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Articolo 186 Legge fallimentare

(R.D. 16 marzo 1942, n. 267)

[Aggiornato al 01/01/2023]

Risoluzione e annullamento del concordato

Dispositivo dell'art. 186 Legge fallimentare

(1) Ciascuno dei creditori (2) può richiedere la risoluzione del concordato per inadempimento.

Il concordato non si può risolvere se l'inadempimento (3) ha scarsa importanza.

Il ricorso per la risoluzione deve proporsi entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l'ultimo adempimento previsto dal concordato.

Le disposizioni che precedono non si applicano quando gli obblighi derivanti dal concordato sono stati assunti da un terzo con liberazione immediata del debitore.

Si applicano le disposizioni degli articoli 137 e 138, in quanto compatibili, intendendosi sostituito al curatore il commissario giudiziale.

Note

(1) Articolo così sostituito con d.lgs. 169/2007.
(2) La risoluzione del concordato può essere oggi chiesta solo dai creditori (privilegiati o chirografari) e non disposta d'ufficio.
(3) Per inadempimento si intende la mancata costituzione delle garanzie promesse in conformità del concordato oppure l'omessa regolare esecuzione degli obblighi assunti dall'imprenditore. Se si ha concordato per cessione, l'inadempimento si verifica quando il debitore non provvede a consegnare i beni ai liquidatori oppure quando il giudice valuti che le somme ricavabili dalla vendita dei beni non sarebbero sufficienti a soddisfare i creditori.

Rel. ill. riforma fall. 2007

(Relazione Illustrativa al decreto legislativo 12 Settembre 2007, n. 169)

17 L’articolo 17 del decreto legislativo reca modifiche al Titolo III, Capo VI della legge fallimentare.
L’art. 17 reca modifiche al Titolo III, Capo VI, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267.
Il comma 1 sostituisce l’art. 186 del r.d., dettando una disciplina uniforme a quella prevista per il concordato fallimentare.
Di notevole importanza è la disposizione che, in coerenza con l’accentuata natura privatistica del concordato preventivo, condiziona la risoluzione del concordato alla non scarsa importanza dell’inadempimento. Si chiarisce, infatti, in aderenza ai principi generali, che il concordato preventivo non si può risolvere se l’inadempimento risulta essere di scarsa importanza Si recuperano, in questo modo, tutti i principi sull’importanza dell’inadempimento contrattuale elaborati con riferimento alla norma generale di cui all’articolo 1455 del cod. civ.

Massime relative all'art. 186 Legge fallimentare

Cass. civ. n. 9934/2015

L'interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. deve valutarsi alla stregua della prospettazione operata dalla parte, sicché non può negarsene la sussistenza nell'impugnazione proposta contro il decreto reiettivo del reclamo avverso la pronuncia risolutiva di un concordato preventivo ex art. 186 legge fall. (nel testo, utilizzabile "ratione temporis", anteriore alla modifica apportatagli dal d.l.vo 12 settembre 2007, n. 169), di cui si censuri l'omessa, contestuale ed asseritamente automatica dichiarazione di fallimento del debitore, sul solo presupposto che le conseguenze da trarsi dai fatti allegati siano diverse da quelle sostenute dall'istante, ciò riguardando la fondatezza nel merito della domanda.

Cass. civ. n. 2671/2012

Il reclamo avverso il decreto di annullamento del concordato preventivo, seguito da contestuale dichiarazione di fallimento e nella specie relativo a procedura svoltasi per intero dopo l'entrata in vigore del D.L.vo n. 169 del 2007, non è ammissibile in sè, dovendo i motivi di doglianza, in applicazione analogica del principio di cui all'art. 162, terzo comma, legge fall. (relativo ai casi di conclusione del procedimento con provvedimento diverso dall'omologazione), essere fatti valere nell'ambito di un unico reclamo avverso altresì la sentenza di fallimento, considerato il carattere pregiudiziale dell'annullamento rispetto ad altre motivazioni attinenti in ipotesi ai presupposti della fallibilità; l'art. 186 legge fall., infatti, nel rinviare all'applicazione, in quanto compatibili, degli artt. 137 e 138 legge fall., dettati in tema di risoluzione ed annullamento del concordato fallimentare, se ne differenzia quanto agli esiti, poichè solo per il concordato preventivo risolto od annullato non si ha automatismo della dichiarazione di fallimento, che anzi presuppone, oltre ad una verifica dei suoi presupposti, l'iniziativa di parte.

