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Articolo 3 Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR)

(D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917)

[Aggiornato al 01/01/2024]

Base imponibile

Dispositivo dell'art. 3 TUIR

1. L'imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell'articolo 10 e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato.

2. In deroga al comma 1 l'imposta si applica separatamente sui redditi elencati nell'articolo 16, salvo quanto stabilito nei commi 2 e 3 dello stesso articolo.

3. Sono in ogni caso esclusi dalla base imponibile:

  1. a) i redditi esenti dall'imposta e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva;
  2. b) gli assegni periodici destinati al mantenimento dei figli spettanti al coniuge in conseguenza di separazione legale ed effettiva o di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell'autorità giudiziaria;
  3. [c) i redditi derivanti da lavoro dipendente prestato all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto](1)
  4. d) gli assegni familiari e l'assegno per il nucleo familiare, nonché, con gli stessi limiti e alle medesime condizioni, gli emolumenti per carichi di famiglia comunque denominati, erogati nei casi consentiti dalla legge;
  5. d-bis) la maggiorazione sociale dei trattamenti pensionistici prevista dall'articolo 1 della legge 29 dicembre 1988, n. 544;
  6. d-ter) le somme corrisposte a titolo di borsa di studio dal Governo italiano a cittadini stranieri in forza di accordi e intese internazionali.

Note

(1) Lettera abrogata dal D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314.

Massime relative all'art. 3 TUIR

Cass. civ. n. 6117/2019

In tema di IRPEF, è escluso dalla base imponibile, ai sensi dell'art. 3, comma 3, lett. c), del T.U.I.R. - abrogato a decorrere dall'anno di imposta 2001 - il reddito derivante da lavoro dipendente (nonché il relativo TFR) prestato all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto. Sulla base di tale disposizione, si ritiene non soggetto a tassazione il reddito prodotto all'estero, da un cittadino residente, in virtù di contratti di lavoro stipulati con committenti esteri, la cui qualificazione giuridica è da ascriversi al rapporto di lavoro dipendente, a nulla rilevando le eccezioni sollevate dall'Amministrazione finanziaria circa la riconducibilità degli stessi contratti a fattispecie di lavoro autonomo.

In tema di imposte sui redditi, il trattamento di fine rapporto relativo ad annualità di retribuzione corrisposte per lavoro prestato all'estero è escluso dalla base imponibile ex art. 3, comma 3, lett. c), del D.P.R. n. 917 del 1986, trattandosi di retribuzione differita che matura anno per anno in relazione al lavoro prestato ed all'ammontare degli emolumenti corrisposti, essendo a tal fine irrilevante la circostanza che il contribuente abbia la residenza in Italia. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto non conforme al principio enunciato la circolare del Ministero delle Finanze n. 95 del 18 ottobre 1997 che, posta a fondamento della sentenza impugnata, aveva considerato la norma indicata inapplicabile all'indennità di fine rapporto percepita dal lavoratore per prestazioni svolte all'estero per conto di una società italiana ivi operante). (Cassa con rinvio, COMM.TRIB.REG. ROMA, 16/02/2011).

Cass. civ. n. 16233/2004

L'esenzione prevista dall'art. 3 del D.P.R. n. 917 del 1986 non opera rispetto ai redditi assoggettati a tassazione separata in quanto essi sono per altro verso esclusi dalla determinazione del reddito complessivo del contribuente.

In tema di imposte sui redditi, la indennità di fine rapporto corrisposta al dipendente per il servizio continuativo svolto all'estero va assoggettata ad Irpef, dovendosi escludere che l'esenzione da imposizione dei redditi derivanti da lavoro dipendente prestato all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto, prevista dal terzo comma dell'art. 3 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, operi anche rispetto ai redditi soggetti a tassazione separata.

