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Articolo 515 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Frode nell'esercizio del commercio

Dispositivo dell'art. 515 Codice Penale

Chiunque, nell'esercizio di una attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico(1), consegna(2) all'acquirente(3) una cosa mobile per un'altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita(4), è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto [440-445, 455-459], con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a euro 2.065.

Se si tratta di oggetti preziosi(5), la pena è della reclusione fino a tre anni o della multa non inferiore a euro 103.

Note

(1) Nonostante la norma si riferisca a "chiunque", si tratta di un reato proprio e nello specifico il soggetto attivo deve esercitare un'attività commerciale, industriale o comunque produttiva, anche di fatto, in quanto non è richiesta la qualifica di imprenditore.
(2) La condotta di consegna si realizza non solo quando vi è una dazione materiale della cosa, ma anche nel caso si abbia la trasmissione di un documento equipollente, quale ad esempio la polizza di carico.
Non è richiesto i compimento di atti fraudolenti o dissimulatori, in quanto la presenza di artifizi e raggiri renderebbe applicabile la disciplina della truffa.
(3) L'acquirente è colui che riceve la cosa in base ad un contratto lecito ed efficace, non necessariamente di compravendita, in quanto possono rilevare anche quello di permuta, somministrazione, estimatorio, etc. Può trattarsi poi anche di un imprenditore o di un produttore rispetto alla fornitura di materie prime.
(4) La diversità può essere diversamente intesa, in quanto può riguardare il genere o la specie, l'origine, la provenienza, la qualità e la quantità della cosa. Nel caso venga consegnato un bene completamente diverso per genere o specie da quello pattuito si parla di diversità essenziale, negli altri casi invece rileva piuttosto una difformità
(5) S'intendono oggetti preziosi quelli che hanno un valore superiore, determinato dalla loro rarità oppure da ragioni storiche o artistiche.

Ratio Legis

La ratio della norma si coglie nell'esigenza di garantire l'onestà e la correttezza degli scambi commerciali, in un'ottica di tutela dell'economia pubblica, nonché dell'interesse patrimoniale privato.

Spiegazione dell'art. 515 Codice Penale

La norma in esame punisce chi, nell’esercizio di un’attività commerciale o in uno spaccio aperto al pubblico, consegni, volontariamente, all’acquirente una cosa mobile diversa da quella dichiarata o pattuita, per origine, provenienza, qualità o quantità.
Si tratta, tuttavia, di una fattispecie avente natura sussidiaria, poiché, per espressa previsione di legge, può trovare applicazione soltanto ove il fatto non integri un delitto più grave.

La struttura odierna della norma presenta numerose affinità con l'art. 423 del Code Penal francese del 1810. In Francia, la figura della trompeterie, nasce per punire forme di inganno non qualificate, cioè non punibili come fattispecie di truffa, relative alla difformità della merce rispetto a quanto dichiarato. Tale norma nasce, quindi, perlopiù per tutelare la lealtà commerciale, piuttosto che per evitare forme di lesione del patrimonio, bene giuridico di cui è innervata l'ipotesi di truffa.

L'art. 515 c.p. tutela si, direttamente, il rapporto negoziale tra due soggetti determinati, vale a dire il venditore e l'acquirente, ma ciò non toglie che la norma tuteli interessi più diffusi, quali, in generale, la buona fede negli scambi commerciali, a tutela sia della platea dei consumatori, sia dei produttori e commercianti.

All'interno del singolo atto di scambio commerciale si tutela, dunque, l'interesse dell'intera comunità per far si che venga osservato un costume di onestà, lealtà e correttezza nello svolgimento del commercio, e l'incriminazione punisce l'intralcio che un clima generale di diffidenza arrecherebbe agli scambi, con conseguente turbamento del sistema economico nazionale.

Pare, quindi, indifferente un’effettiva lesione patrimoniale del soggetto passivo, potendosi configurare il reato di cui trattasi anche in ipotesi di vendita di un bene di maggior valore rispetto a quanto pattuito. Il bene giuridico è, quindi, caratterizzato dal fatto di avere una portata superindividuale e indisponibile, in quanto risulta del tutto ininfluente l'atteggiamento psicologico dell'acquirente, come pure non assume efficacia scriminante il consenso a ricevere una cosa diversa da quella pattuita.

L’oggetto materiale del reato è costituito dal prodotto che risulti essere diverso da quanto dichiarato, per origine, provenienza, qualità o quantità, e che venga, fraudolentemente, consegnato al compratore, in adempimento ad un’obbligazione assunta.

Con “origine” del prodotto si intende fare riferimento alla zona geografica di produzione, alle materie prime utilizzate (se provenienti da una zona particolare), nonché, ai metodi di lavorazione seguiti (se tipici di una zona); si pensi, ad es., alla consegna di un vino pugliese per vino piemontese. Con il termine “provenienza”, se si vuole crearne uno spazio applicativo autonomo rispetto al termine precedente, ci si riferisce, invece, al fatto che la fonte sia rinvenibile in un determinato produttore o intermediario.

Pare, comunque, che non qualsiasi difformità concernente l'origine o la provenienza del prodotto integrerebbe il reato, ma solamente quella rilevante per la determinazione del consumatore all'acquisto, restringendo, fondamentalmente, l'ambito di applicabilità ai soli prodotti tipici, anche se, a dire il vero, la norma non contempla distinzioni del genere.

La diversità qualitativa concerne, invece, i casi in cui, pur non essendoci una difformità di specie, sussista, tuttavia, una differenza rispetto a qualifiche non essenziali del prodotto, riguardanti la sua utilizzabilità, pregio o grado di conservazione. Uno dei casi più significativi di violazione dell'art. 515 c.p. concerne, infatti, la vendita di prodotti scongelati come se fossero freschi. Tra le varie tecniche di conservazione degli alimenti si suole distinguere, infatti, tra “refrigerazione”, “congelazione” e “surgelazione”, a seconda della temperatura a cui debba essere mantenuto il prodotto in attesa di essere commercializzato. Il consumatore ha, ovviamente, diritto di essere informato circa il reale stato fisico ed organolettico dell'alimento acquistato, e, correttamente, è stato ripetutamente affermato che è vietata la somministrazione, in un ristorante, di pietanze per la cui preparazione siano stati adoperati ingredienti scongelati senza che sul menù fosse riportata un'indicazione in tal senso. Va, quindi, esclusa un’interpretazione difforme, esistendo una legittima aspettativa da parte del consumatore a che nella preparazione del prodotto finito vengano usate materie prime fresche, a meno che non venga diversamente specificato.

Pare, inoltre, doveroso ribadire che il reato di frode in commercio sussiste a carico del ristoratore anche solo per l'incompletezza delle indicazioni riportate sul menù, senza, quindi, la necessità di alcuna particolare prospettazione di freschezza del prodotto, in quanto il consumatore, traendo spunto dalle più elementari abitudini alimentari, è legittimato a considerare fresco il piatto che consuma.

La difformità quantitativa va, invece, riferita ad una divergenza di numero, peso, misura e dimensioni del prodotto rispetto a quanto pattuito o dichiarato. Tra le varie ipotesi in cui si può configurare una frode quantitativa, rientrano i casi di vendita al lordo della tara degli involucri che contengono i prodotti venduti, come pure astrattamente ascrivibile come tentativo, è apparso, in passato, il tenere all’interno di un esercizio commerciale una bilancia con il dispositivo della tara disattivato.

Soggetto attivo del reato può essere chiunque realizzi la condotta tipica, anche senza rivestire alcuna particolare qualifica commerciale, quindi anche i commessi, i dipendenti, i rappresentanti e i familiari dell'imprenditore, anche qualora l'acquirente non abbia avuto modo di identificare con certezza l'autore materiale del reato. Secondo il tenore letterale della norma, infatti, il soggetto deve comunque aver agito “nell'esercizio di un’attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico”.

Va, comunque, detto che, in passato, la giurisprudenza ha cercato di estendere la portata dei due concetti, includendo anche il singolo produttore che occasionalmente, e, quindi, anche solo una volta, venda i suoi prodotti direttamente fuori da uno spaccio aperto al pubblico. Tale tesi, tuttavia, è stata negata da gran parte della dottrina, secondo cui, invece, la norma in esame protegge il bene giuridico tutelato solamente se la condotta tipizzata avviene secondo le modalità descritte, e, dunque, all’interno di un luogo destinato al commercio.

L’evento tipico è costituito dal passaggio della cosa mobile o mobilizzata nella sfera dell’acquirente che, quindi, ne può disporre.
Il delitto si consuma, pertanto, con la consegna della cosa, vale a dire con la ricezione della stessa da parte dell'acquirente, la quale può dirsi avvenuta anche in caso di consegna indiretta a persona interposta, essendo richiesto il mero ingresso della cosa nella sfera giuridica del consumatore.
Per quanto riguarda invece la configurabilità del tentativo, essa è stata a lungo negata da dottrina e giurisprudenza maggioritarie.
Da tale impostazione si è, però, discostata parte della dottrina, la quale ha, invece, ammesso il tentativo ogniqualvolta vengano posti in essere atti diretti in modo non equivoco a consegnare una cosa diversa da quella pattuita. La più recente giurisprudenza sembra, peraltro, aderire a tale ultima impostazione, ma, appunto, solo nei casi particolari in cui il commerciante abbia instaurato concretamente un rapporto di trattativa con l'acquirente.

