività prive dei requisiti di certezza e di determinabilità, sono soggetti alla disciplina prevista dall'art. 75, comma 1, parte seconda, del d.P.R. n. 917 del 1986 (attuale art. 109, comma 1, parte seconda, del medesimo d.P.R.), sicché, derogando al principio di competenza, sono tassabili al momento della loro utilizzazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto corretto sottoporre a tassazione la plusvalenza utilizzata dalla società nell'esercizio in cui le somme accantonate erano state utilizzate, quale sopravvenienze attive, a seguito dell'azzeramento del fondo).

Cass. civ. n. 19793/2017

Gli interessi su mutui, finanziamenti o simili, percepiti dalle società e dagli enti esercenti attività commerciali residenti di cui all'art. 73 comma 1, lettera a) e b) del D.P.R. n. 917 del 1986, o dalle stabili organizzazioni di soggetti non residenti di cui alla successiva lett. d), o nell'esercizio di imprese commerciali, non costituiscono, come stabilito dall'art. 48 del D.P.R. n. 917 del 1986, reddito di capitale e vanno qualificati come una delle componenti attive rilevanti per la determinazione del reddito di impresa, con la conseguenza che non sorge per il soggetto erogante l'obbligo di effettuare la ritenuta d'imposta, salvi i casi espressamente previsti dall'art. 26 del D.P.R. n. 600 del 1973.

Cass. civ. n. 11872/2017

In tema di imposte sui redditi, l'operazione di "stock lending", ossia di prestito di azioni, che preveda, a favore del mutuatario, il diritto all'incasso dei dividendi dietro versamento al mutuante di una commissione (corrispondente, o meno, all'ammontare dei dividendi riscossi) realizza il medesimo fenomeno economico dell'usufrutto di azioni, senza che rilevi, ai fini tributari, che in un caso si verta su un diritto reale e, nell'altro, su un diritto di credito, sicchè è soggetta ai limiti previsti dall'art. 109, comma 8, del d.P.R. n. 917 del 1986, restando il versamento della commissione costo indeducibile.

Cass. civ. n. 5392/2017

Gli interessi su somme erogate per finanziamenti a terzi, se conseguiti nell'esercizio di imprese commerciali nel territorio dello Stato, sono da considerare, ai sensi dell'art. 44 del d.P.R. n. 597 del 1973, non già redditi di capitale, bensì redditi d'impresa, con la conseguenza che nessuna ritenuta deve essere in tal caso operata, non essendo il regime delle ritenute, quale dettato dall'art. 26, comma 5, del d.P.R. n. 600 del 1973, applicabile ai redditi d'impresa.

In tema di IRES, ai sensi degli artt. 48 e 81 del d.P.R. n. 917 del 1986, gli interessi su mutui, finanziamenti e simili, quando sono conseguiti da società o da enti esercenti attività commerciali residenti nel territorio dello Stato di cui all'art. 73, comma 1, lett. a) e b), del predetto decreto, non costituiscono reddito di capitale ma vanno qualificati come componenti attive rilevanti per la determinazione del reddito di impresa.

Cass. civ. n. 25120/2014

In materia di determinazione del reddito d'impresa, è legittimo, ai sensi dell'art. 92 (già 59) del d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 (che dispone che la valutazione delle rimanenze finali vada effettuata raggruppandole per categorie omogenee per natura e valore), calcolare le rimanenze finali dei prodotti ortofrutticoli in base agli acquisti effettuati in un periodo non superiore a quello di durata delle merci e non già nell'intero periodo di imposta, in considerazione dell'alta deperibilità e della rapida rotazione di tali merci. (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Lazio sez. dist. Latina, 07/05/2008)

Cass. civ. n. 16349/2014

In tema di reddito d'impresa, le regole sull'imputazione temporale dei componenti negativi, dettate in via generale dall'art. 75 (attuale art. 109) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, sono inderogabili, non essendo consentito al contribuente scegliere di effettuare la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza. (Fattispecie in tema di attività estrattiva, in cui la S.C. ha precisato che, allorché si verifichi lo sfasamento temporale delle componenti reddituali, in applicazione del principio della correlazione sono i costi a seguire i ricavi, per cui una volta determinato l'esercizio di competenza dei ricavi, si determina automaticamente l'esercizio in cui divengono deducibili i costi). (rigetta, Comm. Trib. Reg. Piemonte, 20/10/2008)

Cass. civ. n. 3484/2014

In tema di imposte sui redditi d'impresa, i componenti positivi o negativi che concorrono a formare il reddito possono essere imputati all'anno di esercizio in cui ne diviene certa l'esistenza o determinabile in modo obiettivo l'ammontare, qualora di tali qualità fossero privi nel corso dell'esercizio di competenza. Tuttavia, i costi sostenuti dopo la chiusura dell'esercizio contabile di riferimento, ma incidenti sul ricavo netto determinato dalle operazioni dell'anno già definito (nella specie, costi, sostenuti nell'anno 2000, di ripristino tecnico di prodotti difettosi venduti a terzi nell'anno precedente), devono costituire elementi di rettifica del bilancio dell'anno precedente, così concorrendo a formare il reddito d'impresa di quell'anno ed incidendo legittimamente in flessione sullo stesso - senza che sia lasciata al contribuente la facoltà di decidere a quale anno imputare tali costi - tutte le volte in cui siano divenuti noti, in quanto certi e precisi nell'ammontare, prima della delibera approvativa del risultato d'esercizio. (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Milano, 19/04/2006)

Cass. pen. n. 32091/2013

L'obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte di società avente residenza fiscale all'estero, la cui omissione integra il reato previsto dall'art. 5 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, sussiste se l'impresa abbia stabile organizzazione in Italia, il che si verifica quando si svolgano nel territorio nazionale la gestione amministrativa, le decisioni strategiche, industriali e finanziarie, nonché la programmazione di tutti gli atti necessari affinché sia raggiunto il fine sociale, non rilevando il luogo di adempimento degli obblighi contrattuali e dell'espletamento dei servizi. (rigetta, Trib. lib. Arezzo, 09/10/2012)