Cass. civ. n. 22913/2011

In tema di concordato preventivo, la garanzia - nella specie, una fideiussione prestata da un terzo - offerta dall'assuntore del concordato preventivo, pur corrispondendo all'interesse di colui che abbia formulato la proposta, è prestata a beneficio dei creditori e dà luogo ad un rapporto obbligatorio tra il garante e questi ultimi; pertanto, nel caso in cui l'assuntore sia dichiarato fallito, la legittimazione ad agire in giudizio, per fare valere la detta garanzia prestata, spetta ai singoli creditori, in qualità di titolari del relativo rapporto obbligatorio, mentre non può essere riconosciuta nè al commissario giudiziale (incaricato della mera sorveglianza sull'adempimento del concordato), nè al curatore del fallimento dell'assuntore (essendo la relativa azione estranea a quelle cd. di massa).

Cass. civ. n. 7942/2010

Il concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, deve essere risolto per inadempimento ai sensi dell'art. 186 della legge fall., con la conseguente apertura della procedura fallimentare, quando, anche prima della liquidazione di tutti i beni, emerga che esso sia venuto meno alla sua funzione, in quanto, secondo il prudente apprezzamento del giudice del merito, le somme ricavabili dalla vendita dei beni ceduti si rivelino insufficienti, in base ad una ragionevole previsione, a soddisfare, anche in minima parte, i creditori chirografari e, integralmente, i privilegiati. (Nella fattispecie, era stato accertato che la società debitrice, ammessa al concordato, non aveva provveduto neanche al deposito delle spese di giustizia, non erano stati pagati i privilegiati ed era impossibile provvedervi anche per l'assoggettamento ad espropriazione di beni del fideiussore).

Il dovere, imposto al tribunale dagli artt. 137 e 186 della legge fall., di ordinare la comparizione dei fideiussori nel procedimento di risoluzione del concordato preventivo, al fine di consentire loro l'esercizio del diritto di difesa, non comporta l'acquisto, da parte del fideiussore, della qualità di parte necessaria nel giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento seguita alla risoluzione del concordato, ed il conseguente obbligo di disporre l'integrazione del contraddittorio nei suoi confronti, in quanto gli effetti che la sentenza dichiarativa di fallimento produce nei confronti del fideiussore sono diversi da quelli prodotti nei confronti dell'imprenditore in stato di insolvenza, consistendo nel rendere permanente la garanzia offerta per l'ammissione alla procedura di concordato.

Cass. civ. n. 11396/2009

In caso di dichiarazione di fallimento conseguente alla risoluzione di un concordato preventivo accompagnato da garanzia prestata da terzi per l'adempimento delle obbligazioni assunte dal debitore, la legittimazione ad agire nei confronti del garante non compete al curatore del fallimento, bensì individualmente ai creditori che risultino tali sin dall'atto dell'apertura della procedura concordataria.

L'obbligazione del garante di un concordato preventivo viene ad esistenza solo in quanto - ed a partire dal momento in cui - la proposta concordataria alla quale essa accede è approvata dai creditori, che della garanzia medesima sono beneficiari, ed a condizione che il concordato sia poi omologato. Ne consegue che, ai fini della identificazione del "forum contractus", in riferimento alla controversia relativa all'adempimento delle obbligazioni assunte da chi ha garantito il concordato, occorre avere riguardo al luogo in cui il concordato medesimo sia stato approvato dai creditori, giacché tale approvazione investe anche la garanzia che ad esso accede e che solo in tal modo si perfeziona.