È opportuno sottolineare che, qualora gli acquirenti siano più di uno, ma il fatto sia, comunque, unico, si considera unitariamente anche il delitto.

Ai fini della configurazione del reato in esame è sufficiente la sussistenza, in capo all’agente, del dolo generico, quale coscienza e volontà di consegnare all’acquirente una cosa mobile al posto di un’altra, oppure diversa per origine, provenienza, qualità o quantità da quella dichiarata o pattuita.

Interessanti sono, però, gli spunti che derivano dall'analisi dell'elemento soggettivo in capo all'accipiens, soprattutto per quanto riguarda il caso di accettazione consapevole di cosa diversa da quella originariamente pattuita. Ad una prima tesi, che ammetteva, comunque, la configurabilità del delitto, se ne sono aggiunte altre che, invece, propugnavano l'insussistenza del reato, basandosi sulla supposta natura scriminante del consenso in caso di consapevole accettazione. L'adesione a tale ipotesi si basava, come al solito, sulla descrizione del bene giuridico tutelato come diritto disponibile o meno. La risposta più interessante dal punto di vista giuridico è, però, quella fornita da chi, invece di invocare l'art. 50 c.p., ha osservato che la consegna di cosa diversa al consumatore consapevole può determinare una novazione dell'accordo, una nuova proposta. Difatti l'accipiens, cosciente della diversità, dimostra con un comportamento non equivoco di volere quella cosa, e la sua accettazione esclude, perciò, che la consegna abbia per oggetto una cosa, nel genere o nella specie, diversa da quella che avrebbe dovuto essergli consegnata o diversa, in qualche modo, da quella dichiarata o pattuita. Si profila, così, l'estinzione del rapporto sostitutivo, cessando di esistere il punto di riferimento rispetto a cui definire come diversa la cosa consegnata, la quale risulta, anzi, essere quella concordemente voluta dalle parti.

Il secondo comma dell’art. 515 c.p. prevede l’applicazione di una circostanza aggravante speciale nel caso in cui l’oggetto materiale del reato sia costituito da oggetti preziosi. Tale preziosità, tuttavia, deve essere determinata in base alla reale natura dei beni, per cui saranno tali, non solo quelli composti da metalli preziosi, quali oro o argento, ma anche quelli contenenti pietre preziose, perle, ecc.

La condanna per il delitto in esame comporta, ai sensi dell’art. 518 c.p., la pubblicazione della relativa sentenza.

Massime relative all'art. 515 Codice Penale

Cass. pen. n. 17839/2023

In tema di frode nell'esercizio del commercio, non integra violazione di legge disattendere gli esiti di specifiche metodiche di accertamento normativamente previste (nella specie, il procedimento del cd. "panel test", fondato su una doppia controanalisi dell'olio extravergine d'oliva ai sensi del reg. Cee 11 luglio 1991, n. 2568), che non introducono ipotesi di prove legali, non consentite in ragione dei principi del libero convincimento del giudice e della colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio, ben potendo la prova della diversa qualità del prodotto essere desunta da fonti eterogenee.

Cass. pen. n. 5244/2022

Sussiste rapporto di specialità reciproca tra il delitto di vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine, di cui all'art. 516 cod. pen., finalizzato a preservare da comportamenti frodatori sia la vendita che la messa in vendita delle sole sostanze alimentari, e quello di frode nell'esercizio del commercio, di cui all'art. 515 cod. pen., volto a tutelare dalle frodi la sola vendita di tutte le cose mobili, sicché deve essere escluso l'assorbimento del primo nel secondo.

Cass. pen. n. 37724/2022

Non sussiste rapporto di specialità, stante il diverso ambito di operatività delle norme, tra la previsione dell'art. 4, comma 4, d.lgs. 15 novembre 2017, n. 190, recante la disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni contenute nella direttiva 94/11/CE (concernente l'etichettatura dei materiali usati nei principali componenti delle calzature destinate alla vendita al consumatore) e nel regolamento U.E. n. 1007/2011 in data 27 settembre 2011 del Parlamento europeo e del Consiglio (relativo alle denominazioni delle fibre tessili e all'etichettatura e al contrassegno della composizione fibrosa dei prodotti tessili) e quella di cui all'art. 515 cod. pen., che tutela il corretto svolgimento dell'attività commerciale.

Cass. pen. n. 32388/2021

In tema di reati contro l'industria ed il commercio, è configurabile il concorso materiale tra il reato di frode nell'esercizio del commercio e quello di vendita di prodotti industriali con segni mendaci, in quanto gli stessi hanno una diversa obiettività giuridica costituita, per il primo, dalla consegna di "aliud pro alio" con conseguente violazione del leale esercizio dell'attività commerciale e, per il secondo, dalla sola vendita o messa in circolazione del prodotto, indipendentemente dalla effettiva cessione del bene, con conseguente violazione dell'ordine economico che deve essere garantito contro gli inganni tesi al consumatore.

Cass. pen. n. 30685/2021

Integra il reato di frode in commercio la consegna di un bene diverso, per caratteristiche essenziali, rispetto a quello pattuito, anche se avvenuta nell'ambito di una trattativa individuale, non richiedendo la norma incriminatrice l'offerta al pubblico del bene o l'idoneità della condotta a trarre in inganno una pluralità di consumatori quale elemento costitutivo del reato.

Cass. pen. n. 30026/2021

La vendita di prodotti con dicitura "CE" contraffatta integra il delitto di frode nell'esercizio del commercio e non il delitto di detenzione per la vendita di prodotti industriali con marchi o altri segni distintivi contraffatti o alterati, atteso che siffatta dicitura non identifica un marchio propriamente detto, inteso come elemento, o segno, o logo, idoneo a distinguere un manufatto da un altro, ma assolve alla diversa funzione di garantire al consumatore la conformità del prodotto su cui è apposta ai livelli di qualità e di sicurezza previsti dalla normativa dell'Unione europea.

Cass. pen. n. 17686/2019

Integra il reato di tentativo di frode nell'esercizio del commercio l'apposizione, su beni destinati alla vendita, del marchio contraffatto CE, poiché questo garantisce non solo la provenienza del bene dall'Europa, ma anche la sussistenza dei requisiti aprioristicamente standardizzati dalla normativa comunitaria, che possono essere scelti dall'acquirente in ragione della loro origine e provenienza controllata alla fonte. (In motivazione, la Corte ha evidenziato l'irrilevanza dell'accertamento in concreto delle caratteristiche del prodotto destinato alla vendita, che potrebbero anche essere superiori a quelle dichiarate, rilevando esclusivamente la lesione dell'ordine economico e della regolarità del commercio operata dalla diffusione di beni differenti da quelli dichiarati).

Cass. pen. n. 39055/2017

Non si configura il delitto di frode nell'esercizio del commercio nei riguardi del medico odontoiatra che impianta sul paziente una protesi dentaria di origine e qualità diverse da quelle dichiarate, in quanto lo svolgimento della attività medica, a differenza delle attività commerciali, connaturate dalla causa di scambio di merci o servizi verso un corrispettivo, si caratterizza per il fine di cura dei pazienti e di salvaguardia della loro salute.

Cass. pen. n. 30173/2017

La disponibilità nelle cucine di un ristorante di alimenti surgelati, non indicati come tali nel menù, perfeziona il tentativo di frode in commercio, indipendentemente dall'inizio di una concreta contrattazione con il singolo avventore.

Cass. pen. n. 28689/2017

Il reato di frode in commercio, nel caso di vendita di merce da piazza a piazza, si consuma non nel luogo in cui, ai sensi dell'art. 1510 cod. civ., il venditore si libera della propria obbligazione rimettendo la merce al vettore o spedizioniere, ma in quello in cui avviene la materiale consegna della stessa merce all'acquirente, posto che è solo in tale momento che quest'ultimo, ottenuta la disponibilità della cosa, può verificarne la corrispondenza a quella pattuita o dichiarata, subendo, conseguentemente, gli effetti della non veridica rappresentazione dei requisiti del prodotto.

Cass. pen. n. 1980/2015

In tema di frode in commercio, la mancanza o la differenza dei segni distintivi, che assume rilevanza determinante nell'esercizio della attività commerciale, dà luogo a quella diversità che integra il reato di cui all'art. 515 c.p., indipendentemente dalle intrinseche caratteristiche del prodotto e dalle sue qualità.

Cass. pen. n. 45916/2014

Integra il reato di frode nell'esercizio del commercio la consegna di merce (nella specie, occhiali da sole) recante la marcatura CE (indicativa della locuzione "China Export") apposta con caratteri tali da ingenerare nel consumatore la erronea convinzione che i prodotti rechino, invece, il marchio CE (Comunità Europea), poiché l'apposizione di quest'ultimo ha la funzione di certificare la conformità del prodotto ai requisiti essenziali di sicurezza e qualità previsti per la circolazione dei beni nel mercato europeo.