L'impresa controllata da società italiana, pur avendo residenza fiscale all'estero, è obbligata a presentare la dichiarazione annuale dei redditi in Italia qualora sia priva di stabile organizzazione, di autonomia contabile, finanziaria e decisionale. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto sussistente l'obbligo di presentare in Italia le dichiarazioni dei redditi per un'impresa operante nel settore orafo, integralmente controllata da società italiana, costituita in Tunisia con lo scopo di aggirare il regime dei dazi doganali imposti dagli USA). (rigetta, Trib. lib. Arezzo, 09/10/2012)

Cass. civ. n. 9036/2013

In tema di determinazione dei redditi d'impresa, rientra nei poteri dell'amministrazione finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, ancorché non risultino irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi negli atti giuridici d'impresa; ne consegue che la deducibilità, ai sensi dell'art. 62 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, dei compensi degli amministratori delle società (nella specie una s.r.l.) non implica che gli uffici finanziari siano vincolati alla misura indicata in deliberazioni sociali o contratti, competendo all'Ufficio la verifica dell'attendibilità economica dei predetti dati. (rigetta, Comm. Trib. Reg. Milano, 20/05/2010).

Cass. civ. n. 5854/2013

L'art. 71, comma 6, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (nel testo vigente "ratione temporis"), in base al quale "per i crediti per interessi di mora, le svalutazioni e gli accantonamenti di cui ai precedenti commi sono deducibili fino a concorrenza dell'ammontare dei crediti stessi maturato nell'esercizio", ha inteso individuare un limite di deducibilità non nell'intero ammontare dei crediti per interessi moratori risultante nell'anno di riferimento (comprensivo, quindi, anche degli interessi maturati in annualità anteriori), bensì nel solo importo di tali crediti maturato nello stesso esercizio di deduzione: tale interpretazione è conforme alla regola generale dell'autonomia di ciascun periodo d'imposta ed al correlato principio di competenza, che ha il fine di non lasciare il contribuente arbitro della scelta dell'esercizio più conveniente in cui dichiarare i propri componenti di reddito, con evidenti riflessi sulla determinazione del reddito imponibile. (rigetta, Comm. Trib. Reg. Potenza, 04/06/2007)

Cass. civ. n. 3368/2013

In tema di imposte sui redditi d'impresa, le garanzie del rendimento locativo minimo (nella specie, assunte con autonoma obbligazione contrattuale dal venditore di immobili all'acquirente degli stessi ed in relazione alla gestione pattuita a carico del primo) non rientrano tra gli accantonamenti tassativamente previsti dalle disposizioni sulla determinazione del reddito d'impresa, sicché gli oneri in parola, realizzando costi futuri, sono deducibili solo se e nella misura in cui sono sostenuti, secondo i criteri di cui all'art. 75 del d.P.R. n. 917 del 1986, mancando i requisiti di certezza e obiettiva determinabilità di costi non ancora effettivamente sostenuti e di cui è assolutamente incerto il sostenimento. Infatti, i componenti positivi o negativi che concorrono a formare il reddito possono essere imputati all'anno di esercizio in cui ne diviene certa l'esistenza o determinabile in modo obiettivo l'ammontare, qualora di tali qualità fossero privi nel corso dell'esercizio di competenza. (cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Roma, 01/03/2006)

Cass. civ. n. 2869/2013

Ai sensi dell'art. 87, comma terzo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, (secondo la numerazione vigente "ratione temporis", corrispondente all'odierno art. 73, comma terzo, in virtù della riforma introdotta dal d.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344), per il quale, ai fini delle imposte sui redditi, si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo d'imposta hanno sede legale o dell'amministrazione ad oggetto principale nel territorio dello Stato, la nozione di "sede dell'amministrazione", in quanto contrapposta alla "sede legale", coincide con quella di "sede effettiva" (di matrice civilistica), intesa come il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell'ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l'accentramento, nei rapporti interni e con i terzi, degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell'impulso dell'attività dell'ente. (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Milano, 04/04/2006)

Ai fini della configurazione di un abuso del diritto di stabilimento, nell'ipotesi di esterovestizione, ossia di fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all'estero, non è necessario accertare la sussistenza di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale, ma, invece, occorre verificare se il trasferimento in realtà vi è stato, o no, cioè se l'operazione sia meramente artificiosa, consistendo nella creazione di una forma giuridica che non riproduce una corrispondente e genuina realtà economica. (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Milano, 04/04/2006)

Cass. pen. n. 1811/2013

Ai fini della integrazione del reato di cui all'art. 5 del D.Lgs. 74 del 2000, l'obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte di una società commerciale avente sede legale all'estero ma operante in Italia non sussiste quando la sede della direzione effettiva della società non è sita nel territorio italiano atteso anche quanto previsto dalle norme internazionali contro le doppie imposizioni fiscali. (In applicazione del principio, la S.C. ha annullato il sequestro preventivo di un conto corrente di una società avente sede legale ed operativa in Malta da dove, mediante piattaforma informatica, svolgeva in Italia l'attività di concessionario per l'esercizio dei giochi "on line"). (annulla senza rinvio, Trib. lib. Varese, 28/04/2013)

Cass. civ. n. 18447/2012

L'applicazione della causa di estinzione del processo tributario, introdotta dall'art. 3, comma secondo bis, lett. b), del d.l. 25 marzo 2010, n. 40, convertito nella legge 22 maggio 2010, n. 73, mediante pagamento del cinque per cento dell'importo della controversia, presuppone, per l'espresso dettato normativo, non solo la pendenza della lite da oltre dieci anni, ma anche la soccombenza totale dell'Amministrazione in entrambi i precedenti gradi di giudizio. Ne consegue che la suddetta causa di estinzione non opera quando il giudizio di appello si sia concluso con pronuncia di parziale riforma della decisione di primo grado per vizio di extrapetizione, in quanto questo, pur non essendo riferibile all'iniziativa del contribuente, determina comunque l'interesse ad impugnare da parte dell'Amministrazione. (rigetta, Comm. Trib. Reg. Milano, 17/02/2005)