Cass. civ. n. 10195/2008

In materia di risoluzione del concordato preventivo, la circostanza che la sollecitazione a risolvere il concordato sia pervenuta al tribunale da un soggetto che non sarebbe stato autonomamente legittimato a proporre un'istanza al riguardo non ha rilievo e non può certo inficiare la sentenza emessa dal medesimo tribunale, il quale ben può attivarsi anche d'ufficio, una volta che abbia comunque accertato che le condizioni per risolvere il concordato e dichiarare il fallimento sussistevano. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto la legittimità della risoluzione del concordato preventivo e della conseguente declaratoria di fallimento pronunciata su istanza del liquidatore giudiziario, trattandosi di un mero difetto formale).

Cass. civ. n. 13357/2007

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 186 legge fallim., nella parte in cui prevede la dichiarazione d'ufficio del fallimento dell'imprenditore in concordato preventivo a seguito della risoluzione del concordato stesso, per violazione dei principi del giusto processo di cui all'art. 111 Cost. nuovo testo, atteso che tale dichiarazione costituisce uno dei possibili esiti della procedura di concordato, conseguente all'attivazione del potere-dovere di controllo degli organi della medesima procedura, che sarebbe pressoché inutile senza la possibilità di ovviare alla inerzia delle parti mediante la dichiarazione di ufficio del fallimento.

L'art. 186 legge fall. dispone che il concordato preventivo si risolve per il solo fatto obiettivo della impossibilità di corrispondere una qualsiasi precentuale ai creditori chirografari e di soddisfare integralmente i creditori privilegiati, onde non rileva la circostanza che tale impossibilità sia addebitabile alla eventuale negligenza del liquidatore nel condurre le operazioni di liquidazione, che può soltanto fondare la responsabilità del medesimo per i conseguenti danni, da far valere nella sede giudiziaria competente.

Cass. civ. n. 18945/2005

Nel riconoscere che il concordato preventivo può avere ad oggetto anche la cessione dei beni, il legislatore si è astenuto dall'imporre schemi rigidi di disciplina, lasciando alle parti un'ampia libertà dispositiva, che può manifestarsi anche nella previsione dell'intervento di un terzo a garanzia del soddisfacimento dei creditori nella misura minima stabilita dall'art. 160, comma secondo, legge fall.: e ciò quantunque una formale costituzione di garanzie, nel concordato con cessione dei beni, non sia richiesta dalla legge, essendo l'ammissibilità della relativa proposta subordinata alla condizione che «la valutazione dei beni ceduti faccia fondatamente ritenere che i creditori possano essere soddisfatti» nell'anzidetta misura minima (art. 160, comma secondo, n. 2, legge fall.). Il conseguente concordato c.d. «misto» deve ritenersi tuttavia suscettibile di risoluzione, non risultando ad esso applicabile il disposto dell'art. 186, comma secondo, legge fallim., che esclude la risoluzione del concordato con cessione dei beni «se nella liquidazione dei beni sia stata ricavata una percentuale inferiore al quaranta per cento» in quanto la garanzia del terzo è diretta a rendere effettivo il soddisfacimento dei creditori nella percentuale minima richiesta dalla legge, come nel concordato c.d. «per garanzia» e non vi è quindi motivo per tutelare in modo diverso le aspettative dei creditori stessi nelle due forme di concordato.

Cass. civ. n. 295/2005

In materia di concordato preventivo con cessione dei beni, qualora sia disposta la vendita all'asta dei beni, la fissazione del prezzo base non può ritenersi vincolata dall'importo della somma necessaria a soddisfare i creditori, in quanto detto prezzo dipende esclusivamente da valutazioni di mercato, e anche se esso sia insufficiente al succitato scopo, non possono ritenersi sussistenti, per ciò solo, i presupposti per la risoluzione del concordato, dato che non è possibile prevedere se, ed in quale misura, all'esito della gara, il prezzo di aggiudicazione sarà superiore all'importo base, ferma restando l'intangibilità del diritto del miglior offerente all'aggiudicazione anche nel caso in cui questa ipotesi non si sia verificata.