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Consulenze legali
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Chiara R. chiede
lunedì 27/05/2019 - Piemonte
“Buongiorno,
nel 2018 ho percepito 6 mesi di dis coll dall'INPS, dopo la cessazione del mio contratto da Assegnista di Ricerca presso l'Università di Torino. E' stata la prima volta che ho potuto usufruire di questa indennità, pur avendo già avuto in passato altri assegni di ricerca, perchè la dis coll è stata estesa ad assegnisti e dottorandi con borsa solo dal 2017. L'Assegno di Ricerca figura nella Certificazione Unica come "reddito esente", nel mio documento del 2018 figurava infatti nella casella 469. L'Ufficio Assegni di Ricerca dell'Università di ...omissis... mi ha dato di recente conferma scritta che questo reddito non deve essere presentato nella dichiarazione dei redditi, non configurandosi come lavoro dipendente e la C.U. viene emessa solo per documentare le ritenute previdenziali alla Gestione Separata INPS e per l'eventuale presentazione dell'ISEE.
Nella C.U. 2019 emessa dall'INPS per l'indennità dis coll ricevuta l'anno scorso l'importo viene invece riportato nella casella 2, come reddito da lavoro dipendente a tempo determinato, mentre mi aspettavo comparisse come reddito esente, tale e quale l'assegno di Ricerca. Ho sollecitato spiegazioni in merito all'INPS, che sostiene che le indennità di disoccupazioni sono soggette ad IRPEF, ma secondo me non hanno chiaro che devono fare riferimento anche al tipo di reddito che l'indennità va a sostituire, come indicato nell'art.6 del TUIR come leggo nel vostro sito. Vi chiedo di far luce su questo problema e come posso chiedere rettifica del C.U. all'INPS in caso risultasse che ho ragione io.
Grazie per l'attenzione,
cordialmente

Consulenza legale i 02/06/2019
A norma dell’art. 3, comma 3, lett. a) del TUIR sono esclusi dalla base imponibile i redditi esenti.
Nell’ambito di tale tipologia di redditi rientrano gli assegni per la collaborazione ad attività di ricerca conferiti dalle università, dagli osservatori astronomici, astrofisici e vesuviano, dagli enti pubblici e dalle istituzioni di ricerca di cui all’art. 8 del D.P.C.M. 30 dicembre 1993, n. 593, e successive modificazioni e integrazioni, dall’Enea e dall’ASI, così come precisato nell’Appendice del fascicolo 1 relativo alle istruzioni per la compilazione del Modello Redditi Persone Fisiche.
Infatti, sebbene la normativa fiscale delle borse di studio preveda un generale criterio di imponibilità ai fini dell’IRPEF, disposto dal comma 1 lett. c) dell'art. 50 del T.U.I.R., , che assimila ai redditi di lavoro dipendente “le somme da chiunque corrisposte a titolo di borsa di studio o di assegno, premio o sussidio per fini di studio o di addestramento professionale, se il beneficiario non è legato da rapporti di lavoro dipendente nei confronti del soggetto erogante”, vi sono, tuttavia, alcune ipotesi di esenzione specificamente individuate.

Tra le ipotesi di esenzione, ai sensi dell’articolo 6, comma 6, della legge 30 novembre 1989, n. 398, sono previste le borse di studio erogate dalle Università e dagli istituti di istruzione universitaria per:
  • la frequenza dei corsi di perfezionamento e delle scuole di specializzazione;
  • i corsi di dottorato di ricerca;
  • lo svolgimento di attività di ricerca post-dottorato;
  • la frequenza di corsi di perfezionamento all’estero.
In particolare, il richiamato articolo 6 prevede che alle borse di studio sopra indicate si applicano le “disposizioni in materia di agevolazioni fiscali di cui all’articolo 4 della legge 13 agosto 1984, n. 476”.