Cass. pen. n. 2617/2014

In tema di tutela degli alimenti, la consegna di un tipo di prosciutto diverso da quello indicato nell'etichetta e protetto da denominazione di origine integra il reato previsto dall'art. 515 e 517 bis cod. pen. che, avendo per oggetto la tutela del leale esercizio del commercio, protegge sia l'interesse del consumatore a non ricevere una cosa differente da quella richiesta, sia quello del produttore a non vedere i propri articoli scambiati surrettiziamente con prodotti diversi. (Fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto la configurabilità del reato nell'ipotesi di confezioni riportanti sull'etichetta le denominazioni "Prosciutto di Parma" e "Prosciutto San Daniele, sebbene le attività di affettamento del prodotto fossero avvenute con modalità diverse da quelle previste nel Disciplinare D.O.P.).

Cass. pen. n. 46183/2013

Integra il tentativo di frode in commercio la detenzione, negli stabilimenti vitivinicoli di un'azienda commerciale, di vino preparato con l'aggiunta di zuccheri o materie zuccherine o fermentate diverse da quelle provenienti dall'uva fresca, in mancanza di qualsiasi indicazione in ordine all'aggiunta di tali ingredienti. (In motivazione, la Corte ha escluso che la previsione nel D.L. 7 settembre 1987 n. 370 di sanzioni amministrative per chiunque non osservi, nella preparazione di mosti e vini, i requisiti stabiliti dal Regolamento comunitario n. 822 del 1987 abbia determinato l'abrogazione delle previgenti disposizioni incriminatrici e ha sottolineato che, comunque, la condotta di frode in commercio sanziona la consegna di "aliud pro alio", a prescindere dalla rilevanza penale, dell'avvenuta sofisticazione del vino).

Cass. pen. n. 5068/2013

Integra il reato di frode nell'esercizio del commercio (art. 515 cod. pen.) - e non quello di cui all'art. 474 cod. pen. (introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi) - l'apposizione di una falsa marcatura 'CÈ su beni posti in commercio che ne siano privi, considerato che la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 515 cod. pen. fa riferimento al marchio come elemento che serve ad attestare la conformità del prodotto a normative specifiche, ed è posta a tutela degli acquirenti dei beni, siano essi consumatori finali oppure commercianti intermediari nella catena distributiva, mentre la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 474 cod. pen. fa riferimento al marchio come elemento (segno o 'logo') idoneo a distinguere il singolo prodotto industriale rispetto ad altri.

Cass. pen. n. 22313/2011

Integra il tentativo di frode in commercio la detenzione, presso il magazzino di prodotti finiti dell'impresa di produzione, di prodotti alimentari con false indicazioni di provenienza, destinati non al consumatore finale ma ad utilizzatori commerciali intermedi. (In motivazione la Corte, in una fattispecie in cui il prodotto alimentare risultava confezionato in uno stabilimento diverso da quello indicato sulle etichette, ha escluso la sussistenza del rapporto di specialità tra il delitto di cui all'art. 515 c.p. e la fattispecie, sanzionata amministrativamente, di cui all'art. 2, D.L.vo 27 gennaio 1992, n. 109).

Cass. pen. n. 1061/2011

Integra il tentativo del reato di frode nell'esercizio del commercio il confezionamento di un prodotto (nella specie barattoli di conserve di pomodoro) privo dei dati identificativi relativi ad anno e lotto di produzione richiesti dalla legge.

Cass. pen. n. 41758/2010

Il tentativo di frode nell'esercizio del commercio non richiede, ai fini della sua configurabilità, l'effettiva messa in vendita del prodotto, essendo sufficiente l'accertamento della destinazione alla vendita del prodotto diverso per origine, provenienza, qualità o quantità da quelle dichiarate o pattuite. (Fattispecie in tema di sequestro probatorio di alcune confezioni di gel stimolante per il piacere femminile che, previo deconfezionamento, presentavano l'originaria data di scadenza cancellata, sostituita con una posteriore).

Cass. pen. n. 39714/2010

Il reato di frode nell'esercizio del commercio non richiede, ai fini della sua configurabilità, che il prodotto sia socialmente pericoloso, essendo sufficiente la mendace commercializzazione dello stesso come diverso da quello reale. (Fattispecie relativa a sequestro preventivo di notevoli quantitativi di ordinario vino da tavola recante l'apparente denominazione "IGT Toscano").

Cass. pen. n. 27704/2010

Integra il reato di tentativo di frode in commercio il detenere, anche presso un esercizio commerciale di distribuzione e vendita all'ingrosso, prodotti privi di marcatura "CE" o con marcatura "CE" contraffatta. (In motivazione la Corte ha precisato che la presenza della marcatura è finalizzata ad attestare la conformità del prodotto a standard minimi di qualità).

Cass. pen. n. 37602/2009

Il delitto di frode nell'esercizio del commercio è configurabile anche se il prodotto consegnato non sia alterato o nocivo alla salute del consumatore, in quanto il reato è integrato dalla semplice messa in vendita di un bene difforme da quello dichiarato. (Fattispecie nella quale nel menù affisso in un pubblico esercizio erano indicati alimenti per la preparazione - nella specie burro, prosciutto e mozzarella - diversi da quelli rinvenuti dalla P.G., ovvero margarina, spalla cotta e preparato alimentare filante).

Cass. pen. n. 26109/2009

Integra il reato di frode nell'esercizio del commercio la messa in vendita di prodotti scaduti o prossimi alla scadenza con apposizione di una data di scadenza diversa da quella originaria, in quanto la divergenza qualitativa idonea a configurare l'illecito penale può riguardare non soltanto il pregio o l'utilizzabilità del prodotto, ma anche il suo grado di conservazione.

Cass. pen. n. 23819/2009

Il delitto di frode nell'esercizio del commercio è configurabile anche nel caso in cui l'acquirente non effettui alcun controllo sulla merce offerta in vendita, essendo irrilevanti sia l'atteggiamento, fraudolento o meno, del venditore, che la possibilità per l'acquirente di accorgersi della diversità della merce consegnatagli rispetto a quella richiesta. (Fattispecie relativa a sequestro preventivo di abbigliamento ed accessori, in parte recanti loghi riconducibili a marchi griffati e registrati ed in parte privi di marchio CE o con marchio CE contraffatto, indicativo della locuzione "China - Export", aventi prezzo vile e riportanti una composizione merceologica non corrispondente a quanto dichiarato nelle etichette dei singoli capi.

Cass. pen. n. 43192/2008

In tema di reati contro l'industria ed il commercio, è configurabile il concorso materiale tra il reato di frode nell'esercizio del commercio e quello di vendita di prodotti industriali con segni mendaci, in quanto gli stessi hanno una diversa obiettività giuridica costituita, per il primo, dalla consegna di aliud pro alio con conseguente violazione del leale esercizio dell'attività commerciale e, per il secondo, dalla sola vendita o messa in circolazione del prodotto, indipendentemente dalla consegna, con conseguente violazione dell'ordine economico che deve essere garantito contro gli inganni tesi al consumatore.

Cass. pen. n. 27105/2008

Il reato di frode nell'esercizio del commercio può concorrere con gli illeciti amministrativi di cui alla normativa in materia di pubblicità ingannevole di cui al D.L.vo n. 206 del 2005 (che ha sostituito il previgente D.L.vo n. 74 del 1992 ) atteso che quest'ultima opera su un piano e risponde ad una ratio diversi rispetto a quelli della fattispecie penale, sia per il più ampio campo di applicazione sia perché l'intervento sanzionatorio è previsto indipendentemente dal verificarsi della materiale consegna dell'aliud pro alio necessaria per la sussistenza del reato.

Cass. pen. n. 19992/2008

In tema di frode nell'esercizio del commercio, è configurabile il reato di cui all'art. 515 c.p. anche nel caso di vendita di una sola bottiglia di prodotto distillato recante sull'etichetta una gradazione alcolica superiore rispetto a quella accertata, essendo estensibile lo scarto di gradazione all'intero lotto di bottiglie in ragione della produzione seriale, tale da escludere l'alterazione del contenuto di una sola bottiglia. (Fattispecie di vendita di sambuca con gradazione alcolica di 36º, difforme da quella dichiarata sull'etichetta pari a 38º).

Cass. pen. n. 5588/2008

Persone offese del reato di frode nell'esercizio del commercio, che ha natura plurioffensiva, sono il produttore della merce surrettiziamente scambiata e l'acquirente-consumatore dello stessa, ai quali deve essere riconosciuta la legittimazione all'opposizione alla richiesta di archiviazione. (Nel caso di specie, la S.C. ha escluso la qualifica di persona offesa in capo al legale rappresentante di un'impresa concorrente).

Cass. pen. n. 2019/2008

Tra la previsione di cui all'art. 2 del D.L.vo n. 109 del 1992 n. 109, recante disposizioni in tema di etichettatura e presentazione dei prodotti alimentari tali da attribuire al prodotto proprietà che lo stesso non possegga, e l'art. 515 c.p., che tutela il corretto svolgimento dell'attività commerciale, continua a non sussistere, anche successivamente alle modifiche normative introdotte dal D.L.vo n. 181 del 2003, alcun rapporto di specialità stante il diverso ambito di operatività delle due disposizioni.