L'applicazione della causa di estinzione del processo tributario, introdotta dall'art. 3, comma secondo bis, lett. b), del d.l. 25 marzo 2010, n. 40, convertito nella legge 22 maggio 2010, n. 73, mediante pagamento del cinque per cento dell'importo della controversia, si produce, per espresso disposto di legge, soltanto a seguito di attestazione degli Uffici dell'Amministrazione finanziaria comprovanti la regolarità dell'istanza ed il pagamento integrale di quanto dovuto. Il rifiuto di tale attestazione o l'attestazione negativa possono essere oggetto di sindacato da parte della Corte di cassazione perché la legge, da un lato, prevede che l'istanza di estinzione del giudizio è presentata dal contribuente alla Cancelleria della Corte, la quale è quindi direttamente investita delle questioni attinenti alla sussistenza delle condizioni necessarie per la produzione di tale effetto, e, dall'altro, mira ad impedire l'ulteriore violazione del principio di ragionevole durata del processo, che, però, si verificherebbe se il rifiuto di attestazione o l'attestazione negativa dovessero essere autonomamente impugnati davanti alla Commissione tributaria provinciale. (rigetta, Comm. Trib. Reg. Milano, 17/02/2005)

Cass. pen. n. 7739/2012

Persona offesa dei reati tributari è, oltre alla Amministrazione finanziaria, anche l'Agenzia delle Entrate, quale ente cui è affidata la tutela dell'interesse al corretto adempimento dell'obbligazione tributaria. (In applicazione del principio la Corte ha dichiarato l'Agenzia delle Entrate legittimata al ricorso per cassazione avverso la sentenza di non luogo a procedere ex art. 428 cod. proc. pen.). (annulla con rinvio, App. Milano, 01/04/2011)

I reati tributari di dichiarazione infedele o di omessa dichiarazione possono essere integrati anche dalle condotte elusive ai fini fiscali che siano strettamente riconducibili alle ipotesi di elusione espressamente previste dalla legge, ovverossia quelle di cui agli artt. 37, comma terzo, e 37 bis del d. P.R. n. 600 del 1973. (annulla con rinvio, App. Milano, 01/04/2011)

Cass. pen. n. 7080/2012

L'obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte di società avente residenza fiscale all'estero, la cui omissione integra il reato previsto dall'art. 5 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, sussiste se detta società abbia stabile organizzazione in Italia, il che si verifica quando si svolgano in territorio nazionale la gestione amministrativa e la programmazione di tutti gli atti necessari affinché sia raggiunto il fine sociale, non rilevando il luogo di adempimento degli obblighi contrattuali e dell'espletamento dei servizi. (Fattispecie relativa a sequestro probatorio di documenti di natura tributaria facenti capo a società svolgente attività di assistenza a piattaforme petrolifere nell'Oceano Atlantico ed avente residenza fiscale localizzata in territorio portoghese, in cui la Corte ha ravvisato la sussistenza del fenomeno di esterovestizione della residenza fiscale). (rigetta, Trib. Brindisi, 19/05/2011)

Cass. civ. n. 13851/2010

In tema di imposte sui redditi, nella disciplina dell'art. 74, terzo comma, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, applicabile "ratione temporis" all'esercizio 1994, le spese per la selezione, formazione manageriale ed aggiornamento tecnico professionale del personale non costituiscono una categoria omogenea ai fini della deducibilità dal reddito d'impresa, in quanto soltanto le spese di formazione ed aggiornamento possono considerarsi pluriennali, e quindi deducibili in più esercizi, mentre tali non sono le spese relative alla selezione del personale. (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Roma, 27/05/2002)

In tema di imposte sui redditi, l'art. 64, primo comma, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, nel testo applicabile "ratione temporis" all'esercizio 1994, laddove prevede che le imposte diverse da quelle sui redditi e da quelle per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa, sono deducibili dal reddito d'imprese nell'esercizio in cui avviene il pagamento, usa il termine imposte in senso ampio, come sinonimo del genere tributo, così riferendosi anche alla tassa sui contratti di borsa di cui all'art. 1 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3278, che, quindi, è deducibile nel solo anno del pagamento e non rientra nella categoria delle spese pluriennali deducibili in più esercizi prevista dall'art. 74, terzo comma, essendo la prestazione patrimoniale imposta sui contratti di borsa non una spesa, ma un tributo pagato sulla spesa effettuata per l'acquisto di titoli mobiliari. (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Roma, 27/05/2002)

Cass. civ. n. 26845/2009

In tema di IRPEG, sono soggetti all'imposta non solo le società di capitali, comprese le cooperative, ma anche gli altri enti pubblici o privati, diversi dalle società, che abbiano per oggetto esclusivo o prevalente l'esercizio di attività commerciali, elemento, quest'ultimo, che va individuato in base all'attività effettivamente esercitata. Ne deriva che un ente, istituito (ai sensi dell'art. 209 del regolamento esecutivo del codice della navigazione approvato con d.P.R. n. 328 del 1952) per gestire, mediante avviamento al lavoro dei suoi componenti, il servizio di ormeggio di natanti dietro corrispettivo fatturato dall'ente e poi redistribuito ai lavoratori, al netto delle spese e delle trattenute fiscali e previdenziali, va ritenuto soggetto all'imposta, sussistendo i requisiti dell'attività imprenditoriale, e non contraddicendo tale natura né l'assenza di uno scopo di lucro proprio dell'organizzazione né il carattere di interesse pubblico del servizio reso. (cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Napoli, 23/05/2006)