In base a tale norma “Sono esenti dall'imposta locale sui redditi e da quella sul reddito delle persone fisiche le borse di studio di cui all'art. 75 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382 e gli assegni di studio corrisposti dallo Stato ai sensi della legge 14 febbraio 1963, n. 80, e successive modificazioni, dalle regioni a statuto ordinario, in dipendenza del trasferimento alle stesse della materia concernente l'assistenza scolastica nell'ambito universitario, nonché dalle regioni astatuto speciale e dalle provincie autonome di Trento e Bolzano allo stesso titolo”.
Sono, altresì, esenti dall’IRPEF, ai sensi dell’articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 447, gli specifici assegni ivi previsti per la collaborazione ad attività di ricerca in favore di dottori di ricerca o laureati in possesso di idoneo curriculum scientifico.
Da ultimo, la legge 3 luglio 1998, n. 210, recante norme per il reclutamento dei ricercatori e dei professori universitari di ruolo, all’articolo 4 prevede l’applicazione del regime di esenzione dall’IRPEF di cui all’articolo 6, comma 6, della legge n. 398 del 1989, anche alle borse di studio per dottorato di ricerca, nonché alle borse di studio conferite dalle università per attività di ricerca post-lauream.

Venendo ora al tema della indennità di disoccupazione mensile, denominata DIS-COLL, occorre precisare che la stessa è stata istituita con l’articolo 15, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22, in via sperimentale per l’anno 2015, in favore dei collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto, che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione, nel periodo compreso tra il 1° gennaio ed il 31 dicembre 2015.
Successivamente, con ulteriori interventi normativi (articolo 1, comma 310, legge 28 dicembre 2015, n. 208 e articolo 3, comma 3 octies, decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244 convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2017, n. 19) il legislatore ha esteso la tutela rispettivamente agli eventi di disoccupazione verificatisi a far data dal 1° gennaio al 31 dicembre 2016 e dal 1° gennaio al 30 giugno 2017.
Infine l’articolo 7, legge 22 maggio 2017, n. 81, ha disposto, attraverso la modifica e integrazione dell’articolo 15 del modificato d.lgs. 22/2015, la stabilizzazione e l’estensione dell’indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa DIS-COLL.
In particolare l’articolo 15, comma 15, del modificato d.lgs. 22/2015, ha previsto che a decorrere dal 1° luglio 2017 l’indennità DIS-COLL sia riconosciuta ai collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto, nonché agli assegnisti e ai dottorandi di ricerca con borsa di studio in relazione agli eventi di disoccupazione verificatisi a decorrere dalla data del 1° luglio 2017.
Il medesimo comma 15 bis ha inoltre disposto che a decorrere dal 1° luglio 2017 per i collaboratori, gli assegnisti e i dottorandi di ricerca con borsa di studio che hanno diritto di percepire la DIS-COLL, nonché per gli amministratori e i sindaci di cui al comma 1 dell’articolo 15 del modificato d.lgs. 22/2015, è dovuta un'aliquota contributiva aggiuntiva pari allo 0,51%.

In merito al trattamento fiscale, la Circolare INPS n. 115 del 19 luglio 2017, al punto 5, ha precisato che l’indennità di disoccupazione riconosciuta ai soggetti in relazione agli eventi di disoccupazione verificatisi a decorrere dal 1° luglio 2017 in avanti è considerata - come quella riconosciuta ai soggetti in relazione agli eventi di disoccupazione verificatisi a decorrere dal 1° gennaio 2017 e fino al 30 giugno 2017 - ai sensi del comma 2, art. 6 del Tuir, reddito imponibile della stessa categoria dei redditi sostituiti o integrati e, pertanto, la ritiene soggetta al regime della tassazione ordinaria, ai sensi dell’art. 23 del DPR 600/73, con le aliquote previste all’art. 11 del T.U.I.R. e con il riconoscimento delle detrazioni di cui all'art. 12 del T.U.I.R. e all'art. 13 del T.U.I.R. del Tuir se richieste.
In considerazione di ciò, nella medesima circolare è precisato che l’INPS, in qualità di sostituto d’imposta, opererà a fine anno 2017 il conguaglio fiscale e rilascerà la relativa certificazione fiscale (mod.CU).

