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Evasione fiscale: il cliente è tenuto a vigilare sul corretto svolgimento dell'incarico da parte del commercialista?

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Evasione fiscale: il cliente è tenuto a vigilare sul corretto svolgimento dell'incarico da parte del commercialista?
Il contribuente è responsabile del reato di evasione fiscale per omessa dichiarazione anche se ha conferito mandato al commercialista, dovendo vigilare sul suo operato.
La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16469/2020, ha avuto modo di pronunciarsi in ordine alla configurabilità del reato di evasione fiscale per omessa dichiarazione, di cui all’art. 5 della legge reati tributari, anche in capo al contribuente che abbia conferito incarico ad un commercialista.

La questione sottoposta al vaglio degli Ermellini era nata nell’ambito del procedimento penale che aveva visto imputato, per il reato ex art. 5 della legge reati tributari, il legale rappresentante di una società cooperativa, al quale era stato contestato di aver omesso di presentare, pur essendovi obbligato, le relative dichiarazioni dei redditi e IVA, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto.

Di fronte alla propria condanna, pronunciata all’esito del giudizio d’appello, l’imputato ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, eccependo, innanzitutto, un vizio di motivazione della decisione impugnata, in relazione alla sussistenza del dolo specifico. Secondo il ricorrente, infatti, la sola evasione, non era, di per sé, sufficiente ad integrare il reato contestatogli.
Egli, inoltre, dichiarava di non comprendere le ragioni per cui la Corte territoriale non avesse attribuito la dovuta rilevanza né all’errore commesso dal commercialista, da lui incaricato per la trasmissione delle dichiarazioni, il quale aveva omesso di inviarle, né alla grave crisi finanziaria che aveva colpito la società da lui rappresentata.

Con un secondo motivo di ricorso, l’imputato lamentava, poi, un’omessa motivazione in relazione alla sussistenza di circostanze ed elementi inconciliabili con il dolo specifico, evidenziando come fossero stati prodotti in giudizio i modelli F24 incriminati, nonché come fosse stato adempiuto l’obbligo di presentare le dichiarazioni dei redditi.

La Suprema Corte ha, però, rigettato il ricorso, giudicando privi di fondamento i suddetti motivi di doglianza.

Nell’esaminare congiuntamente i due motivi di ricorso presentati dall’imputato, gli Ermellini hanno evidenziato come, secondo la costante giurisprudenza di legittimità in tema di reati tributari, la prova del dolo specifico di evasione, nel delitto di omessa dichiarazione, di cui all’art. 5 della legge reati tributari, possa essere desunta dall’entità del superamento della soglia di punibilità vigente, unitamente alla piena consapevolezza, da parte del soggetto obbligato, dell’esatto ammontare dell’imposta dovuta (Cass. Pen., n. 267022/2016; Cass. Pen., n. 18936/2016).

In altre parole, quindi, l’elemento soggettivo è integrato dalla deliberata ed esclusiva intenzione di sottrarsi al pagamento delle imposte, nella piena consapevolezza dell’illiceità del fine perseguito e del mezzo utilizzato.

Ai fini dell’integrazione del reato in esame, dunque, il soggetto agente deve non soltanto aver lasciato, coscientemente e volontariamente, inadempiuto l’obbligo di dichiarazione, ma deve anche essere stato consapevole che, a tale inadempienza, sia corrisposta un’evasione di imposta superiore alla soglia di punibilità stabilita, in ossequio alla volontà di politica criminale di selezionare le condotte punibili.

Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, infatti, “neppure l’affidamento ad un professionista dell’incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi esonera il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per il delitto di omessa dichiarazione. Infatti, trattandosi di reato omissivo proprio, la norma tributaria considera come personale ed indelegabile il relativo dovere. Tuttavia, la prova del dolo specifico di evasione non deriva dalla semplice violazione dell’obbligo dichiarativo né da una “culpa in vigilando” sull’operato del professionista che trasformerebbe il rimprovero per l’atteggiamento doveroso da doloso in colposo, ma dalla ricorrenza di elementi fattuali dimostrativi che il soggetto obbligato ha consapevolmente preordinato l’omessa dichiarazione all’evasione dell’imposta per quantità superiori alla soglia di rilevanza penale” (Cass. Pen., n. 37856/2015; Cass. Pen., n. 265087/2015).

Non rileva, dunque, nemmeno il fatto che il commercialista non abbia correttamente assolto l’incarico affidatogli, come prospettato, invece, dall’imputato. In tema di dichiarazioni fiscali, infatti, il contribuente non assolve agli obblighi tributari con il mero affidamento ad un commercialista, a cui dà mandato a trasmettere, in via telematica, la dichiarazione medesima alla competente Agenzia delle Entrate, essendo egli, comunque, tenuto a vigilare affinché tale mandato sia puntualmente adempiuto, sicché la sua responsabilità è suscettibile di esclusione soltanto dinanzi ad un comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento (cfr. Cass. Pen., n. 18845/2016).


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