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Articolo 72 Legge fallimentare

(R.D. 16 marzo 1942, n. 267)

[Aggiornato al 01/01/2023]

Rapporti pendenti

Dispositivo dell'art. 72 Legge fallimentare

(1) Se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito (2) da entrambe le parti quando, nei confronti di una di esse, è dichiarato il fallimento, l'esecuzione del contratto, fatte salve le diverse disposizioni della presente Sezione, rimane sospesa fino a quando il curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo, salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto (3).

Il contraente può mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intende sciolto.

La disposizione di cui al primo comma si applica anche al contratto preliminare salvo quanto previsto nell'articolo 72 bis (4).

In caso di scioglimento, il contraente ha diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento, senza che gli sia dovuto risarcimento del danno (3).

L'azione di risoluzione del contratto promossa prima del fallimento nei confronti della parte inadempiente spiega i suoi effetti nei confronti del curatore, fatta salva, nei casi previsti, l'efficacia della trascrizione della domanda; se il contraente intende ottenere con la pronuncia di risoluzione la restituzione di una somma o di un bene, ovvero il risarcimento del danno, deve proporre la domanda secondo le disposizioni di cui al Capo V [92-103].

Sono inefficaci le clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento.

In caso di scioglimento del contratto preliminare di vendita immobiliare trascritto ai sensi dell'articolo 2645 bis del codice civile, l'acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo, senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno e gode del privilegio di cui all'articolo 2775 bis del codice civile a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siano cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento (5).

Le disposizioni di cui al primo comma non si applicano al contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell'articolo 2645 bis del codice civile avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado (6) ovvero un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell'attività di impresa dell'acquirente [67] (7) (5).

Note

(1) Articolo così sostituito dal d.lgs. 5/2006.
(2) Si fa generalmente riferimento alle prestazioni fondamentali nascenti dal contratto e non a quelle accessorie.
(3) Comma così modificato con d.lgs. 169/2007.
(4) Unica disposizione nel complesso della Legge Fallimentare che fa riferimento, in generale, ai contratti preliminari (art. 1351 del c.c.), senza specificare quale tipo di contratto sia quello definitivo che le parti si sono impegnate a concludere.
(5) I commi 7 e 8 del presente articolo sono stati così modificati dal d.lgs. 169/2007.
(6) Il legislatore ha voluto tutelare l'acquirente dell'immobile destinato ad abitazione principale, impedendo al curatore di poter sciogliere il contratto.
(7) L'espressione "ovvero un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell'attività di impresa dell'acquirente" è stata introdotta dal D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito con legge 7 agosto 2012 n. 134.

Ratio Legis

La norma in commento contiene la disciplina generale in materia di contratti conclusi dal fallito. La regola è che il contratto sia sospeso nella sua esecuzione, fino al momento in cui il curatore, autorizzato dal comitato dei creditori, dichiari di subentrarvi.

Rel. ill. riforma fall. 2007

(Relazione Illustrativa al decreto legislativo 12 Settembre 2007, n. 169)

4 L’articolo 4 del decreto legislativo, reca disposizioni correttive del Titolo II, Capo III della legge fallimentare.
Nell’articolo 72 al primo comma si è specificato che il contratto traslativo si considera ineseguito sino a quando non si è realizzato l’effetto reale. Su tale assunto, sono pacifiche da oltre ottanta anni dottrina e giurisprudenza.
Al quarto comma, è stato aggiunto che non è comunque dovuto al contraente in bonis il risarcimento del danno per l’intervenuto scioglimento del contratto. Si tratta di assunto egualmente pacifico nel diritto vivente, già contenuto nella originaria formulazione dell’art. 72, ma soppresso in sede di redazione del decreto legislativo n. 5 del 2006.
E’ stata aggiunta, infine, all’ottavo comma, la regola secondo cui le disposizioni dell’articolo 72 non si applicano al contratto preliminare immobiliare trascritto ai sensi dell’art. 2645 c.c. e che abbia ad oggetto una casa di abitazione. In tal modo, è stata accresciuta, ai sensi dell’art. 47 Cost., la tutela del promissario acquirente di immobile destinato a casa di abitazione.

Massime relative all'art. 72 Legge fallimentare

Cass. civ. n. 6653/2013

Il sopravvenuto fallimento del promissario acquirente, oltre ad escludere - stante l'indisponibilità dei beni acquisiti al fallimento ed a tutela dei principi che regolano la ripartizione dell'attivo - la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto ancorché con riguardo a pregresso inadempimento del compratore, neppure consente di configurare l'inadempimento del curatore, atteso che l'art. 72 legge fall. (nel testo, applicabile "ratione temporis", anteriore alla riforma di cui al d.l.vo 9 gennaio 2005, n.6) prevede la sospensione dell'esecuzione del contratto fino a quando quest'ultimo non dichiari di subentrare in luogo del fallito ovvero di sciogliersi dal contratto, alla controparte essendo attribuito unicamente il potere sollecitatorio di chiedere la fissazione di un termine per l'effettuazione di tale scelta; e, tale principio vale anche qualora il promittente venditore abbia già promosso, prima del fallimento, l'azione di risoluzione del preliminare di vendita.

Cass. civ. n. 787/2013

Posto che l'esercizio, da parte del curatore, della facoltà di scelta tra lo scioglimento od il subingresso nel contratto preliminare di vendita, ai sensi dell'art. 72 legge fall. (nel testo, vigente "ratione temporis", anteriore alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 5 del 2006), può anche essere tacito, ovvero espresso per fatti concludenti, non essendo necessario un negozio formale, né un atto di straordinaria amministrazione, trattandosi di una prerogativa discrezionale del medesimo curatore, la proposizione, ad opera di quest'ultimo, di un atto di appello avverso la pronuncia di primo grado che invece pronuncia il trasferimento coattivo ai sensi dell'art. 2932 cod. civ., poiché involge il conferimento di un mandato alle liti "ad hoc", costituisce idonea manifestazione, anche in assenza di una sua specifica sottoscrizione sull'atto con cui il gravame è concretamente formulato, della sua volontà di sciogliersi dal menzionato contratto.

Cass. civ. n. 3728/2011

In tema di preliminare di compravendita, comunicata dal promittente venditore la volontà di recedere dal contratto e di incamerare la ricevuta caparra confirmatoria, ai sensi dell'art. 1385, secondo comma, c.c., e promossa, prima del fallimento del promissario acquirente, domanda giudiziale diretta alla declaratoria della legittimità dell'avvenuto esercizio del mezzo di autotutela per reagire all'altrui inadempimento, imputabile e di non scarsa importanza, il sopravvenuto fallimento di quest'ultimo preclude al curatore di paralizzare, attraverso l'esercizio della facoltà di sciogliersi dal contratto ex art. 72, secondo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, l'emissione di una sentenza, opponibile alla massa dei creditori, che, accogliendo la domanda del promittente venditore, accerti, con effetto "ex tunc", l'intervenuta caducazione, già in via stragiudiziale, degli effetti negoziali.