Cass. civ. n. 1482/1997

Le garanzie offerte dal debitore, ai sensi dell'art. 160, secondo comma, n. 1, legge fall. come condizione per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo non sono equiparabili alle fideiussioni di diritto comune, in quanto sono costituite in funzione del concordato e non diventano efficaci senza la sentenza di omologazione. Tuttavia, esse, pur in mancanza di una disposizione analoga a quella specificamente dettata dall'art. 140, secondo comma, legge fall., per la risoluzione del concordato fallimentare, non perdono efficacia, negli stretti limiti della percentuale concordataria per cui sono state offerte, in ipotesi di risoluzione del concordato preventivo dovuta all'inadempimento dell'imprenditore.

Cass. civ. n. 10095/1996

Il decreto con cui il tribunale rigetti l'istanza del creditore tendente alla risoluzione del concordato fallimentare (o di quello preventivo) non è impugnabile con ricorso per cassazione, a norma dell'art. 111 della Costituzione, trattandosi di provvedimento che non decide in via definitiva e diretta su un diritto soggettivo del creditore, il quale, oltre a beneficiare dell'eventuale modifica o revoca del decreto, ha la possibilità di riproporre l'istanza di risoluzione, ovvero di formulare autonome domande di condanna nei confronti del fallito tornato in bonis, del garante del concordato o dell'assuntore dello stesso.

Cass. civ. n. 2080/1989

Manca il presupposto costituito dalla pendenza di una questione di giurisdizione ed è quindi inammissibile il regolamento proposto per sentir riconoscere il difetto di giurisdizione del tribunale fallimentare, che si sia riservato ogni decisione sulla segnalazione dell'ufficio liquidatorio circa la mancanza di attivo sufficiente a coprire le passività fiscali, in riferimento all'eventualità di una pronuncia risolutoria del concordato conseguente ad accertamento attinente al contenzioso tributario esorbitante dalla giurisdizione di quel tribunale.