Cass. pen. n. 44969/2007

In tema di frode nell'esercizio del commercio, compete al giudice di merito l'accertamento della esistenza degli elementi costitutivi del reato con riferimento alla valutazione delle differenze qualitative del prodotto commercializzato rispetto a quelle che lo stesso prodotto deve avere in relazione alle sostanze che lo compongono. (Fattispecie relativa a ritenuta esclusione di identità tra cosiddetto scarto da decanter di pomodoro, proveniente dalla centrifugazione degli scarti dei pelati, e concentrato di pomodoro, consistente, invece, nel frutto della prima trasformazione del pomodoro fresco).

Cass. pen. n. 22055/2006

Integra il reato di frode in commercio la vendita a società sportive di prodotti a base di creatina presentandoli come regolarmente commerciabili dal punto di vista dei controlli per effetto della sola notifica dell'etichetta al Ministero della Salute, mentre poi i depliant illustrativi consigliano, per un più efficace uso della sostanza per gli sportivi, un dosaggio superiore ai limiti consentiti pari a a tre grammi giornalieri di creatina, uso che richiede l'autorizzazione ministeriale.

Cass. pen. n. 16055/2006

In tema di frode nell'esercizio del commercio, non può essere attribuita rilevanza, al fine di escludere la configurabilità del reato di cui all'art. 515 c.p.p., al fatto che l'acquirente non abbia ricevuto un danno economico in conseguenza della consegna dell'aliud pro alio atteso che, stante la tutela dell'interesse al leale esercizio dell'attività commerciale, è irrilevante la circostanza che la cosa diversa possa risultare di maggiore valore rispetto a quella richiesta dall'acquirente.

Cass. pen. n. 44274/2005

Il reato di frode in commercio può essere commesso non solo quando si consegna una cosa diversa da quella pattuita (aliud pro alio), ma anche quando, pur essendoci identità di specie, si consegna una cosa qualitativamente diversa da quella pattuita e tale divergenza qualitativa deve riguardare caratteristiche non essenziali del prodotto, relative alla sua utilizzabilità, al suo pregio qualitativo o al grado di conservazione. (Nel caso di specie la Suprema Corte ha confermato la sentenza di proscioglimento dei giudici di merito i quali avevano valutato l'insussistenza del reato nella vendita di capi di abbigliamento provenienti dal cosiddetto «mercato parallelo», ossia dalla stessa ditta produttrice del mercato primario, atteso che le divergenze tra i prodotti erano del tutto marginali e mancava la prova che l'imputato avesse venduto i capi di abbigliamento affermandone falsamente la provenienza dal mercato primario).

Cass. pen. n. 36954/2005

Configura il delitto di frode in commercio la vendita di confezioni di olio di oliva «lampante» recanti la dicitura «vergine» in quanto all'acquirente è stato consegnato un prodotto avente una qualità diversa da quella dichiarata.

Cass. pen. n. 13151/2005

In base al dettato dell'art. 6 c.p., il reato si considera commesso nel territorio dello Stato quando l'azione od omissione che lo costituisce è ivi avvenuta, in tutto od in parte, ovvero si è verificato nel territorio italiano l'evento che è conseguenza dell'azione od omissione; pertanto, la condotta del reato di frode in commercio che abbia avuto inizio in Italia, con la consegna della merce da parte dell'imputato al vettore per la spedizione agli acquirenti, in territorio estero, radica la giurisdizione del giudice italiano.

Cass. pen. n. 36056/2004

Integra il reato di tentativo di frode in commercio detenere, presso l'esercizio commerciale di produzione e di vendita all'ingrosso, quantitativi di olio di oliva con composizione e valori difformi da quelli prescritti dal regolamento comunitario, in quanto la fattispecie di cui all'art. 515 c.p. è posta a tutela sia dei consumatori che degli stessi commercianti, come si desume dalle condotte tipizzate. (Fattispecie in cui si è ritenuto che il deposito dell'olio nel magazzino rappresenta un atto idoneo, diretto in modo non equivoco alla frode in commercio, in quanto è prodromico alla immissione nel circolo distributivo di un prodotto che presenta caratteristiche diverse da quelle indicate e normativamente previste).

Cass. pen. n. 34936/2004

È configurabile il reato di frode nell'esercizio del commercio qualora venga consegnata all'acquirente mozzarella qualificata come di «bufala campana d.o.p.», la quale sia stata prodotta, anche se solo in parte, con latte bufalino surgelato anziché fresco, dovendosi ritenere obbligatorio, per il detto tipo di alimento, l'impiego esclusivo del latte fresco, come è dato desumere dal disposto di cui all'art. 3 del relativo disciplinare di produzione approvato con D.P.C.M. 10 maggio 1993, nella parte in cui stabilisce che «il latte dev'essere consegnato al caseificio entro la sedicesima ora dalla mungitura».

Cass. pen. n. 27279/2004

In tema di frode nell'esercizio del commercio, sul titolare di un esercizio commerciale grava l'obbligo di impartire ai propri dipendenti precise disposizioni di leale e scrupoloso comportamento commerciale e di vigilare sull'osservanza di tali disposizioni; in difetto si configura il reato di cui all'art. 515 c.p. sia allorquando alla condotta omissiva si accompagni la consapevolezza che da essa possano scaturire gli eventi tipici del reato, sia quando si sia agito accettando il rischio che tali eventi si verifichino.

Cass. pen. n. 14806/2004

La detenzione di alimenti congelati o surgelati in un esercizio commerciale e l'omessa indicazione nella lista delle vivande di tale precondizione dell'alimento integra il reato di tentativo di frode in commercio, ed in proposito non è necessario che si instauri un rapporto concreto con un cliente, atteso che in tale ipotesi ricorrerebbe l'ipotesi del delitto consumato.

Cass. pen. n. 37949/2003

In materia alimentare l'obbligo di avviso delle operazioni di analisi sui campioni prelevati è richiesto soltanto allorché si tratti di sostanze deteriorabili, atteso che per quelle non deteriorabili è consentita la richiesta di revisione delle stesse. (Fattispecie relativa a campioni di olio di olive confezionato).

Cass. pen. n. 33303/2003

In tema di acque minerali, la difformità tra valori dichiarati e risultanti dall'etichetta e valori riscontrati in relazione ad alcuni componenti dell'acqua non è sufficiente ad integrare automaticamente gli estremi del reato di cui all'art. 515 c.p., in quanto occorre valutare in concreto, da un lato, con specifico riferimento ai singoli componenti trovati difformi ed alla misura di tale difformità, se la variazione riscontrata non possa ricondursi alla naturale costante mutazione di composizione cui sono soggette tutte le acque minerali (espressamente riconosciuta dal legislatore) e, dall'altro, se la presenza dei componenti in questione in misura inferiore o non superiore ad una data quantità costituisca una qualità essenziale del prodotto dichiarata o pattuita con il cliente, di talché la sua mancanza concreti un difetto delle qualità essenziali promesse, ed integri il reato di cui all'art. 515 c.p.

Cass. pen. n. 21732/2003

Integra il delitto di frode nell'esercizio del commercio la pratica di massaggi presso centri estetici senza l'utilizzo delle specifiche creme, aventi determinate caratteristiche e un particolare marchio, il cui uso era pubblicizzato, bensì con prodotti di provenienza e qualità diversa, in quanto il reato di cui all'art. 515 c.p. si configura anche quando la consegna della cosa diversa da quella promessa o pattuita si accompagni ad una diversa prestazione che non abbia carattere essenziale.

Cass. pen. n. 18298/2003

In un piccolo esercizio commerciale, gestito direttamente dal titolare e da un familiare, la responsabilità per la vendita di aliud pro alio del primo deve essere ritenuta anche se l'acquirente non ha identificato compiutamente l'autore materiale della vendita.

Cass. pen. n. 8383/2003

Il reato di frode in commercio, nel caso di vendita di merce da piazza a piazza, si consuma non nel luogo in cui il venditore si libera della propria obbligazione, ai sensi dell'art. 1510 c.c., con la consegna della merce al vettore o spedizioniere, ma in quello in cui avviene la materiale consegna della stessa merce all'acquirente.

Cass. pen. n. 5438/2003

Non costituisce frode in commercio, ma può eventualmente costituire truffa, la vendita di protesi pilifere che, una volta poste in opera, abbiano dato risultati inferiori alle aspettative, non trattandosi di esecuzione sleale del contratto mediante consegna di cosa diversa da quella pattuita.

Cass. pen. n. 5147/2003

In tema di frode nell'esercizio del commercio, al fine di configurare la responsabilità del titolare dell'esercizio commerciale in caso di consegna effettuata da personale dipendente, occorre accertare, tenuto conto delle dimensioni e dell'organizzazione dell'esercizio, se la consegna dell'aliud pro alio si sia verificata sulla base di direttive inequivoche, anche se tacite, del preponente, e non per iniziativa o negligenza del dipendente, atteso che non può farsi esclusivo riferimento al parametro del cui prodest.