Cass. civ. n. 24500/2009

In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l'esenzione prevista dall'art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 è limitata all'ipotesi in cui gli immobili siano destinati in via esclusiva allo svolgimento di una delle attività di religione o di culto indicate nell'art. 16, lett. a), della legge 20 maggio 1985, n. 222, e pertanto non si applica ai fabbricati di proprietà di enti ecclesiastici nei quali si svolga attività sanitaria, non rilevando in contrario né la destinazione degli utili eventualmente ricavati al perseguimento di fini sociali o religiosi, che costituisce un momento successivo alla loro produzione e non fa venir meno il carattere commerciale dell'attività, né il principio della libertà di svolgimento di attività commerciale da parte di un ente ecclesiastico - fondato, oltre che sull'art. 16, lett. a), della legge n. 222 del 1985, anche sulla legge 25 marzo 1985, n. 121 in tema di revisione del concordato -, né la successiva evoluzione normativa, in quanto a) l'art. 7, comma 2-bis, del d.l. 30 settembre 2005, n. 203 (aggiunto dalla legge di conversione 2 dicembre 2005, n. 248, poi modificato dal comma 133 dell'art. 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266 ed infine sostituito dall'art. 39, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248) nell'estendere l'esenzione disposta dall'art. 7, comma 1, lett. i), cit. alle attività ivi indicate "a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse" (versione originaria) e poi a quelle "che non abbiano esclusivamente natura commerciale" (versione vigente), ha carattere innovativo e non interpretativo; b) l'art. 111-bis del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, (aggiunto dall'art. 6 del d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460), nel prevedere (comma 1) la perdita della qualifica di ente non commerciale per gli enti che esercitino prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d'imposta ad esclusione (comma 4) di quelli ecclesiastici, riflette i suoi effetti unicamente sulla qualità del soggetto utilizzatore dell'immobile, ma non sul requisito oggettivo dell'attività nello stesso esercitata. (rigetta, Comm. Trib. Reg. Genova, 24/09/2004)

Cass. civ. n. 871/2009

Ricorre il vizio di omessa motivazione, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il giudice di merito apoditticamente neghi che sia stata data la prova di un fatto ovvero che, al contrario, affermi che tale prova sia stata fornita, omettendo un qualsiasi riferimento sia al mezzo di prova che ha avuto a specifico oggetto la circostanza in questione, sia al relativo risultato. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza del giudice di secondo grado che, in una controversia tributaria inerente all'accertamento dell'esatto ammontare della base imponibile Irpeg ed Ilor, a fronte di una precisa affermazione di segno contrario nella sentenza di primo grado ed in risposta ad uno specifico motivo d'appello, si era limitato ad affermare che la parte aveva prodotto tutta la documentazione relativa ai costi sostenuti, i quali avevano un'incidenza sul fatturato appena superiore al 1%, percentuale ritenuta sufficientemente congrua). (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Genova, 12 febbraio 2003)

Cass. civ. n. 28176/2008

In tema di Irpeg, l'art. 88, comma secondo, lett. c), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 dispone che l'esercizio di attività previdenziali, assistenziali e sanitarie da parte di enti pubblici istituiti esclusivamente a tal fine non costituisce esercizio di attività commerciale; pertanto, il reddito fondiario degli immobili strumentali utilizzati in relazione a tali attività non subisce la "trasformazione" in reddito d'impresa ex art. 40, primo comma, del d.P.R. n. 917 del 1986, con la conseguenza che il reddito complessivo va determinato sommando i vari redditi, compresi quelli fondiari, come espressamente dispone l'art. 108 del d.P.R. citato. Ne consegue la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale di quest'ultimo articolo, sollevata in riferimento agli artt. 32 (trattandosi nella specie di immobili strumentali dell'Ulss, già Usl) e 53 Cost. posto che gli immobili in questione non producono reddito d'impresa. (cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Venezia, 22 giugno 2005)

Cass. civ. n. 25159/2007

Le ipotesi di esonero dal contributo diretto lavorativo di cui all'art. 11-bis, comma 1, del decreto-legge 19 settembre 1992 n. 384, convertito nella legge 14 novembre 1992 n. 438 (cosiddetto "minimum tax"), sono tassativamente previste dai commi 2 e 3 della norma citata, e non è quindi consentito al giudice crearne di ulteriori sulla base di circostanze di fatto non prese in considerazione dalla legge. (In applicazione di tale principio la S.C. ha cassato la sentenza di merito la quale aveva escluso l'assoggettabilità alla minimum tax del socio di una società di persone, sulla base della partecipazione marginale di questi all'attività d'impresa e del fatto di avere svolto anche lavoro subordinato alle dipendenze della società). (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Firenze, 3 Luglio 2001).

Cass. civ. n. 4838/2007

In tema di IRAP, come ha chiarito in via definitiva il legislatore con la norma interpretativa di cui all'art. 5, comma terzo, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, debbono essere inclusi nel calcolo per la determinazione della base imponibile, ai sensi dell'art. 11, comma terzo, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 (nel testo risultante dalla modifiche introdotte dall'art. 1, comma primo, lettera h, del d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 506), tutti i contributi erogati a norma di legge, ivi compresi quelli versati - prima dal Fondo nazionale trasporti, poi dalle regioni - alle imprese esercenti il trasporto pubblico locale al fine di ripianare i disavanzi di esercizio, che l'art. 3, comma primo, del d.l. 9 dicembre 1986, n. 833 (convertito con modificazioni dalla legge 6 febbraio 1987, n. 18) esclude dalla base imponibile ai fini delle imposte sui redditi, salvo che non si tratti di contributi per i quali l'esclusione dalla base imponibile IRAP sia prevista dalle relative leggi istitutive ovvero da altre disposizioni di carattere speciale o rispetto ai quali la legge reg. istitutiva preveda espressamente la specifica correlazione a determinati componenti negativi non ammessi in deduzione ai fini IRAP. (cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Firenze, 6 Aprile 2004)

Cass. civ. n. 24973/2006

In tema di imposte sui redditi, e con riferimento alla determinazione del reddito d'impresa, l'art. 70, comma terzo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, che estende agli accantonamenti relativi alle indennità di cui all'art. 16, comma primo, lettere c), d) ed f) le disposizioni riguardanti quelli per l'indennità di fine rapporto, non è applicabile all'indennità suppletiva di clientela, prevista dagli accordi economici collettivi che disciplinano i rapporti di agenzia e rappresentanza commerciale, la quale, essendo dovuta soltanto in caso di scioglimento del contratto a tempo indeterminato ad iniziativa del preponente per fatto non imputabile all'agente, costituisce, in pendenza del rapporto, un costo meramente eventuale sia nell'"an" che nel "quantum", onde i relativi accantonamenti non sono deducibili nei limiti delle quote maturate nell'esercizio, come previsto dal primo comma dell'art. 70 cit., senza che assuma alcun rilievo la funzione di tale indennità, volta a compensare il mancato reddito derivante dalla cessazione del rapporto, in quanto il relativo diritto non matura in costanza di rapporto, ma ha la sua fonte in un evento futuro ed incerto. (cassa e decide nel merito, Comm.Trib. Reg. Milano, 26 Settembre 2000)