L’art. 6, comma 2, del TUIR, prima citato, dispone che i proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti.
La norma non dice che l’indennità è assoggettabile al medesimo trattamento tributario del reddito sostituito ma soltanto che costituisce reddito della medesima natura. Probabilmente in considerazione di ciò, l’INPS ha fondato il proprio convincimento sul fatto che il reddito in sostituzione del quale viene percepita l’indennità è, come detto prima, in via generale assimilabile a quello di lavoro dipendente, così come disposto dall'art. 50 comma 1 lett. c) del TUIR, prescindendo quindi dalle ipotesi di esenzione specificamente individuate dalle successive norme prima indicate.

È, tuttavia, condivisibile il dubbio che non si debba prescindere dal considerare anche tali disposizioni e, quindi, che l’indennità percepita a fronte di un reddito esente, seppure assimilabile a quello di lavoro dipendente, possa essere considerata essa stessa esente.
È chiaro che l’INPS non potrà modificare la certificazione unica rilasciata, avendo ormai assoggettato l’indennità corrisposta al regime della tassazione ordinaria.
Potrebbe essere, invece, opportuno presentare un'istanza all'Agenzia delle Entrate per ottenere chiarimenti in relazione al caso concreto e personale di cui si discute facendo ricorso all’istituto dell’interpello di cui all’art. 11, comma 1, lettera a) della legge n. 212/2000 (Statuto del contribuente).

Nell’istanza, che va indirizzata alla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate competente in base al domicilio fiscale del richiedente, si potrà prospettare la soluzione che la DIS-COLL debba essere considerata esente quando venga percepita in sostituzione di redditi esenti per espressa disposizione di legge.
Laddove l’amministrazione finanziaria dovesse condividere la soluzione prospettata o, qualora non si pronuncia nei termini di legge e si forma il silenzio assenso sulla soluzione interpretativa indicata, si potrà chiedere il rimborso delle imposte versate in riferimento all’indennità di cui si discute.
Si ricorda, da ultimo, che il parere espresso dall'Agenzia non vincola il contribuente, che può comunque decidere di non uniformarsi.