Configura l'ipotesi di reato di cui all'art. 515 c.p., frode nell'esercizio del commercio, la consegna ad un acquirente di un formaggio diverso per marca da quello richiesto, atteso che la volgarizzazione del marchio, implicante l'attribuzione della unica denominazione a tutti i formaggi similari, anche se prodotti da altre ditte, può dirsi avvenuta solo allorché la società predominante produca un solo tipo di prodotto. (Fattispecie relativa a consegna di formaggio diverso da quello “Auricchio” richiesto, nella quale la Corte ha precisato come la società in questione producesse più tipi del provolone in questione, dolce, piccante, semipiccante, così che dovevasi escludere che nell'uso corrente con la denominazione “provolone Auricchio” si indicasse un solo e specifico tipo di formaggio).

Cass. pen. n. 510/2003

In tema di frode in commercio, non raggiunge la soglia del tentativo punibile la condotta del soggetto costituita dalla sola accertata detenzione, nello stabilimento di produzione, in vista della futura commercializzazione, di prodotti alimentari destinati ad essere confezionati con l'indicazione di una data di scadenza che sarebbe necessariamente risultata posteriore al termine massimo consentito dalle disposizioni in vigore.

Cass. pen. n. 37569/2002

La mera detenzione da parte di un ristoratore di prodotti congelati o surgelati non indicati come tali nella lista delle vivande non integra il reato di tentata frode in commercio, di cui agli artt. 56 e 515 c.p., atteso che a tale fine si rende necessario un inizio di pattuizione con un cliente determinato, come l'effettiva consegna del menù non riportante tale condizione per alcuni degli alimenti.

Cass. pen. n. 19395/2002

La detenzione di prodotti congelati nei frigoriferi di un esercizio commerciale e la omessa indicazione nel menù di tale precondizione dell'alimento integra il reato di tentativo di frode in commercio, atteso che la predisposizione di una lista delle vivande senza l'indicazione che alcuni ingredienti erano congelati o surgelati dimostra la univocità e idoneità dell'azione posta in essere ai fini della configurabilità del reato in questione

Cass. pen. n. 16386/2002

La preparazione, in territorio italiano, di un prodotto destinato al mercato estero avente caratteristiche diverse da quelle dichiarate è qualificabile come tentativo punibile di frode nell'esercizio del commercio (artt. 56 e 515 c.p.) ed è perseguibile, per il principio di territorialità di cui all'art. 6 c.p., davanti al giudice italiano (nella specie, trattatasi di condotta costituita dall'imbottigliamento, in uno stabilimento sito in territorio italiano, di olio destinato al mercato britannico, descritto nelle etichette già applicate sulle bottiglie come proveniente esclusivamente dalla spremitura di olive di produzione italiana, mentre una parte di esso era in realtà ricavato dalla spremitura di olive di diversa provenienza).

Cass. pen. n. 10145/2002

La detenzione all'interno di un ristorante di alimenti surgelati destinati alla somministrazione alla clientela, senza che sulla lista delle vivande messa a disposizione degli avventori sia indicata detta qualità, configura l'ipotesi di reato di cui agli artt. 56 e 515 c.p., atteso che tale comportamento è univocamente rilevatore della volontà dell'esercente di consegnare ai clienti una cosa diversa da quella pattuita.

Cass. pen. n. 35743/2001

Non è configurabile il reato di tentata frode in commercio, di cui agli artt. 56 e 515 c.p., allorché in un esercizio commerciale si rinvengano prodotti alimentari congelati, atteso che, in assenza di ulteriori elementi circostanziali, non è individuabile nella mera detenzione una condotta idonea e non equivocamente diretta alla conclusione di una intesa contrattuale. (Fattispecie nella quale in un laboratorio di pasticceria erano state rinvenute alcuni chili di briosches in un congelatore).

Cass. pen. n. 23008/2001

Integra il reato di frode in commercio la condotta dell'esercente che alla richiesta di prosciutto di Parma - la cui denominazione di origine è riservata dall'art. 1 della legge n. 26 del 1990 esclusivamente a prodotti che abbiano determinate caratteristiche e prerogative, sia merceologiche che formali - consegni prosciutto crudo non di Parma.

Cass. pen. n. 16062/2001

Tra la previsione di cui all'art. 2 del D.L.vo 27 gennaio 1992 n. 109, recante disposizioni in tema di etichettatura e presentazione dei prodotti alimentari tali da non attribuire al prodotto proprietà che lo stesso non possegga, e l'art. 515 c.p., che tutela il corretto svolgimento dell'attività commerciale, non sussiste alcun rapporto di specialità stante il diverso ambito di operatività delle due disposizioni.

Cass. pen. n. 28/2000

Integra il tentativo di frode in commercio, perché idonea e diretta in modo non equivoco alla vendita della merce ai potenziali acquirenti, la condotta dell'esercente che esponga sui banchi o comunque offra al pubblico prodotti alimentari scaduti sulle cui confezioni sia stata alterata o sostituita l'originale indicazione del termine minimo di conservazione. (Nell'affermare tale principio la Corte ha altresì precisato che il tentativo non è viceversa configurabile, per l'assenza del requisito dell'univocità degli atti, ove i prodotti con etichetta alterata o sostituita siano semplicemente detenuti all'interno dell'esercizio o in un deposito senza essere esposti o in qualche modo offerti al pubblico).

Cass. pen. n. 14161/1999

Il tentativo di frode in commercio può esser integrato anche indipendentemente da ogni concreto rapporto con l'acquirente, essendo invece decisive, al fine suddetto, solo l'idoneità e la non equivocità degli atti nella direzione di una consegna. (In conseguenza la Corte ha ritenuto integrato il tentativo nella detenzione nel centro imballaggio di merce già confezionata).

Cass. pen. n. 12204/1999

La detenzione in un ristorante di cibi surgelati o congelati, senza che di tale stato di conservazione sia fatta menzione nella lista delle vivande destinata ai clienti, non corredata da altri elementi circostanziali, non integra gli estremi del tentativo di frode nell'esercizio del commercio (articoli 56 e 515 c.p.) attesoché occorre che siano individuati e specificati gli atti diretti in modo non equivoco a consegnare o servire concretamente ai clienti cose diverse da quelle dichiarate nelle liste dei cibi.

Cass. pen. n. 12107/1999

Nell'ambito dell'attività di ristorazione, per la quale siano impiegati prodotti surgelati, è configurabile il tentativo di frode in commercio non solo quando venga omessa l'indicazione di tale tipo di alimenti nella lista delle pietanze ma anche quando la loro indicazione sia fatta con caratteri molto piccoli, posti all'estremo margine inferiore della lista e in senso verticale, in modo da sfuggire all'attenzione della clientela.

Cass. pen. n. 8507/1999

I reati di cui agli artt. 515 c.p. e 5 legge 30 aprile 1962, n. 283 si pongono in relazione di specialità reciproca e possono pertanto concorrere. Infatti il delitto viene commesso da chi pone in vendita sostanze alimentari non genuine come genuine, ovvero di qualità o quantità diverse da quella dichiarata o pattuita. La contravvenzione è commessa da chi impiega nella preparazione del prodotto sostanze private in parte dei propri elementi naturali o mescolate a sostanze di qualità inferiore o comunque trattate in modo da variarne la composizione naturale. Inoltre nel delitto è determinante la consegna all'acquirente o la messa in commercio, mentre nella contravvenzione si ha riguardo al fatto intrinseco della preparazione o della distribuzione per il consumo. Infatti il delitto ha come oggetto la tutela giuridica della correttezza del commercio, la contravvenzione la tutela della salute.

Cass. pen. n. 11640/1998

Il delitto di frode in commercio concorre con la contravvenzione alle norme sulla produzione di pasta alimentare di grano duro, poiché la norma del codice penale è posta a tutela della buona fede degli acquirenti mentre le disposizioni della L. 4 luglio 1967, n. 580 sono dirette alla tutela della salute pubblica.

Cass. pen. n. 2038/1998

La detenzione di cibi congelati o surgelati accompagnata dalla mancata segnalazione nel menù di tale stato di conservazione degli alimenti ipotizza il reato di cui agli artt. 56 e 515 c.p., a condizione che vi sia stato un inizio di pattuizione con il cliente. Tale situazione si determina anche quando la proposta contrattuale dell'esercente sia stata portata all'attenzione dell'avventore con la effettiva consegna del menù dichiarante merce diversa da quella che, in caso di accettazione, sarebbe stata servita.

Cass. pen. n. 6667/1998

La fattispecie di vendita di sostanze alimentari non genuine, di cui all'art. 516 c.p., risulta essere sussidiaria rispetto a quella dell'art. 515 c.p. — frode nell'esercizio del commercio — e copre l'area della mera immissione sul mercato, cioè una attività preparatoria alla frode in commercio. Se avviene la materiale consegna della merce all'acquirente, o atti univocamente diretti a tale fine, il reato ipotizzabile è quello previsto dall'art. 515 c.p., rispettivamente nella forma consumata o tentata.

Cass. pen. n. 4291/1998

Non integra l'ipotesi del tentativo di frode in commercio la semplice detenzione da parte di un ristoratore, non corredata da altri elementi circostanziali, di prodotti alimentari congelati o surgelati, poiché difetta il requisito della univocità degli atti mancando un inizio di contrattazione con un acquirente determinato.