Cass. civ. n. 24065/2006

In tema di agevolazioni tributarie, il principio secondo cui il regime agevolativo previsto dal d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218 per l'impianto di nuove iniziative produttive nei territori del Mezzogiono costituisce un diritto dell'impresa, il quale sussiste per il solo fatto che ne ricorrano le condizioni, e può essere esercitato indipendentemente da una preventiva istanza dell'interessato, anche mediante l'impugnazione di atti impositivi o la richiesta di rimborso delle imposte che siano state indebitamente pagate, trova applicazione anche in riferimento alle controversie regolate dal d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, il cui art. 16, diversamente da quanto previsto dall'art. 19, lettera h), del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, non contemplava l'impugnabilità del provvedimento di diniego o revoca di agevolazioni indipendentemente dall'impugnazione di atti impositivi. (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Palermo, 19 Novembre 2003)

In tema di IVA, il versamento all'Erario dell'imposta indicata in fattura non comporta necessariamente il diritto del cessionario alla detrazione, la quale compete soltanto quando le operazioni indicate in fattura siano state effettivamente utilizzate dal cessionario per il compimento di operazioni imponibili. (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Palermo, 19 Novembre 2003)

In tema di agevolazioni tributarie, la decisione del giudice tributario in ordine all'applicabilità di un regime agevolativo pluriennale (come, nella fattispecie, quello concernente le iniziative produttive nel Mezzogiorno) spiega efficacia di giudicato in ordine alla spettanza del relativo diritto anche relativamente a periodi d'imposta diversi da quello che forma oggetto della decisione, ove i presupposti di detto regime siano costituiti da circostanze non aventi caratteristiche riferibili a periodi determinati, ma tali da attribuire il diritto all'agevolazione per una pluralità di periodi d'imposta. (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Palermo, 19 Novembre 2003)

L'efficacia diretta delle norme comunitarie nell'ordinamento interno, prevista dall'art. 93 (ora 88) del Trattato CEE, si estende anche alle decisioni con cui la Commissione, nell'esercizio del controllo sulla compatibilità degli aiuti di Stato con il mercato comune, disponga la sospensione di una misura di aiuto, ne dichiari l'incompatibilità o ne ordini la restituzione, e comporta l'invalidità e/o l'inefficacia delle norme di legge e degli atti amministrativi o negoziali in forza dei quali la misura di aiuto è stata erogata, nonché il divieto, espressamente previsto dall'art. 93 cit., di dare esecuzione alla misura fino a quando la procedura di verifica non abbia condotto ad una decisione finale della Commissione. Tale vincolo, avendo come destinatario non solo lo Stato membro, ma anche i soggetti dell'ordinamento interno, ivi comprese le autorità nazionali, amministrative e giurisdizionali, e traducendosi nell'obbligo di dare attuazione al diritto comunitario, se necessario attraverso la disapplicazione delle norme interne che siano in contrasto con esso, rende viziata da errore di diritto la sentenza del giudice interno che abbia ritenuto irrilevante la decisione con cui la Commissione abbia disposto la sospensione di una misura di aiuto fino all'esito della procedura di verifica. (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Palermo, 19 Novembre 2003)

Cass. civ. n. 22598/2006

In tema di imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG), gli enti di tipo associativo non godono di uno "status" di "extrafiscalità", che li esenta, per definizione, da ogni prelievo fiscale, potendo anche le associazioni senza fini di lucro - come si evince dall'art. 111, comma secondo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (nel testo applicabile nella specie, "ratione temporis") - svolgere, di fatto, attività a carattere commerciale. Il disposto dell'art. 111, comma primo, del d.P.R. n. 917 cit. - in forza del quale le attività svolte dagli enti associativi a favore degli associati non sono considerate commerciali e le quote associative non concorrono a formare il reddito complessivo - costituisce d'altro canto una deroga alla disciplina generale, fissata dagli artt. 86 e 87 del d.P.R. n. 917, secondo la quale l'IRPEG si applica a tutti i redditi, in denaro o in natura, posseduti da soggetti diversi dalle persone fisiche: con la conseguenza che l'onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano l'esenzione è a carico del soggetto che la invoca, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall'art. 2697 cod. civ. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, la quale aveva accolto il ricorso proposto da un'associazione dedita all'assistenza dei disabili sulla base della sola astratta considerazione dell'assenza dei fini di lucro dell'associazione, omettendo di accertare la natura dell'attività in concreto svolta). (Cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Siracusa, 24 Aprile 2002)

Cass. civ. n. 18838/2006

In tema d'imposta comunale sugli immobili (ICI), l'esenzione dall'imposta che l'art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, prevede per gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all'art. 87, primo comma, lett. c), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (enti pubblici e privati, diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato e non aventi per oggetto esclusivo o principale l'esercizio d'attività commerciali), purché destinati esclusivamente - fra l'altro - allo "svolgimento d'attività assistenziali", esige la duplice condizione dell'utilizzazione diretta degli immobili da parte dell'ente possessore e dell'esclusiva loro destinazione ad attività peculiari che non siano produttive di reddito. L'esenzione non spetta, pertanto, nel caso di utilizzazione indiretta, ancorché assistita da finalità di pubblico interesse (nell'enunciare il principio, la S.C. ha precisato che nel caso di specie, nel quale soggetto passivo dell'imposta è una società per azioni, l'agevolazione è ulteriormente preclusa dalla lettera della norma di esenzione, che esclude dal godimento del beneficio le società commerciali, in quanto la scelta della forma azionaria è di per sé indicativa, in via prevalente, dello scopo di lucro che un siffatto soggetto necessariamente persegue). (Cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Genova, 1 Luglio 2003)