D. P. chiede
mercoledì 30/11/2022 - Emilia-Romagna
“Buongiorno, mia moglie portoghese con cittadinanza italiana acquisita, residente in Italia, in Portogallo è parte con la sorella maggiore, che la gestisce ai sensi dell'art. 2079 del codice civile portoghese, di una Comunione ereditaria indivisa intestata al defunto padre. Le imposte irpef (affitti) e immobiliari portoghesi sono corrisposte dalla sorella quale legale rappresentante dell'eredità, con il proprio codice fiscale per l'irpef mentre le imposte immobiliari vengono versate con il codice fiscale della Comunione ereditaria. La domanda è: quali imposte sono dovute per l'Italia? Mia moglie può rientrare nei casi di esclusione dovuto al D.L. 28 giugno 1990, n. 167, art. 4, comma 3, anziché comma 1? Grazie”
Consulenza legale i 10/12/2022
Quadro normativo di riferimento
La comunione ereditaria è una particolare tipologia di comunione che si instaura a seguito della morte di una persona fisica (de cuius), allorquando vi siano più eredi i quali diventano comproprietari pro quota dei beni e contitolari dei diritti e dei debiti che fanno parte dell'eredità.
L’oggetto della comunione ereditaria può essere rappresentato da un bene immobile che, per volere dei comproprietari eredi, può essere concesso in locazione.
Il canone di locazione, concordato fra eredi locatori e il conduttore, rientra nella categoria dei frutti civili, ai sensi dell'art. 820 del c.c. e, come tale, è ripartito pro quota fra i comunisti.
Se l’immobile, rientrante nella comunione ereditaria e oggetto di locazione è sito in Italia, il canone percepito dai singoli comunisti assume rilevanza da un punto di vista fiscale, in quanto costituisce fonte di reddito da locazione, indipendentemente dalla effettiva percezione, ai sensi dell’art. 26 del T.U.I.R..
Allorquando l’unità immobiliare si trovi in altro stato e uno dei comproprietari sia residente in Italia, ai sensi dell’art. 2 del T.U.I.R., in taluni casi e in presenza di specifici presupposti, i proventi possono rilevare fiscalmente anche in Italia, in ragione del principio di imposizione su scala mondiale, di cui all'art. 3 del T.U.I.R..
I proprietari di immobili all’estero ma residenti in Italia, possono, in taluni casi, essere soggetti, dunque, al rispetto rigoroso di specifici obblighi dichiarativi e di versamento secondo l’ordinamento italiano.
Nelle ipotesi in cui tali proventi siano rilevanti fiscalmente nello stato dove è sito l’immobile e nello Stato ove il proprietario è residente si pone il problema di doppia imposizione, che, come noto, è suscettibile di disincentivare gli investimenti che riguardano gli immobili in altri Stati, diversi da quello di residenza (Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 12 aprile 2018, causa – C110/17).
Al fine di eliminare o limitare il fenomeno della doppia imposizione, con riferimento al medesimo presupposto impositivo, l’Italia ha firmato con la quasi totalità di Paesi con cui intrattiene rapporti commerciali una Convenzione contro le doppie imposizioni.
Si tratta di accordi bilaterali a livello internazionale, con i quali i Paesi firmatari regolano, reciprocamente, l’esercizio della potestà impositiva con il precipuo scopo di eliminare fenomeni di doppia imposizione sui redditi e/o sul patrimonio gravanti sui soggetti economici residenti nei vari Paesi nel mondo, che sarebbero in contrasto con generali e ineludibili principi in materia di libera circolazione delle persone e dei capitali, previsto specificamente in ambito unionale.
La quasi totalità di tali accordi bilaterali “ricalca” il modello di Convenzione, approvato in sede OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico).
Tale modello, all’art. 6, stabilisce che gli immobili siano tassati nello Stato in cui sono situati.
La previsione di tassabilità degli immobili nel Paese, ove è sito, affermata in ambito OCSE, non esclude l’assoggettamento a imposta anche nell’altro Stato di residenza del contribuente proprietario.
Nelle ipotesi in cui dalla Convenzione emerga che il reddito derivante da un immobile all’estero debba essere soggetto a tassazione anche in Italia, occorre individuare il regime applicabile.
Al riguardo, il riferimento normativo è contenuto nell’ar. 70 del T.U.I.R., il quale, in linea generale, distingue le ipotesi in cui il reddito derivante dal possesso di immobili di fonte estera sia assoggettato a tassazione dalla diversa ipotesi in cui i proventi non siano tassati nello Stato estero.
In particolare, ai sensi della citata norma:
· se il reddito, derivante dalla locazione dell’immobile, e soggetto a imposte sui redditi nello Stato estero, occorre indicare nella dichiarazione italiana l'ammontare dichiarato nello Stato ove e situato l'immobile; in questo caso spetta il credito per le imposte estere, in luogo della deduzione forfetaria del 15%;
· se, invece, lo Stato estero non prevede l'imposizione diretta sui canoni di locazione, il provento concorre alla formazione del reddito italiano, ridotto del 15%, senza poter fruire del credito per le imposte estere.

Obblighi dichiarativi in caso di immobili detenuti all’estero
La detenzione di un bene immobile all’estero, in taluni casi, impone il rispetto di una serie di obblighi di natura dichiarativa, quali in particolare l’adempimento di obblighi in materia di monitoraggio fiscale di cui all’art. 4, D.L. 28 giugno 1990, n. 167.
Il principale adempimento riguarda la compilazione del quadro RW del modello di dichiarazione dei redditi, nel quale i soggetti residenti, a partire dal periodo di imposta 2009, sono tenuti a indicare il valore degli immobili siti all’estero, indipendentemente dalla effettiva produzione di redditi imponibili in Italia.