Cass. civ. n. 24396/2010

Il contratto preliminare di vendita di cosa futura ha come contenuto la stipulazione di un successivo contratto definitivo e costituisce, pertanto, un contratto in formazione, produttivo dal momento in cui si perfeziona, di semplici effetti obbligatori preliminari, distinguendosi dal contratto di vendita di cosa futura che si perfeziona "ab initio" ed attribuisce lo "ius ad habendam rem" nel momento in cui la cosa venga ad esistenza; ne consegue che, accertata la sussistenza di un contratto preliminare di vendita di cosa futura, nel caso di fallimento del promittente venditore, anche quando il promissario acquirente abbia già proposto domanda giudiziale per l'adempimento in forma specifica ai sensi dell'art. 2932 c.c. ed abbia, inoltre, trascritto la domanda stessa, resta impregiudicata per il curatore - ai sensi dell'art. 72 legge fall. - la facoltà di dare esecuzione al contratto, oppure (come nel caso di specie) di chiederne lo scioglimento, con l'effetto, in tal caso, che la parte non inadempiente non può insinuare al passivo il credito risarcitorio costituito dal doppio della caparra confirmatoria versata, dal momento che la "res futura" non è ancora venuta ad esistenza e, conseguentemente, anteriormente all'apertura della procedura concorsuale, non era ancora sorto, in capo al promissario acquirente il diritto al recesso derivante dall'inadempimento dell'altro contraente.

Cass. civ. n. 19035/2010

L'esercizio da parte del curatore della facoltà di scelta tra lo scioglimento o il subingresso nel contratto preliminare di vendita pendente, ai sensi dell'art. 72 legge fall. (nel testo, vigente "ratione temporis", anteriore alle modifiche introdotte dal d.l.vo n. 5 del 2006), può anche essere tacito, ovvero espresso per fatti concludenti, non essendo necessario un negozio formale, né un atto di straordinaria amministrazione e dunque non ricorrendo la necessità dell'autorizzazione del giudice delegato, trattandosi di una prerogativa discrezionale del curatore. (Principio affermato dalla S.C. con riguardo alla scelta del curatore, di promuovere una causa di rilascio dell'immobile, detenuto dalla promissaria acquirente e non riconsegnato dopo il fallimento).

Cass. civ. n. 18622/2010

Il decreto con il quale il tribunale fallimentare ai sensi dell'art. 26 legge fall. respinge il reclamo avverso l'atto con cui il curatore ha esercitato, ai sensi dell'art. 72 legge fall., la facoltà di scioglimento dal contratto pendente (nella specie, vari preliminari di compravendita immobiliare) non ha natura decisoria, in quanto non risolve una controversia su diritti soggettivi, ma rientra tra i provvedimenti che attengono all'esercizio della funzione di controllo circa l'utilizzo, da parte del curatore, del potere di amministrazione del patrimonio del fallito. Ne consegue che detto provvedimento non è impugnabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., potendo invero i terzi interessati contestare nelle sedi ordinarie gli effetti che dall'attività così esercitata si pretendono far derivare.

Cass. civ. n. 17405/2009

In caso di fallimento della parte promittente alienante di un contratto preliminare di vendita, la scelta del curatore di sciogliersi dal predetto contratto, effettuata ex art. art. 72 della legge fall., non è assimilabile all'esercizio della facoltà di recesso e fa venire meno il vincolo contrattuale con effetto "ex tunc", nel senso che deve essere ripristinata la situazione anteriore alla stipula del preliminare, così che le restituzioni ed i rimborsi opereranno secondo la disciplina dettata dalle norme dell'indebito, in quanto l'efficacia retroattiva della scelta priva di titolo sin dall'origine le prestazioni eseguite. Il corrispondente credito per restituzioni e rimborsi, spettante al contraente "in bonis", subirà peraltro gli effetti della sentenza dichiarativa di fallimento, dovendo, quale debito concorsuale e non di massa, essere soddisfatto nel rispetto della "par condicio". (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato, sul punto, la sentenza impugnata, che aveva pronunciato invece condanna del fallimento alla restituzione della somma versata, quale acconto, dal promittente acquirente).

Cass. civ. n. 5438/2008

La chiusura del fallimento ed il conseguente ritorno in bonis dell'impresa già dichiarata fallita consentono a quest'ultima la prosecuzione delle sole azioni che potevano essere promosse e che siano state avviate prima dell'apertura del fallimento, restando improcedibili tutti i giudizi che presuppongono in atto la procedura, che esprimono posizioni di interesse riferibili alla massa dei creditori e non al soggetto fallito e che possono essere riassunti (ove siano stati dichiarati interrotti) da chi vi abbia interesse, solo ai fini dell'emanazione di una pronuncia circa la loro improcedibilità e, in ogni caso, per provvedere alle spese processuali; ne consegue la sopravvenuta inammissibilità, per difetto di interesse, del ricorso per cassazione già interposto dalla curatela avverso la sentenza d'appello (pronunciata, nella specie, in relazione a domanda di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto di vendita) con riguardo alla denunciata violazione della regola dello scioglimento del contratto ai sensi dell'art. 72 legge fall., trattandosi di norma eccezionale posta ad esclusiva tutela della massa dei creditori, terzi rispetto al contratto, e della realizzazione della par condicio creditorum.

Cass. civ. n. 10436/2005

Con riguardo al contratto preliminare di compravendita, in caso di fallimento del promittente venditore, la scelta del curatore tra l'esecuzione e lo scioglimento del contratto, contemplata dall'art. 72, quarto comma, legge fall. che è espressione di un potere discrezionale del curatore, per la tutela degli interessi della massa dei creditori è esercitabile in ogni sede in piena libertà di forme e senza limiti temporali. Ne consegue che, ove tale opzione sia formulata nel processo per paralizzare, nel giudizio di appello, la domanda proposta dal promissario acquirente ai sensi dell'art. 2932 c.c., essa non è assoggettata al regime proprio dei «nova » di cui al nuovo testo dell'art. 345 c.p.c., non potendo, avuto riguardo proprio alla sua descritta natura, essere assimilata ad una eccezione formulabile nella comparsa di risposta, o comunque sottoposta ai termini di cui all'art. 183, ultimo comma, c.p.c. per la precisazione o modificazione delle difese.

Cass. civ. n. 12505/2004

Con riferimento alla norma dell'art. 72 della legge fallimentare, in fattispecie di preliminare di permuta di area edificabile con fabbricato da realizzare sull'area medesima, il trasferimento della proprietà del bene, con la relativa consegna, effettuato dal promittente la permuta nei confronti dell'altro contraente prima della stipula del contratto definitivo di permuta, determinando l'insorgere, ex uno latere degli effetti finali della operazione economica programmata con il preliminare, realizza, sia pure rispetto ad uno soltanto dei contraenti, lo stesso risultato giuridico ricollegato, nella previsione delle parti, alla stipulazione del contratto definitivo, e quindi comporta, per la parte che lo effettua, l'integrale esecuzione della prestazione dovuta, come tale preclusiva, una volta sopravvenuto il fallimento del costruttore, della facoltà di scioglimento unilaterale del contratto conferita al curatore, essendo tale facoltà esercitabile solo se il preliminare di permuta è ancora ineseguito, o non compiutamente eseguito, da entrambe le parti.