Cass. pen. n. 1686/1998

L'art. 22, primo comma, della legge 15 febbraio 1963, n. 281 (disciplina della preparazione e del commercio dei mangimi), in seguito alla depenalizzazione operata dall'art. 32, primo comma, della legge n. 689/1981, punisce con sanzione amministrativa “chiunque vende, pone in vendita o mette altrimenti in commercio o prepara per conto terzi o, comunque, per la distribuzione per il consumo, prodotti disciplinati dalla (stessa) legge non rispondenti alle prescrizioni stabilite, o risultanti all'analisi non conformi alle dichiarazioni, indicazioni e denominazioni ... salvo che il fatto non costituisca più grave reato”. L'elemento materiale del reato di frode nell'esercizio del commercio (art. 515 c.p.) consiste nel consegnare all'acquirente una cosa mobile non conforme a quella convenuta e l'interesse tutelato è quello del leale esercizio e dell'onesto svolgimento del commercio. Le due norme si pongono, dunque, in una relazione di concorso reale (non apparente) per la diversa obiettività giuridica e per il diverso interesse protetto: garanzia della qualità dei prodotti venduti, nel primo caso; tutela della correttezza e lealtà commerciale, nel secondo. I beni giuridici tutelati, pertanto, non soltanto non sono identici, ma neppure omogenei e non può trovare applicazione il principio di specialità fissato dall'art. 9, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 in ipotesi di concorso tra le disposizioni penali e quelle amministrative previste da leggi dello Stato.

Cass. pen. n. 3968/1998

La sola offerta di un prodotto alimentare con il termine minimo di consumazione scaduto, senza essere accompagnata da alcun comportamento idoneo a trarre in inganno l'acquirente, integra soltanto l'illecito amministrativo di cui all'art. 18 del D.L.vo n. 109/1992 e non il delitto tentato o consumato di frode in commercio di cui all'art. 515 c.p., sia perché difetta l'elemento costitutivo della consegna di una cosa diversa da quella dichiarata sia perché il termine minimo di consumazione ha una funzione di garanzia e non comporta necessariamente il venir meno delle caratteristiche nutrizionali e di freschezza dell'alimento.

Cass. pen. n. 5127/1997

Una produzione di vino superiore a quella fissata dal disciplinare di produzione non è utilizzabile ai fini della denominazione di origine controllata (D.O.C.) indipendentemente dalle cause che hanno determinato l'eccedenza. Può perciò essere legittimamente contestata la violazione dell'art. 515 c.p., fatta salva la verifica della sussistenza dell'elemento psicologico.

Cass. pen. n. 4375/1997

Il carattere plurioffensivo della frode in commercio sussiste anche quando la cosa richiesta dal cliente dell'esercizio commerciale non sia tutelata da un marchio o da altra speciale protezione, giacché la norma di cui all'art. 515 c.p. tutela oggettivamente il leale esercizio del commercio e, quindi, sia l'interesse del consumatore a non ricevere una cosa diversa da quella richiesta, sia l'interesse del produttore a non vedere i suoi prodotti scambiati surrettiziamente con prodotti diversi. (Nella specie, relativa a ritenuta sussistenza del reato per consegna di formaggio «Seland» in luogo di formaggio «Emmental», la S.C. ha ritenuto che il richiesto accertamento della volgarizzazione del marchio Emmental era stato legittimamente denegato, dal momento che non avrebbe influito neppure sulla legittimazione della parte civile, costituitasi in rappresentanza dei produttori svizzeri di «Emmental»).

Per integrare la fattispecie penale di frode commerciale di cui all'art. 515 c.p. non occorre che la cosa sostituita sia contrassegnata da un marchio (emblema o denominazione) o sia altrimenti tutelata da legge speciale; non occorre, cioè, oltre alla divergenza tra cosa consegnata e cosa pattuita, che quest'ultima sia tutelata per la sua provenienza, origine o qualità tipica. Pertanto la protezione o la denominazione tipica del formaggio richiesto rileva solo ai fini del reato di cui all'art. 9 legge 10 aprile 1954, n. 125 (che punisce chiunque produce, pone in vendita o comunque offre al consumo, quali formaggi con denominazioni di origine o tipiche riconosciute, formaggi che non hanno i requisiti prescritti per l'uso di tali denominazioni), ma non ha alcun rilievo ai fini del reato di frode commerciale c.d. qualitativa. (Nella specie, accertato che il cliente aveva chiesto formaggio «Emmental» e che l'esercente gli consegnò invece il ben diverso formaggio «Seland», la S.C. ha ritenuto realizzata la consegna di aliud pro alio che configura la materialità del reato contestato, considerando irrilevante l'assunto dell'imputato, che cioè l'«Emmental svizzero» sia diventato formaggio a denominazione generica, e sia ormai priva di tutela specifica, per effetto del regolamento CEE n. 2081/92 (c.d. volgarizzazione del marchio), giacché resta il fatto che il «Seland» consegnato era diverso per qualità dal formaggio richiesto, come accertato in modo incensurabile dai giudici di merito: l'Emmental (svizzero, francese o tedesco che sia) o groviera è tipico formaggio a pasta dura, mentre il Seland è formaggio a pasta tenera.

Cass. pen. n. 548/1997

In tema di tentativo di frode in commercio, l'offerta al pubblico, quando sia concretamente configurabile come proposta contrattuale, è condotta idonea diretta in modo non equivoco alla conclusione del contratto finale, e quindi alla consumazione della frode commerciale di cui all'art. 515 c.p., se di questa ricorrono gli elementi oggettivi e soggettivi. (Nella specie, relativa ad annullamento con rinvio di sentenza con la quale il giudice di merito aveva escluso nella messa in vendita di pane grattugiato non regolamentare presso la panetteria dell'imputato, la configurabilità del tentativo perché mancava un principio di trattativa o di negoziazione, la Suprema Corte ha osservato che l'errore giuridico fondamentale che inficia simile argomentazione consiste nel ritenere che la semplice messa in vendita della merce in un esercizio commerciale sia per se stessa estranea alla fase della trattativa contrattuale e quindi ancora esterna alla fattispecie penale del tentativo di frode in commercio).

Cass. pen. n. 7074/1996

È possibile il concorso tra i reati di cui agli artt. 515 c.p. e 5 legge 30 aprile 1962, n. 283, poiché le due norme hanno diversa obiettività giuridica. (Fattispecie relativa a ritenuto concorso tra il reato di frode nell'esercizio del commercio e quello di vendita di sostanze alimentari «trattate in modo da variarne la composizione naturale», di cui all'art. 5 lett. a, citata legge n. 283 del 1962).

Cass. pen. n. 3953/1995

L'elemento materiale del delitto di cui all'art. 515 c.p. (frode nell'esercizio del commercio) consiste nel consegnare all'acquirente cosa mobile non conforme a quella convenuta ed il termine «consegna» fa riferimento ad un'attività contrattuale (pattuizione-dichiarazione) tra venditore ed acquirente, sicché nel sistema di vendita al pubblico adottato dai supermercati il prodotto non solo è offerto al pubblico, ma è anche messo a sua completa disposizione e l'esposizione in vendita coincide con la possibile consegna all'acquirente.

Cass. pen. n. 10739/1994

Quando, nello svolgimento di un'attività commerciale avente ad oggetto la vendita al minuto di prodotti surgelati destinati all'alimentazione umana, si effettui la sostituzione dell'etichetta originaria indicante la data di scadenza già superata, del prodotto con altra recante data diversa e successiva, si realizza il delitto di truffa e non quello di frode in commercio solo se tale condotta abbia apportato contributo causale all'acquisto. (Fattispecie nelle quali è stata ritenuta la sussistenza del delitto di cui all'art. 515 c.p. dal momento in cui i giudici di merito avevano escluso che l'acquirente fosse stato tratto in inganno dalle diverse date di scadenza apposte sulle confezioni).

Cass. pen. n. 10108/1994

L'offerta in vendita di un prodotto ittico in avanzato stato di scongelamento senza indicazione della sua origine di prodotto congelato, considerato il sicuro naturale completarsi dello scongelamento, integra condotta idonea e diretta in modo non equivoco alla consegna alla potenziale clientela di un prodotto diverso da quello legittimamente atteso e pertanto, a livello di tentativo, il reato di frode in commercio: con siffatta attività viene, infatti, a realizzarsi la dissimulazione (ad un certo punto integrale) dell'origine congelata del prodotto, con conseguente inganno degli acquirenti.

Cass. pen. n. 2291/1994

Il bene giuridico tutelato dal reato di frode nell'esercizio del commercio (art. 515 c.p.) va individuato nel leale esercizio di tale attività, e la condotta tipica punita consiste nella consegna di una cosa diversa per origine, provenienza, qualità o quantità da quella oggetto del contratto, indipendentemente dal fatto che l'agente abbia usato particolari accorgimenti per ingannare il compratore o dalla circostanza che quest'ultimo potesse facilmente, applicando normale attenzione e diligenza, rendersi conto della difformità tra merce richiesta e consegnata. Ne deriva che la consegna di merce priva degli essenziali requisiti di freschezza, che attengano alla sua qualità, non vale ad escludere il reato anche se la confezione in cui la stessa è contenuta rechi indicazioni dalle quali sia dato desumere l'intervenuta scadenza del periodo entro il quale essa va consumata.