Cass. civ. n. 13334/2006

Il regime di esenzione dall'imposta comunale sugli immobili (I.C.I.) dei fabbricati rurali - che il d. lgs n. 504 del 1992, istitutivo dell'I.C.I., non assoggetta ad autonoma tassazione, in quanto la redditività facente capo a tali costruzioni è compresa nel reddito dei terreni agricoli, ossia dei terreni adibiti all'esercizio delle attività agricole indicate nell'art. 2135 cod. civ., ivi inclusa l'attività di coltivazione dei funghi, giusta la disposizione di cui all'art. 1 della legge n. 126 del 1985 - non è ricavabile dalla disciplina normativa regolante l'imposizione diretta (e quindi essenzialmente dal TUIR, approvato con d.P.R. n. 917 del 1986), bensì dalle disposizioni specificamente inerenti all'I.C.I., e precisamente dagli artt. 7 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 e 9, commi 3 e 3 bis , del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito in legge 26 febbraio 1994, n. 133, disposizioni che, ai fini dell'esenzione e con riferimento agli anni 1993 e 1994, non ponevano alcuna distinzione riferibile al profilo soggettivo dell'imprenditore agricolo (persona fisica o società e, fra queste, società di persone o di capitali), valutabile, invece, in tema d'imposizione diretta del reddito agrario o dominicale, ma contemplavano unicamente la "ruralità" dei fabbricati, desunta dall'essere strumentali all'attività agricola, e, per i terreni, il fatto di essere compresi in aree montane o collinari esenti, normativamente delimitate (art. 7, co.1, lett. h), d.lgs. n. 504 del 1992). Solo per le annualità d'imposta posteriori all'entrata in vigore dell'art. 58, co.2, del d. lgs. n. 446 del 1997 - norma non retroattiva - la qualifica di coltivatore diretto o imprenditore agricolo a titolo principale è stata ristretta, ai fini dell'esenzione dall'I.C.I., alle persone fisiche iscritte negli appositi elenchi comunali. (rigetta, Comm. Trib. Reg. Brescia, 22 Settembre 2003).

Cass. civ. n. 11075/2006

L'imposta straordinaria su particolari beni, istituita per il solo anno 1992 dall'art. 8 del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, conv., con modificazioni, in legge 14 novembre 1992, n. 438, è dovuta, in forza dei commi ottavo-bis e nono del medesimo articolo, anche dagli enti che gestissero in forma associata aziende faunistico-venatorie, alla sola condizione che tale attività di gestione fosse in essere alla data di entrata in vigore del citato decreto-legge. Tale previsione manifestamente non si pone in contrasto con l'art. 53 Cost., sotto l'asserito profilo che nessuna capacità contributiva potrebbe essere riconosciuta ad un ente che abbia come finalità esclusiva l'ordinata gestione dell'esercizio della caccia, giacché l'imposta in questione - avente peraltro carattere straordinario e circoscritta ad un solo anno - non ha inteso colpire la capacità contributiva espressa in relazione all'attività commerciale, ma solo al possesso, indirettamente desunto da alcuni "beni indice", di una certa capacità contributiva, e l'esercizio di attività sportive costose (quale la caccia esercitata attraverso strutture aziendali che perseguono la tutela del territorio e delle specie animali selvatiche) è sicuramente indice di una apprezzabile capacità contributiva, sia pure espressa attraverso il pagamento di quote associative necessarie al funzionamento dell'organismo gestore. (rigetta, Comm. Trib. Reg. L'Aquila, 8 Marzo 1999).

Cass. civ. n. 8580/2006

In tema di redditi d'impresa, fra gli accantonamenti al fondo rischi su crediti nei confronti di imprese assoggettate a procedure concorsuali, ai sensi degli artt. 66, comma 3, e 71 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (nel testo in vigore sino al 31 gennaio 2003), nonché dell'art. 11 del d.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, non sono compresi i crediti nei confronti di imprese in amministrazione controllata, perché questa presuppone unicamente una temporanea difficoltà di adempiere alle obbligazioni da parte dell'imprenditore, e non è pertanto equiparabile, sotto il profilo dinamico, alle altre procedure concorsuali - per la cui apertura è, invece, esplicitamente richiesto lo stato di insolvenza - in ordine alle prospettive di soddisfazione dei creditori. (Cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Genova, 15 Aprile 1999).

Cass. civ. n. 7312/2006

Nel processo tributario, per la notificazione a mezzo posta dell'appello secondo le modalità fissate dall'art. 20, comma 2, richiamato dall'art. 53, comma 2, del d.lgs 31 dicembre 1992, n. 546, la data di presentazione delle raccomandate, consegnate all'ufficio postale, risultante dal timbro apposto sulla distinta-elenco predisposta dall'Avvocatura Generale dello Stato (e allegata agli atti) è certa e validamente attestata, risultando da atto equipollente a quelli pure contenenti lo stesso timbro, sia che questo sia stato apposto sul piego postale, sia che lo sia stato sulla busta della raccomandata, secondo una prassi adottata dagli uffici postali, di notoria conoscenza, e riconducibile ad una nozione costituzionalmente adeguata delle dette disposizioni, anche in rispondenza della nozione ristretta delle inammissibilità processuali, posta a cardine interpretativo del processo tributario dalla Corte costituzionale (sentenze n. 189 del 2000 e n. 520 del 2002). (rigetta, Comm. Trib. Reg. Roma, 19 Febbraio 1998).