In tema di effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, diversamente da quanto avviene nella vendita, in caso di permuta — dove il reciproco trasferimento delle cose (o dei diritti) oggetto del contratto comporta che ciascuno dei contraenti assuma, al tempo stesso, la posizione di alienante e di acquirente — l'incidenza del fallimento non è suscettibile di una disciplina differenziata a seconda che a fallire sia l'una o l'altra parte, e gli effetti della dichiarazione di fallimento sono regolati in modo uniforme secondo il criterio delineato nei primi tre commi dell'art. 72 della legge fallimentare, che assume, rispetto all'altro previsto dal quarto comma della stessa disposizione, carattere di minore specificità. Pertanto, ai contratti di permuta stipulati prima della dichiarazione di fallimento è inapplicabile il principio posto dall'art. 72, quarto comma, L. fall.; e, quale che sia il contraente fallito, il curatore può sciogliersi dal contratto solo se quest'ultimo è ancora ineseguito, o non compiutamente eseguito, da entrambe le parti. (Principio espresso in fattispecie di contratto preliminare di permuta tra area edificabile e immobile da costruire, nella quale il fallimento del costruttore era intervenuto successivamente all'avvenuto trasferimento della proprietà dell'area e dopo che la costruzione era stata eretta).

Cass. civ. n. 16505/2003

L'art. 72 1. fall., che disciplina gli effetti del sopravvenuto fallimento sul contratto di vendita non ancora eseguito dai contraenti, è applicabile anche al caso del contratto preliminare di vendita di immobile e del fallimento del promissario compratore, e, quindi, anche in detta fattispecie, nel caso in cui sia in corso il giudizio diretto ad ottenere l'esecuzione in forma specifica del contratto preliminare, spetta al curatore del fallimento la facoltà di subentrare nel contratto o di sciogliersi da esso, salvo che il venditore esegua la sua prestazione e faccia valere nel passivo del fallimento il suo credito per il prezzo, prevalendo in questa ipotesi l'intento del venditore rispetto a quello, eventuale, del curatore fallimentare, di sciogliersi dal contratto; in contrario, non rileva l'eventuale previsione del pagamento del prezzo mediante accollo del mutuo bancario gravante sull'immobile, sia in quanto la banca conserva il diritto di ottenere l'adempimento nei confronti del promittente venditore, salvo che lo abbia liberato dalla prestazione ex art. 1273, c.c., sia in quanto l'esecuzione della prestazione consistente nell'accollo del mutuo può essere imposta nella sentenza ex art. 2932, c.c., come condizione dell'effetto traslativo.

Cass. civ. n. 6018/2003

La domanda risarcitoria per ritardata restituzione di un immobile, proposta dalla curatela fallimentare che, nell'esercizio della facoltà riconosciuta dall'art. 72 L. fall., abbia optato per lo scioglimento di un contratto preliminare di compravendita per effetto del quale il fallito, promittente venditore, abbia già trasferito il possesso del bene al promissario acquirente, si fonda sul regime normativo segnato dagli artt. 2033, 2040 c.c., in forza dei quali l'obbligo di riconsegna di un bene è adempiuto compiutamente se risulti contestualmente soddisfatto anche il diritto al risarcimento del danno maturato per l'eventuale, ingiustificato ritardo. Pertanto, dovendosi far risalire alla determinazione del curatore (e non alla sentenza che lo pronunci) gli effetti dello scioglimento del vincolo contrattuale, l'obbligo restitutorio non può che coincidere, quoad tempus con quella, nessuna incidenza avendo, al riguardo, la pronuncia del giudice (della quale va, pertanto, esclusa la natura costitutiva), non essendo in alcun modo assimilabile la facoltà di scioglimento ex art. 72 cit. agli istituti della risoluzione e del recesso contrattuale.

Cass. civ. n. 2754/2002

Dalla disposizione dell'art. 72 L. fall. (che, benché dettata in relazione al contratto di compravendita, costituisce espressione di una regola generale) che desume il principio secondo cui lo scioglimento del rapporto contrattuale, determinato dalla dichiarazione di fallimento, non giustifica l'insorgere, in favore del contraente in bonis, del diritto al risarcimento dei danni subiti a causa dell'anticipata interruzione del rapporto, salvo che il danno non sia riconducibile ad inadempimenti varificatisi prima della sentenza dichiarativa del fallimento. A tale principio si ricollega l'art. 55 L. fall. (esplicitamente richiamato dall'art. 169 L. fall. in tema di concordato preventivo), il quale, disponendo che i crediti sono conteggiati, agli effetti del concorso, per l'importo esistente alla data di apertura della procedura, esclude la possibilità di riconoscere, agli stessi fini, in favore dei singoli creditori, malgrado ogni intesa contraria, pretese risarcitorie o indennitarie non riconducibili a situazioni determinatesi prima di tale momento (la Suprema Corte ha così confermato la sentenza che aveva respinto le pretese di una Banca ad essere indennizzata per l'anticipata restituzione delle somme concesse in mutuo al soggetto poi fallito, argomentando che le «commissioni» contrattualmente previste per l'anticipata risoluzione dei rapporti di finanziamento erano state previste in ipotesi di volontario scioglimento del rapporto stesso ma non potevano essere pretese allorquando lo scioglimento anticipato era stato determinato dal fallimento del debitore).

Cass. civ. n. 5724/2001

Al credito vantato dalla società di factoring a titolo di rimborso dei corrispettivi versati alla società (poi fallita) a seguito di cessione dei crediti per canoni scaduti di sublocazione non va applicato il disposto dell'art. 7 della legge n. 52 del 1991, che riconosce il carattere di massa al debito di restituzione al cessionario del corrispettivo pagato, se il curatore si sia avvalso della facoltà di recesso dal contratto di factoring. (Nella specie, la società, poi fallita, era conduttrice di un intero complesso immobiliare ed aveva sublocato le singole porzioni del complesso stesso, cedendo ad una società di factoring i crediti costituiti dai canoni di sublocazione che sarebbero maturati nel futuro del rapporto. Dichiarato il fallimento della conduttrice, il curatore era receduto dal contratto di locazione con il proprietario del complesso immobiliare. La S.C., enunciando il massimato principio, ha cassato la sentenza che aveva ammesso al passivo la cessionaria in via di prededuzione).

Cass. civ. n. 5494/2001

Avuto riguardo al contratto atipico improntato alla specie do ut facias (cessione di terreno in cambio della costruzione di un edificio con coevo affidamento all'altro contraente dell'appalto per la costruzione delle unità abitative) qualora, dichiarato il fallimento, di tale ultima parte il curatore fallimentare opti, ex art. 72 comma quarto L. fall., a favore dello scioglimento del contratto si deve reputare che la relativa dichiarazione abbia effetti più ampi di quelli scaturiti nel suddetto senso dalla dichiarazione di fallimento ed esplichi un'efficacia di caducazione della promessa di vendita fin dall'origine, facendola venire meno con effetti retroattivi e definitivi, equiparabili alle ipotesi di nullità o di risoluzione del suddetto contratto preliminare in cui si verifica il venir meno dell'originario titolo negoziale con effetto ex tunc.

