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Niente patteggiamento per chi evade le imposte sui redditi o sul valore aggiunto se non estingue i debiti tributari prima dell’apertura del dibattimento

Niente patteggiamento per chi evade le imposte sui redditi o sul valore aggiunto se non estingue i debiti tributari prima dell’apertura del dibattimento
Risulta viziato il provvedimento che applica la pena su richiesta delle parti in assenza della preventiva riparazione dell’offesa arrecata.
Con la sentenza n. 55498/2019 il Supremo Consesso si pronuncia in tema di reati tributari e di accesso al rito speciale del patteggiamento.
La vicenda giudiziaria prende le mosse dalla sentenza n. 3 aprile del 2018 con cui il GIP presso il Tribunale di Brescia disponeva l’applicazione della pena di anni 1 e 2 mesi di reclusione su richiesta delle parti, con sospensione condizionale della stessa, in relazione al reato di cui al D. lgs. n. 74 del 2000, art. 2, commesso per i periodi di imposta 2012 e 2013.
Si ricorda la norma di cui all’art. 2 citato, che recita: “È punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
Proponeva ricorso per Cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello, deducendo la violazione di legge (art. 448, co. 2 bis, c.p.p.) stante la riduzione della pena applicata entro il terzo in difetto dei requisiti, attualmente richiesti, di cui all’art. 13 bis, D. lgs. 74/2000.
Secondo tali contestazioni l’imputato non avrebbe potuto giovarsi del trattamento di favore discendente dall’esperimento del rito speciale per il mancato verificarsi della condizione oggettiva (pagamento dei debiti tributari) di cui all’articolo da ultimo citato.
La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso, ha evidenziato che, al tempo della consumazione del fatto-reato, era sì in vigore il previgente testo del D. lgs. 74/2000 (art. 13, comma 2-bis), ma che questo aveva tenore sostanzialmente identico alla norma attualmente vigente (art. 13 bis). In particolare, il dato letterale della disposizione richiamata sanciva che “l’applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 c.p.p. può essere richiesta dalle parti solo qualora ricorra la circostanza attenuante di cui allo stesso Decreto legislativo n. 74 del 2000, articolo 13, commi 1 e 2”, ovvero nel caso di estinzione mediante pagamento dei debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei predetti delitti.
Si discerne, in quest’ottica, di una esclusione oggettiva dal patteggiamento per ogni fattispecie penale di cui al predetto decreto.
Il legislatore, dunque, per il tramite di tale disposizione, ha permesso di superare detta preclusione solo allorquando ricorra una circostanza attenuante speciale; circostanza che si sostanzia nella riparazione dell’offesa prodotta dal reato ed attualmente prevista dall’art. 13 bis, comma 2.
Di conseguenza, l’accesso al patteggiamento è ammissibile solo se l’imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, abbia estinto i debiti tributari, relativi ai fatti costitutivi dei delitti contestati nel caso concreto, “mediante pagamento, anche a seguito di speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie”.
Come ha precisato la Corte, nel caso di specie il GIP aveva ammesso l’imputato al rito nonostante l’assenza della condizione di cui all’art. 13 bis, comma 2 del citato decreto. Alla luce di quanto osservato, la Cassazione ha annullato senza rinvio il provvedimento impugnato, disponendo la trasmissione degli atti al Tribunale di Brescia.


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