Cass. civ. n. 21583/2005

In tema di I.R.P.E.F., nell'ipotesi in cui il reddito riveniente dai canoni di affitto dell'azienda non possa considerarsi conseguito nell'esercizio dell'impresa, essendo quella affittata l'unica azienda di cui è titolare il proprietario (art. 81, primo comma, lett. h, del D.P.R. n. 917 del 1986), quest'ultimo non può portare in deduzione, quali costi inerenti alla produzione del reddito, le spese sostenute inizialmente per la ristrutturazione degl'immobili aziendali e per rendere l'azienda utilizzabile da parte dell'affittuario, sia perché non vi è più un reddito d'impresa, avendo il proprietario perduto la qualità d'imprenditore, sia perché si tratta di spese straordinarie che, realizzando un incremento di valore degl'immobili, hanno natura patrimoniale e non reddituale. (rigetta, Comm. Trib. Reg. Firenze, 11 Settembre 2000).

Cass. civ. n. 16032/2005

In tema di imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG), gli enti di tipo associativo non godono di uno "status" di "extrafiscalità", che li esenta, per definizione, da ogni prelievo fiscale, potendo anche le associazioni senza fini di lucro - come si evince dall'art. 111, comma secondo, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (nel testo applicabile nella specie, "ratione temporis") - svolgere, di fatto, attività a carattere commerciale. Il disposto dell'art. 111, comma primo, del citato testo unico - in forza del quale le attività svolte dagli enti associativi a favore degli associati non sono considerate commerciali e le quote associative non concorrono a formare il reddito complessivo - costituisce d'altro canto una deroga alla disciplina generale, fissata dagli artt. 86 e 87 del testo unico, secondo la quale l'IRPEG si applica a tutti i redditi, in denaro o in natura, posseduti da soggetti diversi dalle persone fisiche: con la conseguenza che l'onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano l'esenzione è a carico del soggetto che la invoca, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall'art. 2697 cod. civ. (Sulla base degli enunciati principi, la S.C. ha ritenuto immune da censura la sentenza impugnata, che aveva considerato recuperabili a tassazione, come redditi di impresa, i proventi conseguiti da una associazione sportiva, rilevando come, di fronte all'affermazione - contenuta nella sentenza stessa - secondo cui, alla stregua delle risultanze dell'accesso diretto dei verbalizzanti, i "soci" della palestra da essa gestita venivano di fatto trattati come semplici clienti di un imprenditore, sarebbe spettato all'associazione ricorrente fornire la prova contraria della natura non commerciale dell'attività svolta, prova che non poteva essere desunta dal solo statuto sociale, attestante l'assenza del fine di lucro). (rigetta, Comm. Trib. Reg. L'Aquila, 20 Aprile 1998).

In tema di contenzioso tributario, le dichiarazioni di terzi raccolte dai verificatori ed inserite nel processo verbale di constatazione non hanno natura di prova testimoniale, bensì di mere informazioni acquisite nell'ambito di indagini amministrative, che possono essere utilizzate quando abbiano trovato ulteriore riscontro nelle risultanze dell'accesso diretto dei verbalizzanti e non siano specificamente smentite dalla controparte. Né è con ciò violato il principio della cosiddetta "parità delle armi", di cui all'art. 111 Cost., atteso che - in forza di quanto affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 18 del 2000 - anche il contribuente può produrre documenti contenenti dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, con il medesimo valore probatorio. (rigetta, Comm. Trib. Reg. L'Aquila, 20 Aprile 1998).

Cass. civ. n. 16018/2005

L'imposta sul patrimonio netto delle imprese, istituita dall'art. 1 del d.l. 30 settembre 1992, n. 394 (convertito nella legge 26 novembre 1992, n. 461) - e successivamente abolita dall'art. 36 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, con effetto dall'1 gennaio 1998 -, non contrasta con la direttiva del Consiglio 17 luglio 1969, n. 69/335/CEE (modificata dalla direttiva 10 giugno 1985, n. 85/303/CEE), la quale, come statuito dalla giurisprudenza della Corte di giustizia (sent. 27/10/1998, in causa C-4/97, ed ord. n. 1573/2001, nelle cause riunite C-279/99, C-293/99, C-296/99, C-330/99 e C-336/99), non osta alla riscossione, a carico delle società di capitali, di un'imposta come quella in esame, nemmeno quando questo tributo colpisce la componente del patrimonio netto costituita dal capitale sociale annualmente rilevato in bilancio, ed anche se tale componente sia stata in precedenza assoggettata all'imposta sui conferimenti. Né può ritenersi non manifestamente infondata l'eccezione di legittimità costituzionale della normativa, per contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost., in quanto l'imposta, istituita per fronteggiare esigenze finanziarie transitorie e rimasta in vigore, in forza delle proroghe disposte, per sei anni, ha tuttavia conservato il carattere di manovra finanziaria di carattere straordinario, ha coinvolto tutte le società e gli enti di cui all'art. 87, lettere a) e b), del t.u.i.r., ed ha tenuto conto del principio di capacità contributiva, essendo stati previsti degli specifici limiti di applicabilità (art. 3, commi 2 e 3, del d.l. n. 394 del 1992). (cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Milano, 3 Ottobre 2003).

Cass. civ. n. 6884/2005

Ai fini dell'esclusione dalla soggezione all'imposta comunale sugli immobili ai sensi degli artt. 1 e 2 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, il carattere rurale dei fabbricati, che va stabilito alla stregua della disciplina del catasto in materia, va riconosciuto a tutte le costruzioni strumentali alle attività agricole di cui all'art. 29 del t.u.i.r., ovvero destinate all'agriturismo o alla protezione delle piante, alla conservazione dei prodotti agricoli, oppure alla custodia delle macchine, degli attrezzi e delle scorte occorrenti per la coltivazione, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 2 del D.P.R. 23 marzo 1998, n. 139 - emanato nell'esercizio della delega conferita con l'art. 3, comma 156, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 -, disposizione che, modificando l'art. 9 del D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito in legge 26 febbraio 1994, n. 133, ha mantenuto fermo il requisito dell'asservimento dell'immobile ad un fondo limitatamente all'edilizia abitativa, assegnando rilievo, per gli altri fabbricati, soltanto alla destinazione ad una delle finalità suindicate. (rigetta, Comm. Trib. Reg. Bologna, 21 Ottobre 2003).

