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Bambina si ferisce all'interno del ristorante: il ristoratore risponde del danno?

Bambina si ferisce all'interno del ristorante: il ristoratore risponde del danno?
Il ristoratore, oltre a somministrare alimenti e bevande ai clienti, deve anche preservarne l’incolumità fisica.
La Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9997/2020, ha avuto modo di pronunciarsi in ordine a quelli che sono gli obblighi assunti dal ristoratore nei confronti dei clienti, con la conclusione di un contratto di ristorazione, chiedendosi, in particolare, se tra essi, oltre a quello di somministrare alimenti e bevande, ci sia anche quello di preservare l’incolumità dei propri avventori, alla pari dei contratti di albergo.

La questione sottoposta all’esame dei Giudici di legittimità era nata in seguito alle ustioni riportate dalla figlia minore di due clienti di un ristorante, dopo che una delle cameriere del locale, mentre serviva una pizza ancora fumante, l’aveva fatta cadere su un braccio della bambina. In seguito all’accaduto, i genitori della bimba convenivano in giudizio il gestore del ristorante, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni.

Nonostante l’iniziale rigetto delle pretese attoree da parte del Tribunale, le stesse venivano accolte dalla Corte d’Appello, la quale riteneva che il gestore del ristorante dovesse essere ritenuto responsabile dell’accaduto ai sensi dell’art. 1218 del c.c.
La Corte territoriale, infatti, pur giudicando dimostrato che il rovesciamento della pizza sul braccio della bambina fosse effettivamente stato cagionato da un caso fortuito, rappresentato dall’urto improvviso ed imprevedibile inferto alla cameriera da un avventore, riteneva che, poiché la vittima e suoi commensali costituivano una turbolenta comitiva di giovani, per il gestore del locale fosse del tutto prevedibile la possibilità che la cameriera venisse urtata da uno dei componenti del gruppo e, per questo motivo, avrebbe dovuto adottare delle cautele adeguate.

Il ristoratore, rimasto soccombente, ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando, in particolare, come, a suo avviso, la Corte d’Appello avrebbe dovuto qualificare la domanda degli attori ai sensi dell’art. 2043 del c.c., addossando, di conseguenza, ad essi, l’onere di provare la colpa ed il nesso causale. Secondo il ricorrente, infatti, il contratto di ristorazione avrebbe avuto ad oggetto la sola fornitura, da parte sua, di cibo e bevande, per cui l’infortunio occorso ad un cliente all’interno del suo locale, a causa, peraltro, della condotta di un altro avventore, non avrebbe potuto rientrare tra i suoi obblighi contrattuali.

Il ricorrente eccepiva, poi, come la Corte territoriale avesse errato nel ritenerlo responsabile dell’accaduto, senza previamente individuare quale sarebbe dovuta essere la condotta alternativa corretta che agli avrebbe dovuto tenere, ossia l’obbligo giuridico da lui violato.
Sotto altro profilo, il ristoratore deduceva, al contempo, come la Corte d’Appello avesse violato le regole poste in materia di accertamento del nesso causale, non avendo riconosciuto gli estremi del caso fortuito, idoneo ad escludere il nesso di causa tra inadempimento e danno, nel comportamento tenuto dall’altro avventore che, stando in piedi, si era agitato in maniera scomposta all’interno della sala del ristorante.

La Suprema Corte ha accolto quest’ultimo motivo di doglianza, ritenendo, invece, infondato il primo.

Quanto, innanzitutto, alla supposta qualificazione della responsabilità del ristoratore ai sensi dell’art. 2043 del c.c., la Cassazione ha evidenziato come chi acceda ad un ristorante, stipulando per fatti concludenti un contratto rientrante nel genus del contratto d’opera, abbia diritto di pretendere dal gestore che sia preservata la sua incolumità fisica.
Il contratto di ristorazione, infatti, nella sua struttura socialmente tipica, comporta l’obbligo del ristoratore di dare ospitalità all’avventore, considerato, peraltro, che, in mancanza di tale elemento, non si dovrebbe parlare di contratto di ristorazione, ma, piuttosto, di compravendita di cibi preparati o da preparare.

Ciò comporta, quindi, che, nel contratto di ristorazione, come in quello di albergo o di trasporto, il creditore della prestazione affidi la propria persona alla controparte, facendo sorgere in capo a quest’ultima l’obbligo di garantire la sua incolumità, quale naturale effetto del contratto ex art. 1374 del c.c.

Dall’art. 32 Cost. discende, infatti, l’obbligo del ristoratore di salvaguardare l’incolumità fisica della controparte, alla pari di tutti i contratti in cui una delle parti affidi all’altra la propria persona.

Quanto, poi, al secondo motivo di ricorso, esso è stato giudicato infondato nella parte in cui lamenta la violazione delle regole sulla causalità materiale. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, infatti, secondo gli Ermellini il danno non è stato arrecato da un terzo, bensì dal personale dipendente del ristorante gestito dal convenuto. Si è, dunque, trattato di un danno corpore corpori illato, e, in virtù del principio di equivalenza causale, la sussistenza del nesso era indiscutibile.

Lo stesso motivo di doglianza è, invece, stato ritenuto fondato nella parte in cui lamenta la violazione delle regole in materia di colpa. Secondo la Cassazione, pur essendo vero che il fatto del terzo possa integrare il caso fortuito, è anche vero che quest’ultimo, per escludere la colpa del danneggiante, non deve poter essere previsto e, quindi, evitato, e il responsabile deve avere l’obbligo di prevederlo o evitarlo.
Per questo motivo il caso fortuito che, però, sia prevedibile o evitabile, non libera l’autore del danno da responsabilità, contrattuale o aquiliana che sia (cfr. Cass. Civ., n. 25837/2017), e tale prevedibilità o evitabilità deve necessariamente essere accertata in relazione al caso concreto.

Nel caso di specie, invece, la Corte d’Appello non ha accertato in concreto la prevedibilità e l’evitabilità dell’evento dannoso, essendosi limitata a postularle in astratto. I Giudici di merito non hanno, infatti, indagato se l’esagitazione della persona che ha urtato la cameriera fosse subitanea o si fosse protratta nel tempo, né ha accertato se era stata la cameriera ad avvicinarsi in modo incauto ad uno scalmanato o se, invece, era stato quest’ultimo a raggiungerla in maniera imprevedibile.

Così facendo, la Corte territoriale ha senza dubbio falsamente applicato gli articoli 1176 e 1218 del c.c., avendo escluso in iure l’efficacia esimente del caso fortuito, senza accertare in facto se quel caso fortuito fosse concretamente prevedibile o evitabile.


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