Esoneri dalla compilazione del quadro RW
Ai sensi dell’art. 4, comma 3, D.L. 28 giugno 1990, n. 167, gli obblighi di monitoraggio non trovano applicazione per gli immobili affidati in gestione o in amministrazione agli intermediari residenti e per i contratti comunque conclusi attraverso il loro intervento. Al riguardo, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che, ai fini dell’esenzione occorre un mandato con un intermediario finanziario a tutti gli effetti ed eventualmente iscritto a un apposito Albo (Agenzia delle Entrate, risoluzione 31 maggio 2011, n. 61 e 8 marzo 2012, n. 23).

Applicazione dell’IVIE
Gli immobili detenuti all’estero da persone fisiche sono soggetti a IVIE.
Si tratta di una imposta che trova applicazione nei confronti di:
· proprietari di fabbricati, aree fabbricabili e terreni a qualsiasi uso destinati, compresi quelli strumentali per natura o per destinazione destinati ad attività d’impresa o di lavoro autonomo
· titolari dei diritti reali di usufrutto, uso o abitazione, enfiteusi e superficie sugli stessi
· concessionari, nel caso di concessione di aree demaniali
· locatari, per gli immobili, anche da costruire o in corso di costruzione, concessi in locazione finanziaria.
A partire dal periodo di imposta 2016, l’imposta non si applica al possesso degli immobili adibiti ad abitazione principale (e per le relative pertinenze), e alla casa coniugale assegnata al coniuge, a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, che in Italia non risultano classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9.

Fattispecie concreta
Preliminarmente alla analisi dei quesiti prospettati e delle eventuali implicazioni fiscali, occorre precisare che la sussistenza del requisito della residenza in Italia in capo a Sua moglie è assunto sulla base delle informazioni fornite.
Alla luce delle considerazioni in precedenza svolte, si ritiene che, nel caso in esame, siano diversi gli obblighi di natura dichiarativa e di versamento da adempiere.
I comproprietari di beni immobili siti all’estero e concessi in locazione sono tenuti alla dichiarazione
in Italia dei proventi, derivanti dalla locazione di unità immobiliari in Portogallo. Ciò significa che Sua moglie, in qualità di comproprietaria è tenuta alla dichiarazione dei proventi derivanti dalla locazione, indipendentemente dalla effettiva percezione, come previsto dall'art. 26 del T.U.I.R..
Tali canoni configurano redditi diversi, ai sensi dell'art. 67 del T.U.I.R. assoggettati alla relativa disciplina.
Come rilevato, la tassazione del reddito in Italia dipende dalla circostanza che il governo Portoghese tassi direttamente tali canoni o li consideri esenti:
· se in Portogallo tali canoni di locazione sono direttamente tassati in Italia, bisognerà utilizzare la stessa base imponibile dello Stato estero;
· se in Portogallo tali canoni non sono direttamente tassati, il canone di locazione è ridotto del 15%.
Al riguardo, per comprendere in quale categoria si rientri nel caso specifico, occorre farsi rilasciare una attestazione da parte dell’Autorità portoghese.
Ulteriore obbligo di natura dichiarativa, che si ritiene sussistente nel caso di specie riguarda gli adempimenti in materia di monitoraggio fiscale, di cui all’art. 4, D.L. 28 giugno 1990, n. 167 (compilazione del quadro RW), per le ragioni che seguono.
Le ipotesi di esenzione di cui all’art. 4, del citato Decreto, non possono trovare applicazione, atteso che la sorella di Sua moglie, pur gestendo di fatto gli immobili, non possa rivestire la qualifica di intermediario, ai sensi della normativa sopra esposta.
Con riferimento agli obblighi di versamento, oltre a considerare i canoni di locazione come redditi diversi, ai fini delle imposte dirette complessivamente dovute a fine anno, si ritiene, infine, che Sua moglie potrebbe essere anche soggetta al pagamento dell’IVIE.