Cass. civ. n. 5747/2005

In tema d'imposta comunale sugli immobili, l'esenzione riconosciuta dall'art. 7, Comma primo, lettera i), del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, per gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all'art. 87, Comma primo, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi non trova applicazione per gli immobili nella disponibilità della Guardia di finanza, in quanto la detta norma del TUIR, inclusa nel titolo II, dedicato all'IRPEG, sotto la rubrica "Soggetti passivi", elenca appunto categorie di persone giuridiche, pubbliche e private, assoggettate tutte all'IRPEG, laddove la Guardia di Finanza è esente da tale imposta, quale amministrazione militare dello Stato, ai sensi dell'art. 88 dello stesso testo unico (nella specie, relativa ad una caserma, nell'affermare il principio la Corte Cass. ha precisato che, in ogni caso, un immobile utilizzato dalla Guardia di finanza, come da qualsiasi corpo militare dello Stato, per i propri fini istituzionali non può considerarsi destinato esclusivamente allo svolgimento di "attività ricettive", come richiesto dalla norma d'esenzione, in considerazione della particolare natura dei compiti affidati alle Forze armate). (cassa e dec. nel mer., Comm. Trib. Reg. Milano, 15 Settembre 2003).

Cass. civ. n. 12722/2004

Per effetto dell'art.14 della legge 18 febbraio 1999 n. 28 - che ha interpretato autenticamente l'art. 26, quarto comma, terzo periodo, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 nel senso che la ritenuta a titolo di imposta sugli interessi dei depositi bancari, espressamente prevista per i soggetti esenti dall'IRPEG, si applica anche nei confronti dei soggetti che ne sono esclusi - sono sottoposti a detta ritenuta di imposta - definitiva e non di acconto - anche i soggetti esenti dall'IRPEG per una agevolazione normativa, come per le cooperative di produzione e lavoro (nella specie per interessi maturati negli anni 1984-1992), se esonerate dall'imposta sul reddito delle persone giuridiche ai sensi dell'art. 11 del D.P.R. 602/1973. Né tale interpretazione dell'art. 14 succitato può esser sospettata di incostituzionalità per contrasto con gli articoli 3, 45, e 53 della Costituzione perché non vulnera né il principio di uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, né quello della funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità, né infine quello del concorso alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva di ciascuno. (rigetta, Comm. Trib. Reg. Firenze del 15 giugno 2001).

Cass. civ. n. 5258/2004

L'imposta sul patrimonio netto delle imprese istituita dal D.L. n. 394 del 1992, conv. con modificazioni nella legge n. 461 del 1992, la cui efficacia temporale, inizialmente fissata al 30 settembre 1994, e poi prorogata, è cessata a seguito della sua abolizione ex art. 36 D. Lgs. n. 446 del 1997, si applica, "ratione temporis", anche ai consorzi costituiti fra più comuni per la erogazione monopolistica di acqua potabile a pagamento e di realizzazione e manutenzione dei relativi impianti, atteso che trattasi di enti comunali, aventi cioè ad oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali dalle quali si traggono redditi d'impresa rilevanti ai fini delle imposte sui redditi, ai sensi dell'art. 87, comma 1, lett. b), D.P.R: n. 917 del 1986, richiamato dall'art. 1, comma 1, D.L. n. 394 del 1992, senza che assuma rilievo la mancanza della finalità lucrativa e l'esistenza di un vincolo sul patrimonio. Né l'esenzione dei Comuni dall'imposta, implicitamente prevista dall'art. 88, comma 1, D.P.R. n. 917 del 1986, con norma derogatoria rispetto all'art. 87 cit., e perciò di stretta interpretazione, può consentire - per la differenza strutturale e funzionale dei due enti - l'assimilazione del Comune al Consorzio; mentre l'esclusione - operata dall'art. 22 L. n. 449 del 1997, che ha modificato l'art. 88, comma 1, D.P.R. n. 917 del 1986 - dei "consorzi tra enti locali" dall'imposta sui redditi, in vigore solo dal 1 gennaio 1998, rende irrilevante accertare se il beneficio sia applicabile solo ai cd. consorzi di funzione (ossia, quelli costituiti per la gestione dei servizi pubblici locali non aventi rilevanza economica ed imprenditoriale) ovvero anche per le aziende - consorzio (Nell'enunciare il principio, la Corte ha escluso anche l'operatività della moratoria fiscale triennale stabilita dalla legge n. 142 del 1990 in favore dei Consorzi costituiti ai sensi della legge suddetta, sia perché riferibile solo ai consorzi diversi da quelli che gestiscono attività economica e imprenditoriale, sia perché assimilabili alle aziende speciali, che sono soggette all'imposta sui redditi). (cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Piemonte 25 marzo 1999).

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P. M. chiede
mercoledì 26/10/2022 - Veneto
“buongiorno,<br />
scrivo per sapere quanto paga di IRES un trust che detiene le quote di una srl u.p.<br />
<br />
ringraziando anticipatamente, cordialmente saluto<br />
<br />
Consulenza legale i 02/11/2022
Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 34/E del 20.10.2022, i trust sono inclusi tra i soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società (IRES).
Ai fini dell’applicazione del corretto regime fiscale, come disciplinato dal comma 2 dell’art. 73 del TUIR, è necessario distinguere due tipologie di trust:
  • trust trasparente, ovvero trust con beneficiari di reddito individuati, cioè titolari del diritto di pretendere l’assegnazione di tutto o parte del reddito prodotto dal trust;
  • trust opaco, ovvero trust senza beneficiari di reddito individuati, cioè vi è discrezionalità di scegliere se, quando, in che misura o a chi attribuire il reddito ai beneficiari.
La definizione delle spettanze dei beneficiari generalmente è definita in sede di strutturazione del trust.
Non essendo specificato se il caso di specie rientri nella prima o seconda categoria, di seguito verranno esplicitate entrambe.

Nel caso di trust trasparente, i redditi prodotti vengono tassati in capo ai beneficiari come redditi di loro pertinenza e pertanto, pagheranno IRPEF in base ai loro rispettivi scaglioni di riferimento.
Nel caso di trust opaco i redditi prodotti vengono tassati con l’imposta IRES al 24%, come accade per le società di capitali.