Cass. civ. n. 15551/2000

Nell'ipotesi di controversia instaurata dal promissario acquirente per l'adempimento in forma specifica di un contratto preliminare di compravendita, la scelta del curatore del sopravvenuto fallimento del promittente venditore di sciogliersi dal contratto, ai sensi dell'art. 72, comma quarto, L. fall. — scelta per la quale non sono richiesti atti formali o manifestazioni esplicite di volontà — può essere validamente espressa nella comparsa di risposta, pur se non sottoscritta dalla parte, integrando tale opzione, sul piano processuale, gli estremi dell'eccezione in senso proprio, e traducendosi nell'esercizio di un potere dispositivo della parte non riconducibile all'esclusiva iniziativa del difensore in contrasto con la volontà del proprio rappresentato.

Cass. civ. n. 11627/2000

In tema di effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, l'applicazione del secondo comma dell'art. 72 della legge fall. presuppone che il contratto di vendita non sia stato ancora eseguito o compiutamente eseguito da entrambe le parti. Quando, invece, il venditore ha trasferito la proprietà ed ha perciò già adempiuto la propria prestazione, manca la stessa possibilità d'ipotizzare un subentro del curatore del contratto per conseguire una prestazione che è stata già conseguita dal fallito e manca anche la possibilità d'ipotizzare un debito di massa correlato al subentro del curatore del contratto. Se, pertanto, il contratto di vendita è stato interamente eseguito dal venditore nelle sue prestazioni fondamentali, dal contratto residua soltanto un debito che, in caso di fallimento del compratore, il contraente non fallito deve far valere insinuandosi al passivo fallimentare e soggiacendo alla relativa eventuale falcidie.

Cass. civ. n. 755/1999

Nel caso di fallimento del promissario compratore, la dichiarazione del curatore - ai sensi del secondo comma dell'art. 72 della legge fallimentare - di scioglimento dal vincolo contrattuale agisce su di esso caducandolo fin dall'origine, con la conseguenza che il credito restitutorio per le attribuzioni patrimoniali, eventualmente effettuate dal promissario compratore fallito, in forza di quel contratto, non può reputarsi inerente ad un'obbligazione nascente dalla stessa dichiarazione del curatore e nemmeno dalla dichiarazione di fallimento, ma è relativo ad un'obbligazione che trova il suo fatto genetico nel venir meno della giustificazione contrattuale dell'attribuzione patrimoniale fin dal momento della sua esecuzione. Ne consegue che, collocandosi tale momento anteriormente alla dichiarazione di fallimento, il suddetto credito, in quanto deve considerarsi sorto prima del fallimento stesso, va ritenuto compensabile con il controcredito del promissario venditore sorto anch'esso anteriormente a detta dichiarazione. (Nella specie, le Sezioni Unite, enunciando tale principio, hanno corretto - ai sensi dell'art. 384 secondo comma c.p.c. - la motivazione dell'impugnata sentenza, con cui il giudice d'appello, aveva, invece, affermato quella compensabilità, pur nel presupposto che il credito restitutorio - concernente somme versate a titolo di acconto sul prezzo della vendita definitiva - non potesse considerarsi sorto prima del fallimento).

Cass. civ. n. 239/1999

Con riguardo al contratto preliminare di compravendita, in caso di fallimento del promittente-venditore, la scelta del curatore tra l'esecuzione e lo scioglimento del contratto è espressione di un potere discrezionale del curatore ed avviene attraverso un atto che non è di straordinaria amministrazione e come tale può essere compiuto senza alcuna specifica autorizzazione del giudice delegato. In particolare, detta scelta, nell'ipotesi in cui si indirizzi per lo scioglimento del contratto, è finalizzata alla conservazione del bene oggetto del contratto all'attivo fallimentare (conseguendone l'insinuazione al passivo dell'eventuale credito del compratore che abbia anticipato la sua prestazione).

Cass. civ. n. 1601/1999

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 72 della L. fall. per contrasto con l'art. 3 Cost., nella parte in cui attribuisce al solo curatore la facoltà di scegliere tra l'esecuzione e lo scioglimento del contratto, in quanto non possono essere collocate sullo stesso piano le posizioni del singolo contraente e quelle dell'ufficio fallimentare, il quale mira a conservare, nell'interesse della massa dei creditori, la garanzia costituita dal patrimonio del debitore fallito ed a realizzare la par condicio, che potrebbe essere alterata qualora il fallimento fosse costretto a subire un'azione esecutiva individuale qual è quella disciplinata dall'art. 2932 c.c.

Cass. civ. n. 4715/1996

La disciplina del comma 2 dell'art. 72 L. fall. (a norma del quale il curatore subentrante nel contratto di somministrazione deve pagare integralmente il prezzo anche delle consegne già avvenute), non essendo attuazione concreta di un principio generale attinente alla natura del contratto, non può avere generale applicazione a tutti i casi di continuazione del rapporto nel corso di procedure concorsuali cui detta disciplina specifica non sia normativamente estesa; né il carattere eccezionale della disciplina stessa, tipicamente connessa ad una procedura concorsuale e liquidatoria con carattere satisfattivo, può comportare l'applicazione analogica ad altre procedure, come l'amministrazione controllata, in cui la concorsualità assume connotazioni particolari, con finalità essenzialmente conservative delle condizioni originarie del concorso, in relazione alla temporaneità dell'esperimento della singola procedura. Ne consegue che il credito da somministrazione maturato da un soggetto agente in situazione di monopolio, ex art. 2597 c.c., per erogazioni di energia elettrica eseguite in favore di una impresa in periodo anteriore all'ammissione della stessa alla procedura di amministrazione controllata, non ha il carattere della prededucibilità nella consecutiva procedura di amministrazione straordinaria, cui la somministrata sia stata successivamente ammessa.

Cass. civ. n. 10101/1995

Al curatore fallimentare è consentito esercitare la facoltà di sciogliersi dal contratto, a norma dell'art. 72, seconda comma, legge fall., anche quando, dichiarato il fallimento del promissario acquirente, sia ancora pendente il giudizio di risoluzione del contratto preliminare di vendita, promosso dall'altro contraente prima dell'apertura della procedura concorsuale.

Cass. civ. n. 9758/1993

L'apertura del concordato preventivo a carico dell'assicurato non determina lo scioglimento del contratto di assicurazione contro i danni, al pari degli altri rapporti contrattuali in vigore alla relativa data, dato che le disposizioni degli artt. 72 e seguenti del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, in tema di effetti su detti rapporti della dichiarazione di fallimento, non sono richiamate per il concordato dal successivo art. 169. L'instaurazione di tale procedura, peraltro, comporta che i premi inerenti a periodi assicurativi esauritisi prima dell'indicata data restano soggetti al pagamento nella percentuale prevista dal concordato, rientrando nell'ambito di applicazione dell'art. 184 del citato regio decreto, mentre i premi attinenti a periodi assicurativi in corso, ancorché dovuti anticipatamente, devono essere integralmente soddisfatti, sottraendosi agli effetti vincolanti di cui al suddetto art. 184.

Cass. civ. n. 2274/1990

Con riguardo ad un contratto preliminare di compravendita immobiliare, qualora prima della sua esecuzione intervenga il fallimento del promittente-venditore, il curatore del fallimento oltre alla scelta fra l'esecuzione e lo scioglimento del contratto (art. 72, quarto comma, L. fall.) può legittimamente astenersi dall'effettuare una scelta, sia momentaneamente sia definitivamente, ove protragga la posizione di disinteresse fino alla chiusura della procedura concorsuale e la chiusura stessa non richieda la liquidazione del bene oggetto del contratto preliminare (nella specie, il fallimento era stato chiuso con un concordato). In tale ultima ipotesi, il rapporto contrattuale, dopo la chiusura della procedura concorsuale, riprende la sua normale efficacia tra le parti originarie, od i loro eventuali successori, salvo il verificarsi di prescrizioni.