Cass. pen. n. 870/1994

La denominazione di origine «Emmental» spetta soltanto al formaggio fabbricato in Svizzera, in forza del D.P.R. 18 novembre 1953, n. 1099 che ha reso esecutiva in Italia la convenzione internazionale di Stresa del 1 giugno 1951. Da ciò consegue che l'indicazione «Emmental» da parte dell'acquirente postula il riferimento all'«Emmental» svizzero e comporta la consegna di formaggio «Emmental» avente detta origine. Talché, se a tale richiesta il venditore consegna «Emmental» di diversa provenienza senza ottenere il consenso del cliente, egli commette il delitto di frode in commercio (art. 515 c.p.), sotto il profilo della dazione di aliud pro alio.

Cass. pen. n. 663/1993

Il congelamento, di prodotti alimentari freschi con strumenti tecnologicamente inidonei, che ne provochi l'alterazione qualitativa, al solo fine di conservare le scorte ed il successivo scongelamento dei detti prodotti per le confezioni gastronomiche e per la vendita, costituisce ad un tempo violazione della disciplina delle sostanze alimentari a tutela della genuinità dei prodotti e della salute dei consumatori, e violazione dell'art. 515 c.p., posto a garanzia della lealtà e della moralità commerciale che devono presiedere alla commercializzazione dei beni. La mera detenzione di alimenti di siffatta specie, per contro, non integra il tentativo di frode in commercio, facendo difetto l'idoneità e l'univocità degli atti. (Fattispecie relativa ad esercizio per la vendita di prodotti gastronomici).

Cass. pen. n. 7446/1992

Agli effetti del reato tentato non è consentito distinguere fra atti preparatori ed atti esecutivi, mentre ciò che conta, oltre all'idoneità, è la non equivocità degli atti. Ne consegue che bene è ritenuto responsabile del reato di tentativo di vendita di carne scongelata come fresca (art. 515 c.p. in relazione all'art. 4 legge n. 3 del 1977) colui il quale detenga la merce in un deposito di carne destinato alla vendita, a disposizione, quindi, degli acquirenti, ed ammetta che la carne abbia appunto la suddetta destinazione, trattandosi di elementi che dimostrano la univocità del comportamento dell'imputato.

Cass. pen. n. 7563/1990

La lesione dell'onesto svolgimento del commercio, oggetto della tutela penale predisposta dall'art. 515 c.p., è da ritenersi sussistente, per diversità di qualità e nonostante l'identità della specie, nel caso di consegna di disco flessibile contenente programmi applicativi che non sia affatto utilizzabile a causa dell'incompatibilità tecnica con il «computer» contestualmente venduto.

Cass. pen. n. 7239/1990

Il tentativo di frode commerciale (artt. 56 e 515 c.p.) è ammissibile solo in presenza di una contrattazione idoneamente e inequivocabilmente predisposta alla consegna di merce diversa a chi in concreto intenda acquistarla, non essendo sufficiente ad integrare tale ipotesi criminosa la semplice esposizione della merce per l'eventuale vendita. La disciplina di cui all'art. 13 della L. 30 aprile 1962, n. 283, al contrario, sanziona penalmente la mera offerta in vendita di sostanze alimentari con denominazioni improprie o comunque ingannevoli, in quanto si propone di evitare che in tal modo venga sorpresa la buona fede del consumatore o che l'acquirente possa essere indotto in errore circa la natura, la sostanza o le proprietà nutritive delle sostanze alimentari stesse. (Nella fattispecie è stata ritenuta illecita, perché ingannevole, la scritta carne «suina», esposta in una macelleria, con la quale si reclamizzavano salsicce sfuse offerte in vendita come confezionate con carne suina, mentre risultavano confezionate con carne mista di suino e bovino).

Cass. pen. n. 1829/1990

La detenzione per la vendita di prodotti surgelati non indicati come tali nella lista delle vivande configura un tentativo di frode in commercio, essendo l'attività del detentore finalizzata all'offerta al cliente.

Cass. pen. n. 17201/1989

Anche la semplice offerta in vendita come fresco di pesce surgelato, qualora la situazione prospettata sia idonea a trarre in inganno la clientela che ha la legittima aspettativa di vedersi venduto pesce fresco, è sufficiente ad integrare gli estremi del tentativo di frode in commercio, indipendentemente quindi da ogni concreto rapporto con il cliente.

Cass. pen. n. 15555/1989

La mancanza o la differenza di segni distintivi, di rilevanza determinante nell'attività commerciale, dà luogo a quella diversità che integra il reato di frode nell'esercizio del commercio di cui all'art. 515 c.p., indipendentemente dalle intrinseche caratteristiche del prodotto e dalle sue qualità. Al segno distintivo si ricollega nell'attività commerciale uno specifico valore che incide anche sul prezzo e, quando la circostanza che il bene acquistato sia connotato dal segno distintivo ha per l'acquirente carattere determinante, non può rilevare il fatto che il bene consegnato, pur essendo privo di tale segno, abbia identiche caratteristiche. Per quanto riguarda in particolare i formaggi a denominazioni di origine e tipiche, esiste un'articolata disciplina che garantisce anche con controlli il consumatore e che legittima la marcatura o l'apposizione di altro specifico contrassegno, sicché anche la sola mancanza di questi segni distintivi deve ritenersi elemento determinante di diversità. (Fattispecie relativa a ritenuta sussistenza del reato di cui all'art. 515 c.p. per formaggio «grana vernengo», privo dell'apposita marcatura, venduto in luogo di quello pattuito e dichiarato, che era il «parmigiano reggiano»).

Cass. pen. n. 10258/1989

Ai fini dell'esclusione del delitto di frode nell'esercizio del commercio, di cui all'art. 515 c.p.p., non rileva che alla consegna della cosa (una caldaia per impianto di riscaldamento) diversa da quella pattuita si accompagni la relativa installazione, qualora si tratti di prestazione accessoria. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, l'imputato aveva dedotto, contrariamente a quanto emerso in dibattimento, la sussistenza di un contratto di appalto).

Cass. pen. n. 7553/1989

In tema di reato di frode nell'esercizio del commercio, la volgarizzazione di un marchio può dirsi verificata quando l'espressione che lo costituisce assume, nel linguaggio della generalità, un significato ampio, non più idoneo a distinguere il singolo prodotto ma l'intero genere di beni cui esso appartiene.

Cass. pen. n. 3547/1989

L'uso generalizzato di un marchio nel linguaggio comune per indicare tutto il genere dei prodotti analoghi a quello, per il quale lo stesso marchio è stato registrato, può certamente incidere sull'elemento soggettivo del reato, inducendo il venditore in errore sulla reale volontà dell'acquirente, nel senso che essa sia indirizzata al genere e non alla specie. Perché tale situazione si realizzi, però, è necessario che sia stata acquisita la prova in ordine alla sussistenza di tale errore. (Nella specie, relativa a ritenuta sussistenza del reato di frode nell'esercizio del commercio, non soltanto difettava tale prova, ma lo stesso imputato aveva ammesso di aver consegnato l'aliud pro alio non perché si fosse ingannato sulla reale intenzione dell'acquirente, ma perché non disponeva del prodotto richiesto).

La popolarità raggiunta dal marchio di un prodotto non fa venir meno il diritto del titolare all'uso esclusivo del marchio medesimo, salvo che dal suo comportamento possa desumersi con certezza un'acquiescenza all'uso da parte di terzi, ovvero la rinunzia a valersi in via esclusiva del marchio

Cass. pen. n. 12499/1988

Il reato di frode nell'esercizio del commercio ex art. 515 c.p. può essere commesso da chiunque agisca nell'esercizio di un'attività commerciale, non essendo essenziale la qualità di commerciante. (Nella fattispecie è stato ritenuto responsabile il collaboratore della titolare del negozio di alimentari).

Cass. pen. n. 5477/1986

Ai fini della configurabilità del delitto di frode in commercio, previsto dall'art. 515 c.p., è sufficiente anche il compimento di un solo atto di «commercio» inteso nel senso obiettivo di atto di vendita comunque configurato a prescindere dalla qualità di commerciante del venditore e dalle modalità concrete della consegna, la quale può considerarsi materialmente attuata soltanto nel momento in cui l'acquirente entra effettivamente nel possesso esclusivo della merce e non nel momento della semplice messa a disposizione della stessa da parte del venditore, potendosi in quest'ultimo caso realizzare l'ipotesi del delitto tentato.

Cass. pen. n. 4827/1986

Con la norma di cui all'art. 515 c.p., (frode nell'esercizio del commercio) il legislatore mira soprattutto a tutelare l'interesse dello Stato nel leale esercizio del commercio. Pertanto, l'atteggiamento psicologico del compratore non assume rilevanza rispetto alla consegna di cosa diversa da quella dichiarata e la punibilità del venditore non è esclusa dal fatto che l'acquirente sapeva preventivamente che gli sarebbero stati consegnati prodotti per qualità diversi da quelli richiesti.