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Daniele G. chiede
martedì 29/03/2016 - Veneto
“Art. 186 Legge Fallimentare.
Un nostro cliente proprietario di una I. S.P.A. ha richiesto un Concordato Preventivo e dopo innumerevoli esperimenti di vendita di tutto il compendio immobiliare, il Commissario Liquidatore mi ha comunicato che il realizzo dell'attivo non consentirà di soddisfare il ceto chirografario e parte di quello privilegiato. Il passivo concordatario come da Decreto di omologa ammonta a 25 Mln e il realizzo forse sarà di forse di 5 Mln.
Lo stesso Commissario mi scrive, dicendomi che ciascuno dei creditori può valutare di richiedere la risoluzione del Concordato per inadempimento ai sensi dell'art. 186 L.F.
Accertato il Fatto, io posso chiedere il fallimento della S.p.a. ?Potrebbe essere una strada percorribile per ottenere un risultato migliore di quello prospettato ?
Io sono un libero professionista che ha eseguito un progetto e non sono stato pagato.”
Consulenza legale i 07/04/2016
L'art. 186 della Legge Fallimentare (Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267) stabilisce che ciascun creditore può richiedere la risoluzione del concordato per inadempimento (art. 186, comma 1, della L.F.)
Affinché si possa richiedere tale risoluzione occorre che l'inadempimento non sia di scarsa importanza (art. 186, comma 2, della L.F.).
Nel caso di specie, pertanto, poiché il passivo concordatario ammonterebbe a 25 Mln ed il realizzo dovrebbe essere approssimativamente pari a 5 Mln, risulta evidente che l'inadempimento della I. S.p.a. non possa affatto definirsi di scarsa importanza. Infatti, lo stesso Commissario liquidatore, alla luce dell'importo relativo al probabile realizzo della vendita, ha segnalato ai creditori la possibilità di richiedere tale risoluzione.
La Giurisprudenza ha confermato che "può essere pronunciata la risoluzione del concordato preventivo con cessione dei beni, ai sensi dell'articolo 186, legge fallimentare, qualora sia accertata la impossibilità di corrispondere una qualsiasi percentuale ai creditori chirografari e di soddisfare integralmente i creditori privilegiati. (Nel caso di specie l'impossibilità di pagare i creditori chirografari è stata evidenziata dal commissario giudiziale nella relazione semestrale e l'impossibilità di pagare parte dei creditori privilegiati è stata ricondotta al decorso degli interessi sui crediti ipotecari e privilegiati)" (cfr. sentenza Tribunale Benevento, 1 febbraio 2012).
Chiarito il fatto che ricorrono nel caso di specie i requisiti affinché ciascun creditore possa richiedere la risoluzione del concordato, occorre evidenziare che per i creditori effettivamente risulterebbe più vantaggioso, al fine di tentare di recuperare una maggiore percentuale del proprio credito, presentare altresì istanza di fallimento (ai sensi dell'art. 6 della Legge Fallimentare, in base al quale l'iniziativa per la dichiarazione di fallimento spetta al debitore, a uno o più creditori o dal pubblico ministero).
Infatti, se nel concordato preventivo il debitore continua ad esercitare l’impresa (seppure sotto la vigilanza del commissario giudiziale e del giudice delegato), i contratti conservano pienamente la loro efficacia e gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione possono essere compiuti (anche se solo previa autorizzazione del giudice delegato). Inoltre, è doveroso rammentare che nella procedura del concordato preventivo non è applicabile la normativa sulla revocatoria fallimentare, determinandosi pertanto, nella prosecuzione dell'impresa, una tutela necessariamente inferiore in termini di tutela del patrimonio su cui i creditori si possono rivalere.
Si ritiene, pertanto, che, in seguito alla domanda di risoluzione e inadempimento del concordato, il creditore possa richiedere il fallimento del debitore; tuttavia - diversamente rispetto a quanto previsto nel caso di mancata omologazione del concordato, o di mancata ammissione alla procedura ex art. 162 della L.F. - la mancanza di una previsione espressa nell'art. 186 della L.F. che consenta al creditore di richiedere contestualmente il fallimento, suggerisce prudenzialmente di proporre un'autonoma istanza di fallimento.
In ogni caso si consideri che la Giurisprudenza ha precisato che: "In materia di risoluzione del concordato preventivo, la circostanza che la sollecitazione a risolvere il concordato sia pervenuta al tribunale da un soggetto che non sarebbe stato autonomamente legittimato a proporre un'istanza al riguardo non ha rilievo e non può certo inficiare la sentenza emessa dal medesimo tribunale, il quale ben può attivarsi anche d'ufficio, una volta che abbia comunque accertato che le condizioni per risolvere il concordato e dichiarare il fallimento sussistevano. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto la legittimità della risoluzione del concordato preventivo e della conseguente declaratoria di fallimento pronunciata su istanza del liquidatore giudiziario, trattandosi di un mero difetto formale)" (cfr. Cassazione civile, Sez. I, 18 aprile 2008, n. 10195).
Si consideri altresì che probabilmente, nel caso di specie, considerando il notevole inadempimento del debitore, il giudice potrebbe avviare automaticamente la procedura fallimentare.
La Giurisprudenza ha infatti evidenziato che "il concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, deve essere risolto per inadempimento ai sensi dell'art. 186 l. fall., con la conseguente apertura della procedura fallimentare, quando, anche prima della liquidazione di tutti i beni, emerga che esso sia venuto meno alla sua funzione, in quanto, secondo il prudente apprezzamento del giudice del merito, le somme ricavabili dalla vendita dei beni ceduti si rivelino insufficienti, in base ad una ragionevole previsione, a soddisfare, anche in minima parte, i creditori chirografari e, integralmente, i privilegiati" (cfr. Cassazione civile, sez. I, 31 marzo 2010, n. 7942).