Cass. civ. n. 2385/1988

Con riguardo al contratto di agenzia, nel caso di fallimento del preponente ove il curatore a norma del quarto comma dell'art. 72 legge fallimentare si sia avvalso della facoltà di risolvere gli affari promossi dall'agente ma non ancora eseguiti, la loro mancata esecuzione non ha luogo per una causa imputabile al preponente — ai sensi dell'art. 1749 c.c. — essendo i relativi obblighi soggetti ai rigorosi limiti degli artt. 42 e 72 legge fallimentare in funzione degli interessi del fallimento, e non fa sorgere, pertanto, il diritto dell'agente alla provvigione.

Cass. civ. n. 6549/1986

La facoltà del curatore del fallimento di scegliere fra lo scioglimento o l'esecuzione del contratto di vendita non ancora eseguito, ai sensi e nei casi di cui all'art. 72 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, non trova ostacolo nella circostanza che il curatore medesimo abbia infruttuosamente esercitato il recesso contemplato dall'art. 1385 c.c. (per il caso di pattuizione di caparra confirmatoria), sentendosi disconoscere in giudizio i relativi requisiti, atteso che tale ultimo recesso, fondato sull'inadempimento colposo dell'altro contraente (da valutarsi in base al parametro fissato dall'art. 1455 c.c.), non può implicare di per sé la volontà di avvalersi del diverso recesso che la norma fallimentare accorda indipendentemente dalla colpa.

La proposizione, da parte del curatore del fallimento, dell'azione di risoluzione del contratto di vendita stipulato dal fallito, per inadempimento della controparte, non implica il subingresso del curatore nel contratto stesso per eseguirlo (ai sensi e nei casi contemplati dall'art. 72 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267) e non osta pertanto, ove detta domanda di risoluzione venga respinta, a che il curatore medesimo mantenga integra la facoltà di optare fra le due alternative accordate da tale norma.

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Consulenze legali
relative all'articolo 72 Legge fallimentare

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

ANTONIO O. chiede
venerdì 07/05/2021 - Sardegna
“Una signora anziana, vedova dal 2015 e senza figli, che vive sola nell’abitazione acquistata col marito nel luglio 1989 col solo Preliminare notarile, registrato ma non trascritto, nel quale era stabilito che l’atto di vendita doveva essere stipulato entro il 1990, che il costruttore-venditore, nonostante numerosi solleciti, denunce penali per usura, intervento di avvocati e notai, si è sempre rifiutato di fare, ha firmato la seguente dichiarazione:
“Io sottoscritta _________ __________ mi impegno a pagare le ultime due rate e l’IVA sull’importo complessivo delle fatture di casa.

Luogo ________, data _________

In fede (firma autografa della signora)”

Cosa succede se la signora non paga? Può essere obbligata a farlo? Questo foglio di carta costituisce titolo di credito per chi l’ha richiesta e ne è in possesso?

La dichiarazione è stata scritta a mano su un foglio di carta comune dalla figlia del PROMITTENTE VENDITORE, che l’ha fatta firmare all’anziana, la quale si era recata disperata a casa sua per chiedere aiuto, avendo scoperto, suo malgrado, che l’appartamento era stato nel frattempo pignorato e che stavano per mandarla via di casa e metterle i mobili in strada.
L’alloggio acquistato (seppure col solo preliminare) è stato pagato profumatamente e completamente fin dal 2005, in anticipo secondo i tempi stabiliti nel preliminare. A fronte del prezzo di £ 90.000.000 (lire novantamilioni), già a marzo 1990 i promittenti acquirenti avevano corrisposto £ 68.000.000 (lire sessantottomilioni), di cui £ 30.000.000 (lire trentamilioni) pagati prima del preliminare, che ne da atto e ne rilascia quietanza; oltre ad altre £ 1.000.000 (unmilione) di cui non si parla nel preliminare, ma che risulta da una ricevuta separata firmata dal promittente venditore. Per la residua somma di £ 22.000.000 (lire ventiduemilioni) sono stati pagati la bellezza di £ 132.000.00 (lire centotrentaduemilioni) fino al gennaio 2005, esattamente 6 (sei) volte il debito residuo. Tuttavia, nonostante le ricevute di pagamento e l’impegno assunto col preliminare, il costruttore non ha mai voluto stipulare l’atto, asserendo che non era stato pagato l’intero prezzo pattuito. Nel frattempo, però, costui è fallito e gli sono stati pignorati i beni ancora intestati, tra cui l’alloggio della povera vedova, la quale ormai ha perso la casa (tra 2 settimane dovrebbero arrivare gli incaricati dal Tribunale a mandarla via).
Le è stato detto da un avvocato che se dovesse esistere qualche vecchia scrittura da cui rilevare che l’alloggio le era stato effettivamente venduto, seppure privatamente, c’era qualche residua speranza di opporsi al pignoramento.
Ecco perché l’anziana si è recata dal suo dante causa per chiedergli se fosse in possesso di qualche documento o qualsiasi altra cosa di scritto da cui risultasse che l’alloggio era ormai diventato suo da tanti anni. Fu rinvenuta una fotocopia del preliminare di trent’anni fa, dove il venditore aveva scritto di suo pugno che si impegnava a stipulare l’atto entro il 1991, visto che non era stato possibile farlo nel 1990 e nel frattempo gli vendeva l’alloggio a tutti gli effetti, trasferendole proprietà e possesso dell’immobile. In cambio di questo documento, che la signora vide come l’ultima e unica possibilità percorribile per evitare l’irreparabile, il mancato venditore pretese la firma della signora sulla dichiarazione in oggetto.
Gli avvocati interpellati, però, hanno detto che non c’è più niente da fare, perché è tutto prescritto fin dal 2001

In conclusione: la signora, oltre a perdere la casa, rischia di dover pagare ciò che è riportato nella dichiarazione anzidetta?
Vi ringrazio tantissimo per il parere che vorrete cortesemente fornirmi.”
Consulenza legale i 14/05/2021
L’inconveniente più grave della situazione descritta è che la promittente acquirente può ormai rassegnarsi non soltanto a perdere l’immobile in cui finora ha vissuto, ma anche tutte le somme che nel corso di questi lunghi anni è stata costretta a versare nella vana speranza di acquisirne la proprietà definitiva.
Infatti, stando a quanto viene detto nel quesito, sembra potersi intuire che non soltanto il preliminare di vendita non è stato mai trascritto (ciò che lo rende inopponibile ad eventuali procedure esecutive e/ fallimentari, come accaduto proprio nel caso di specie), ma neppure sembra che la promissaria acquirente, successivamente alla dichiarazione di fallimento, abbia mai presentato domanda di ammissione al passivo, quantomeno relativamente alle somme versate in acconto e di cui conservi le relative quietanze di pagamento.

Sarebbe stato opportuno che qualcuno le avesse consigliato, una volta accertata la situazione di inadempienza del promittente venditore, di agire in giudizio al fine di chiedere l’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 del c.c. del contratto preliminare, provvedendo a trascrivere la relativa domanda giudiziale presso la competente Conservatoria dei Registri immobiliari.

Sembra, dunque, evidente che, in assenza di alcuna iniziativa della parte interessata, non sarà più possibile recuperare l’immobile e tutte le somme corrisposte per il suo acquisto, anche in considerazione di ciò che le è stato riferito dai legali interpellati, ossia che risultano abbondantemente decorsi i termini di prescrizione.

Nessun timore, invece, si ritiene possa nutrirsi per l’ultimo degli “abusi” subiti, ossia “l’estorsione” di quella dichiarazione con la quale la promittente compratrice si riconosce debitrice delle ultime due rate oltre IVA “sull’importo complessivo delle fatture di casa”, e ciò per le seguenti ragioni:
  1. ex art. 44 della l. fall., sono inefficaci tutti gli atti compiuti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento, così come gli eventuali pagamenti dallo stesso ricevuti;
  2. eventuali utilità acquisite per effetto dei suddetti pagamenti verrebbero in ogni caso acquisite alla procedura fallimentare.

Già da questa norma, dunque, se ne deduce che la dichiarazione ricevuta dal fallito è priva di effetti rispetto ad eventuali suoi creditori e che lo stesso non può pretendere il pagamento di alcunchè.
Tale norma, a sua volta, deve essere letta in combinato disposto con il successivo art. 72 della medesima Legge fallimentare, relativo ai rapporti pendenti.
In forza di quanto disposto da tale norma, infatti, qualora vi sia un contratto ancora ineseguito e nei confronti di una delle parti venga dichiarato il fallimento, l’esecuzione di quel contratto rimane sospesa, almeno fin quando il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, non dichiari di volervi subentrare in luogo del fallito, assumendone i relativi obblighi.

Nel caso di specie ciò non è accaduto, potendosi al contrario desumere la volontà implicita del curatore di volersi sciogliere da quel contratto dal fatto che l’immobile che ne costituiva l’oggetto è stato messo all’asta e venduto nell’ambito della procedura fallimentare.
Di tale contratto, adesso, residua, come prima si è detto, soltanto il credito della promittente acquirente conseguente al suo mancato adempimento e relativo alle somme di denaro corrisposte in acconto per il trasferimento definitivo dell’immobile, credito che la medesima avrebbe dovuto far valere mediante richiesta di ammissione al passivo ex art. 72 comma 4 Legge fallimentare.

Le ragioni sopra esposte, pertanto, si ritiene siano più che sufficienti per opporsi ad ogni scellerata richiesta di pagamento.
Nella malaugurata ipotesi, tuttavia, che la promittente compratrice dovesse essere egualmente evocata in giudizio per il pagamento della somma risultante da quella dichiarazione resa, potrà a pieno titolo far valere l’eccezione “inadimplenti non est adimplendum”, in conseguenza della quale il giudice sarà chiamato a procedere ad una valutazione comparativa del comportamento di ambo le parti per stabilire quale di esse, con riferimento ai rispettivi interessi ed alla oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle trasgressioni maggiormente rilevanti ed abbia causato il comportamento della controparte, nonché della conseguente alterazione del sinallagma (con un esito che si ritiene non possa che essere favorevole a chi ha sollevato l’eccezione. In tal senso si veda Cass. Sez. prima civile, sentenza n. 21391 del 13.08.2019).


Carmine V. chiede
domenica 10/05/2020 - Campania
“Carmine V. chiede
domenica 08/03/2020 - Campania
“Lo scrivente stipula il 22.06.2012 preliminare di vendita di un immobile con scrittura privata per l'acquisto di un immobile uso commerciale in corso di costruzione, versando una cifra in assegni bancari pari al 76% del costo dell'immobile concordato. Successivamente nel 2017 versava ancora un ulteriore 17% del prezzo arrivando a pagare il 93%. Al 2018 viene consegnato l'immobile con relativo verbale, con scrittura privata ancora da finire e si concordava che i lavori di completamento eseguiti dallo scrivente per un prezzo del 4% sarebbero stati detratti in sede di rogito notarile. Successivamente 09/2018 si stipulava contratto di comodato gratuito registrato in attesa di rogito. Poiché la società si sentiva in odore di fallimento in data 11/2019 si citava in giudizio la società immobiliare per adempiere il preliminare presso il tribunale con udienza 03/2020. Successivamente su suggerimento si concordava di stipulare nuovo preliminare stavolta davanti ad un notaio in data 19.12.2019 e registrato e trascritto il 20.12.2019. Con enorme sorpresa ad inizio gennaio 2020 veniamo a conoscenza che la società immobiliare era fallita con atto di sentenza emesso il 19.12.2020 e registrato nel registro delle imprese con data iscrizione il 20.12.2019.


Sulla bare di quanto già esposto e per la quale voi mi avete risposto ed in considerazione che il preliminare stilato nel 2012 per un evento ineccepibile si può dimostrare che è stato stilato il quella circostanza difatti il costruttore fu da me denunziato nel 2016 per minaccia presso i Carabinieri poiché lo stesso minacciava con attegiamento mafioso il sottoscritto di tenersi i soldi e di non darmi l'immobile denunzia all'attenzione dell'A.G., ed in considerazione del fatto che l'immobile è stato da me acquistato per svolgerà la mia esclusiva attività di artigiano posso vantare qualche diritto in riferimento all'art.72 L.F. privilegio per abitazione principale ed attività principale?
Prego suggerirmi il da farsi.”
Consulenza legale i 27/05/2020
Come esposto nella precedente risposta al quesito proposto sul tema della sorte del preliminare in caso di fallimento del promissario venditore, la circostanza fondamentale, nel caso di specie, è l'avvenuta trascrizione del preliminare in data posteriore rispetto alla dichiarazione di fallimento della società.

Tale fatto comporta l'impossibilità di applicare, anche laddove l'immobile oggetto del preliminare fosse stato adibito a sede dell'attività principale del promissario acquirente, l'art. 72, comma 8, L.F., alla cui lettura si rimanda.

Pertanto, valgono le medesime considerazioni espresse nella risposta al precedente quesito, ovvero, laddove il curatore decidesse di sciogliersi dal preliminare, la necessità di insinuarsi al passivo del fallimento da parte del promissario acquirente, senza, tuttavia, che possa essere riconosciuto alcun privilegio ex art. 2775 bis - del c.c. così come non potrà essere richiesto alcun risarcimento del danno.


Carmine V. chiede
domenica 08/03/2020 - Campania
“Lo scrivente stipula il 22.06.2012 preliminare di vendita di un immobile con scrittura privata per l'acquisto di un immobile uso commerciale in corso di costruzione, versando una cifra pari al 76% del costo dell'immobile concordato. Successivamente nel 2017 versava ancora un ulteriore 17% del prezzo arrivando a pagare il 93%. Al 2018 viene consegnato l'immobile con relativo verbale, con scrittura privata ancora da finire e si concordava che i lavori di completamento eseguiti dallo scrivente per un prezzo del 4% sarebbero stati detratti in sede di rogito notarile. Successivamente 09/2018 si stipulava contratto di comodato gratuito registrato in attesa di rogito. Poiché la società si sentiva in odore di fallimento in data 11/2019 si citava in giudizio la società immobiliare per adempiere il preliminare presso il tribunale con udienza 03/2020. Successivamente su suggerimento si concordava di stipulare nuovo preliminare stavolta davanti ad un notaio in data 19.12.2019 e registrato e trascritto il 20.20.2019. Con enorme sorpresa ad inizio gennaio 2020 veniamo a conoscenza che la società immobiliare era fallita con atto di sentenza emesso il 19.12.2020 e registrato nel registro delle imprese con data iscrizione il 20.20.2019.
Quesiti: Il preliminare registrato e valido? Che tipo di creditore sono? cosa mi suggerite?”
Consulenza legale i 12/03/2020
Dalla ricostruzione dei fatti emerge che il preliminare di vendita è stato trascritto il 20.12.2019 (si intende il “20.20.2019” come 20.12.2019), ovvero dopo la dichiarazione di fallimento avvenuta in data 19 dicembre 2019 (anche qui si intende "19.12.2020" come 19.12.2019).

Tale circostanza rende applicabile il primo comma dell’art. 72 alla lettura del quale si rimanda.

In forza di detta disposizione, nel caso di specie, gli effetti del preliminare sono sospesi e il curatore può decidere
i) se subentrare nel contratto, e dunque concludere il definitivo, ovvero
ii) sciogliere il vincolo contrattuale, con il conseguente venir meno di tutti gli effetti contrattuali del preliminare sino al momento della sua sottoscrizione, come se si fosse in presenza di un caso di nullità o risoluzione contrattuale (cfr. Cass. Civ. sentenza n. 5494 del 12 aprile 2001).

Se il curatore decidesse di sciogliersi dal contratto, il credito relativo a quanto corrisposto in forza del preliminare al venditore fallito non godrebbe di alcun privilegio, in quanto il preliminare non è stato trascritto prima della dichiarazione di fallimento; diversamente avrebbe potuto godere del privilegio riconosciuto dall’art. 2775 bis del c.c.

Allo stato, le opzioni per il promissario acquirente si riducono a sollecitare il curatore circa le sue intenzioni di voler subentrare o sciogliersi dal contratto preliminare; in caso di mancato riscontro, mettere in mora il curatore e chiedere al giudice delegato di assegnare al curatore un termine non superiore a 60 giorni per decidere in merito al subentro o scioglimento: la mancata risposta entro detto termine comporta lo scioglimento automatico dal preliminare. In caso di scioglimento dal contratto preliminare, non resta a detto promissario che insinuarsi al passivo del fallimento.

P. C. chiede
lunedì 04/12/2017 - Emilia-Romagna
“Buongiorno,
E' mio interesse sapere come debba comportarsi il curatore fallimentare una volta che decida ex art 72 di sciogliersi, dopo l'autorizzazione del comitato dei creditori, dai contratti di lavoro subordinato ancora pendenti e quale sia attualmente la disciplina applicabile.
In altre parole necessito di sapere quale tipo di licenziamenti, ad oggi, devono essere posti in essere dal curatore, in che modo ed in quali termini, anche in relazione alla dimensione dell'azienda.
Grazie.”
Consulenza legale i 12/12/2017
L’art. 72 della Legge Fallimentare (R.D. n. 276/1942) citato nel quesito recita: “Se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti quando, nei confronti di una di esse, è dichiarato il fallimento, l'esecuzione del contratto, (…) rimane sospesa fino a quando il Curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo (…)”.

Ciò, ormai pacificamente, anche quando il contratto – come nel caso di specie - sia un contratto di lavoro: “Qualora, nel corso di un rapporto di lavoro, intervenga una sentenza dichiarativa di fallimento dell’imprenditore-datore di lavoro, trova applicazione la norma generale della sospensione del contratto bilaterale, prevista dall'art. 72 L. Fall., con facoltà del Curatore di scegliere tra subentro e scioglimento. Tale disposizione si fonda sull'assoggettamento a regolazione concorsuale del diritto del contraente in bonis e si applica a tutti i contratti bilaterali, ad eccezione di quei rapporti contrattuali che sono espressamente regolati da diverse disposizioni di legge” (App. Napoli Sez. I, 03/12/2007).

In alternativa al subentro nei rapporti di lavoro ed al licenziamento, ricorrendo i presupposti di cui all’art. 3 della legge n. 223/1991 e del D.M. attuativo 4 dicembre 2012, il Curatore dovrà/potrà ricorrere alla Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria concorsuale (CIGSC) allorquando “sussistano prospettive di continuazione o di ripresa dell'attività e di salvaguardia, anche parziale, dei livelli di occupazione, da valutare in base a parametri oggettivi definiti con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali” (art. 3 L. 223/1991).
Solo in alternativa, quindi, al subentro nel rapporto lavorativo od al ricorso all'Integrazione Salariale e comunque al termine di questi, il Curatore dovrà e potrà dovrà procedere allo scioglimento del rapporto di lavoro.

L’art. 72 l. f. attribuisce, infatti, solo la facoltà di sciogliere il rapporto, ma non ne indica il modo, che sarà quello proprio dell’ordinamento lavoristico, e quindi o - ricorrendone i presupposti - della legge n. 223/1991 (artt. 4 o 24) oppure della legge n. 604/1966.
Sostiene in merito la giurisprudenza: “La disciplina prevista dagli artt. 3, 4, 5 e 24, legge n. 223/1991 ha portata assolutamente generale e la sua applicazione non trova limite nell'ipotesi di cessazione dell'attività aziendale ed è obbligatoria anche nell'ipotesi di fallimento ed, altresì, allorquando nell'ambito del fallimento, l'impresa intenda cessare l'attività. Il dovere del Curatore di tutelare gli interessi del fallimento, infatti, non esclude il suo obbligo di osservare le procedure previste dalla legge, tra cui quella sulla mobilità (…)” (Cass. civ. Sez. Lavoro, 02/03/2009, n. 5032).

L’art. 3 della Legge 223/1991 precisa che il trattamento di straordinario di integrazione salariale viene concesso, su domanda del Curatore, per un periodo non superiore a dodici mesi. Quando invece non sia possibile la continuazione dell'attività, anche tramite cessione dell'azienda o di sue parti, o quando i livelli occupazionali possano essere salvaguardati solo parzialmente, il Curatore ha facoltà di collocare in mobilità, ai sensi dell'art. 4 ovvero dell'art. 24, i lavoratori eccedenti.
La CIGSC è quindi obbligatoria per il Curatore in presenza dei requisiti oggettivi e soggettivi, altrimenti egli sarà tenuto al risarcimento del danno ai lavoratori per mancata fruizione del beneficio.
La richiesta andrà fatta previo esame congiunto con le organizzazioni sindacali per discutere, tra le varie questioni, anche il numero dei lavoratori da sospendere e l’eventuale modalità di rotazione dei lavoratori occupati.
Tra i requisiti richiesti per il trattamento CIGS (art. 24 della citata legge) c’è anche quello dimensionale: “1. Le disposizioni di cui all'art. 4, commi da 2 a 12 e 15-bis, e all'art. 5, commi da 1 a 5, si applicano alle imprese che occupino più di quindici dipendenti, compresi i dirigenti, e che, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, intendano effettuare almeno cinque licenziamenti, nell'arco di centoventi giorni, in ciascuna unità produttiva, o in più unità produttive nell'ambito del territorio di una stessa provincia”.

Se non sussistono invece i presupposti per il trattamento di CIGSC il Curatore, si diceva, dovrà procedere con i licenziamenti.

Va preliminarmente osservato e precisato che il fallimento non costituisce giusta causa di risoluzione del rapporto di lavoro ex art. 2119 c.c.: vale a dire che il Curatore non potrà addurre quale motivazione per la comminazione del licenziamento semplicemente l’intervenuto fallimento.

Ciò detto, se si tratta di imprese con più di 15 dipendenti, la disciplina applicabile sarà quella dei licenziamenti collettivi, di cui alla Legge n. 223/1991.
Il Curatore che voglia procedere in tal senso dovrà darne preventiva comunicazione alle associazioni di categoria e alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale.
La comunicazione dovrà indicare (art. 4 co. 3 L. 223/91):
a) i motivi dell’eccedenza;
b) i motivi tecnici e organizzativi che non consentono di evitare la dichiarazione di mobilità; ù
c) il numero di soggetti interessati e i loro profili professionali.

L’art. 4 della citata L. 223/1991, in particolare, precisa: “La comunicazione di cui al comma 2 deve contenere indicazione: dei motivi che determinano la situazione di eccedenza; dei motivi tecnici, organizzativi o produttivi, per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare, in tutto o in parte, il licenziamento collettivo; del numero, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente nonché del personale abitualmente impiegato; dei tempi di attuazione del programma di riduzione del personale; delle eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale della attuazione del programma medesimo del metodo di calcolo di tutte le attribuzioni patrimoniali diverse da quelle già previste dalla legislazione vigente e dalla contrattazione collettiva.” L’articolo prosegue poi dettando la scaletta precisa degli adempimenti da seguire e nei successivi articoli si trova la disciplina dettagliata relativa ai licenziamenti in argomento.

Se i dipendenti dell’impresa fallita sono meno di 15, si applicheràinvece la Legge 15 luglio 1966, n. 604 sui licenziamenti individuali.

In sintesi, la norma richiede che il licenziamento venga comminato per iscritto (a pena di inefficacia), per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 L. 604/66 (“ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”) ed al lavoratore spetterà l’indennità sostitutiva del preavviso ex art. 2118 c.c. (“In caso di licenziamento intimato dal Curatore senza il rispetto del periodo di preavviso spetta al lavoratore la relativa indennità sostitutiva che, in ragione della natura compensativa, è compatibile con il disposto dell'art. 72 l. fall. e deve pertanto essere ammessa al passivo con privilegio ai sensi dell'art. 2751 bis-bis, n. 1, c.c.” Tribunale Milano, sez. II, 05/05/2015, n. 5571), oltre al ad altri crediti della massa.

V. D. S. chiede
martedì 10/05/2022 - Puglia
“Nel mio caso i contratti preliminari di acquisto di due immobili diversi nello stesso stabile sono stati risolti in momenti diversi per notevoli ritardi sulla consegna prevista da contratto. Sono state restituite le caparre e, su uno dei due, pagata la penale prevista. Il tutto regolato da scritture private.
Due anni dopo questa ultima transazione l'impresa edile è fallita.
Mi domando se, e in quale caso, il curatore fallimentare può bloccare o chiedere la restituzione di tali somme in attesa di una sentenza e cosa può essere deliberato a riguardo.
Inoltre, se questo dovesse mai accadere e le somme non sono disponibili cosa accade?

Grazie”
Consulenza legale i 17/05/2022
In seguito alla dichiarazione di fallimento dell’impresa, il Curatore Fallimentare non può autonomamente “bloccare” alcuna somma già versata a terzi; tuttavia, ha in astratto la possibilità di chiedere la restituzione delle somme versate dalla fallita, preannunciando, così, l’eventuale avvio di un’azione revocatoria ordinaria ex art. 66 della l. fall., ovvero di una revocatoria fallimentare.

In relazione alla revocatoria fallimentare, la legge fallimentare distingue gli atti posti in essere dal fallito dettando regimi diversi a seconda che la revoca riguardi gli atti a titolo gratuito (art. 64 della l. fall.), i pagamenti (art. 65 della l. fall.) o gli atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie (art. 67 della l. fall.).

Nel caso di specie si tratta di atti a titolo oneroso di cui all’art. 67 della l. fall., pertanto il curatore potrà esperire un’azione revocatoria fallimentare solo nei seguenti casi: per gli atti compiuti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso; oppure per quelli compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento, purché dimostri che l'altra parte conosceva lo stato d'insolvenza del debitore.

La transazione che ci riferisce è stata sottoscritta e adempiuta (così sembra dalle informazioni ricevute) oltre i termini previsti quali presupposti per l’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare, la quale, pertanto, non potrà essere esperita.

Resta in astratto possibile per il Curatore esperire l’azione revocatoria ordinaria ai sensi del combinato disposto dell’art. 66 della l. fall. e dell’art. 2901 del c.c., ma ad una duplice condizione: che il debitore conoscesse il pregiudizio che l'atto arrecava alle ragioni del creditore; inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, che il terzo fosse consapevole del pregiudizio.
Dalla norma si ricava che i presupposti affinché si possa parlare di una azione revocatoria ordinaria sono:
- il c.d. “Consilium Fraudis”, cioè la frode del debitore, che consiste nella conoscenza del pregiudizio che l’atto di disposizione può arrecare alle ragioni del creditore;
- il c.d. “Eventus Damni”, cioè l’atto di disposizione posto in essere dal debitore deve essere di natura tale da poter danneggiare gli interessi del creditore;
- la c.d. “Scientia Damni“, cioè la ricorrenza in capo al debitore e, per atti a titolo oneroso, in capo al terzo, della consapevolezza che, con l’atto di disposizione, il debitore diminuisca la consistenza della garanzia patrimoniale.
Tale azione si prescrive in cinque anni dalla data dell'atto, come disposto dall’art. 2903 del c.c..

Nel caso di specie, si può affermare che non sussistono i presupposti neppure per l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria; infatti, al di là degli aspetti soggettivi che non possiamo valutare in questa sede, la transazione non costituiva un pregiudizio per le ragioni dei creditori, bensì un vantaggio, posto che soltanto una delle due penali dovute sono state versate, oltre alla dovuta restituzione delle caparre versate.

Nell’eventualità in cui l’atto dovesse effettivamente essere revocato (circostanza improbabile considerato quanto esposto) e le somme non dovessero essere più disponibili, il Curatore potrebbe, comunque, soddisfarsi sul Suo patrimonio, fino alla concorrenza di quanto riconosciuto dalla sentenza che dichiara la revocatoria stessa.

Nell’eventualità in cui la transazione prevedesse anche il pagamento della seconda penale (non pagata), l’art. 72 della l. fall. dispone che l’esecuzione rimarrebbe sospesa fino a quando il curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, dichiari di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo; in caso di scioglimento, Lei avrebbe diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento (cioè il versamento della penale ancora da corrispondere), senza che sia dovuto risarcimento del danno.

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