Cass. pen. n. 4826/1986

In tema di frode nell'esercizio del commercio, di cui all'art. 515 c.p., soltanto l'identità essenziale fra la cosa mobile dichiarata e quella consegnata esclude la frode e quindi il reato. Pertanto, nell'ipotesi della diversità qualitativa, il giudizio sull'essenzialità, che compete al giudice di merito, deve essere formulato con riferimento alla natura ed alla proporzione degli elementi che compongono il prodotto e, in genere, a tutte quelle caratteristiche che consentono di distinguerlo da altri similari. (Fattispecie relativa a ritenuta esclusione di identità essenziale di prodotto etichettato e posto in vendita come «smacchiatore alla trielina» la cui composizione conteneva questa sostanza in misura inferiore all'1% e in stato di impurezza, e quindi atto ad ingannare il consumatore).

Cass. pen. n. 2886/1986

Si configura il reato di frode in commercio nel fatto di colui che smerci ad alcuni rivenditori quantitativi di zucchero semolato, confezionati meccanicamente in pacchetti di cartone, con contenuto netto risultante inferiore al peso dichiarato per percentuali eccedenti le previste tolleranze (del 2%), allorché risulti per l'entità del fenomeno e per il numero delle forniture che la difformità tra peso dichiarato e peso netto non possa imputarsi a fatto accidentale.

Cass. pen. n. 6207/1985

In tema di frode commerciale, la circostanza che un cartello esposto al pubblico sia stato predisposto dall'associazione commercianti non esclude il dolo dell'esercente, che deve controllare se tutte le diciture portate nel cartello siano corrispondenti al prodotto che pone in vendita.

Cass. pen. n. 4350/1985

In tema di frode in commercio, qualora la merce consegnata all'acquirente sia diversa da quella pattuita per più ragioni (nella specie qualità e provenienza) si realizza un unico reato e non più reati concorrenti.

Cass. pen. n. 4333/1985

Sussiste il delitto di frode in commercio, qualora vengano consegnati all'acquirente, senza preventiva informazione, agrumi non maturi, la cui buccia presenti un colore arancione, ottenuto a mezzo di trattamento chimico (cosiddetto «deverdizzazione»).

Cass. pen. n. 5166/1984

Il delitto di frode in commercio si consuma soltanto con la consegna materiale della merce all'acquirente, e tale criterio non subisce modificazioni nel caso di vendite da piazza a piazza.

Cass. pen. n. 8675/1983

L'art. 13 della L. 30 aprile 1962, n. 283 vieta esplicitamente l'uso di nomi impropri nella vendita o propaganda di sostanze alimentari e tende alla difesa della generalità dei possibili acquirenti e particolarmente di coloro che hanno minore attitudine a rendersi conto, da sé medesimi, delle manovre ingannevoli degli altri, e ciò a prescindere dal fatto che avvenga o no l'atto di commercio. Con l'art. 515 c.p., invece, il legislatore ha inteso proteggere il consumatore dalle frodi commesse nei suoi confronti nell'atto dell'esercizio del commercio. Avendo, pertanto, i due reati diversa obiettività giuridica è ipotizzabile il concorso ai sensi dell'art. 81 cod. penale.

Cass. pen. n. 4897/1983

Nel reato di frode in commercio il soggetto che riceve un danno dalla frode è il consumatore: pertanto la competenza per territorio è quella dell'autorità giudiziaria del luogo in cui è avvenuta la vendita al dettaglio, e non quella del luogo di produzione della merce.

Cass. pen. n. 1833/1983

In tema di frode in commercio, la responsabilità dei singoli preposti è configurabile nelle aziende di notevoli dimensioni, purché vi sia una suddivisione di attribuzioni con assegnazione di compiti esclusivamente personali a determinati soggetti. E' però necessario che la ripartizione delle funzioni risulti in modo non equivoco da norme interne e risponda ad esigenze effettive, concrete e costanti dell'azienda. Nelle aziende di notevoli dimensioni i titolari (amministratori o legali rappresentanti), in mancanza dell'assegnazione di specifici compiti a determinati soggetti, sono responsabili del reato di frode in commercio, essendo tenuti ad osservare e far osservare tutte le disposizioni imperative concernenti gli aspetti dell'attività aziendale.

Cass. pen. n. 824/1983

Il delitto di frode in commercio concorre con la contravvenzione alle norme sulla produzione di pasta alimentare di grano duro, poiché la norma del codice penale è posta a tutela della buona fede degli acquirenti mentre le disposizioni della L. 4 luglio 1967, n. 580 sono dirette alla tutela della salute pubblica.

Cass. pen. n. 10872/1982

Sussiste il reato di frode in commercio nell'ipotesi in cui venga consegnato un prodotto diverso per qualità da quello pattuito: a tal fine è irrilevante che il prodotto medesimo sia conforme alla normativa vigente in materia, qualora esso sia difforme dalle pattuizioni intervenute tra le parti. (Nella specie trattavasi di calcestruzzo, nella cui composizione era stato sostituito parte del cemento con additivi chimici).

Cass. pen. n. 3361/1982

Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 515 c.p. non ha alcuna rilevanza l'accettazione da parte dell'acquirente del prodotto che abbia caratteristiche organolettiche diverse da quello richiesto, anche se a questo uguale come sapore o colore.

Cass. pen. n. 8266/1981

Il bene giuridico tutelato dall'art. 515 c.p. (frode nell'esercizio del commercio) è la pubblica funzione dello Stato di assicurare l'onesto svolgimento del commercio e non gli interessi patrimoniali dei singoli acquirenti; da ciò consegue che, per il perfezionamento del reato, non necessita l'identificazione dei soggetti passivi e che la tolleranza o il consenso degli stessi non discrimina, trattandosi di diritto indisponibile.

Cass. pen. n. 5736/1979

Qualora nell'atto di compravendita sia contenuto un esplicito riferimento a specifiche qualità della cosa oggetto della contrattazione, la consegna di una cosa che non abbia quei requisiti richiesti in modo specifico realizza l'ipotesi criminosa della frode nell'esercizio del commercio. È da escludere, pertanto, la configurabilità del reato previsto dall'art. 515 c.p. nel caso di vendita di un autoveicolo, che abbia subito un incidente e sia stato poi riparato, a persona che, all'atto dell'acquisto, abbia richiesto semplicemente un'autovettura usata.

Cass. pen. n. 10913/1978

Risponde del delitto di frode in commercio colui che, nell'esercizio di attività commerciale di deposito di prodotti petroliferi, con il sistema della doppia fatturazione fa ritenere ai clienti di consegnare loro olio combustibile fluido o semifluido, prodotto più pregiato e più caro di prezzo del più vile e meno costoso olio combustibile denso che consegna al suo posto. (Nel caso del giudizio di merito è stato dichiarato estinto per prescrizione il reato di cui all'art. 15 L. 2 luglio 1957, n. 474 relativo al trasporto di oli combustibili con documenti alterati).

Cass. pen. n. 971/1978

Nel reato di frode in commercio non esclude l'antigiuridicità del fatto la circostanza che il compratore sia consapevole che potrà essergli data una cosa diversa da quella richiesta come, nel caso del fictus emptor. Ciò trova una conferma nella ratio legis, giacché la norma ha per oggetto principale la tutela del leale esercizio del commercio e della scrupolosa esecuzione dei contratti.

Cass. pen. n. 6289/1976

La frode in commercio, concretandosi nella consegna di cosa diversa da quella dichiarata o pattuita, presuppone un vinculum iuris liberamente costituitosi, cioè un negozio giuridico concluso tra le parti senza concorso di artifici o raggiri; mentre nel reato di truffa contrattuale la sussistenza di detti artifici o raggiri costituisce uno degli elementi costitutivi e caratterizzanti del reato previsto dall'art. 640 c.p.

Cass. pen. n. 6195/1976

Poiché la sostituzione dello zucchero con la saccarina altera la genuinità del prodotto, privandolo di uno degli elementi nutritivi più caratteristici ed importanti, la messa in vendita o la consegna di bevande edulcorate con saccarina, invece che con zucchero, si traduce nella messa in vendita o nella consegna di aliud pro alio e realizza il reato di cui agli artt. 515 c.p. e 5 lett. a) L. 30 aprile 1962, n. 283. Mentre l'interesse tutelato con la disposizione di cui all'art. 515 c.p., che punisce la frode nell'esercizio del commercio, consiste nella regolarità dei rapporti commerciali, le disposizioni delle leggi speciali in tema di frodi alimentari, fra cui rientra l'art. 5 della L. 30 aprile 1962, n. 283, mirano a garantire la genuinità dei prodotti nell'interesse dell'igiene collettiva e della sanità pubblica. Pertanto, considerata la diversa obiettività giuridica dei due reati è configurabile il concorso con le conseguenze sul piano sanzionatorio. (Nella specie erano state vendute gassose edulcorate con saccarina invece che con zucchero).

Cass. pen. n. 6436/1975

L'elemento psicologico del delitto di frode in commercio consiste nel solo dolo generico, ossia nella coscienza e volontà di consegnare cosa diversa da quella pattuita. I moventi dell'azione criminosa sono, invece, estranei ed irrilevanti ai fini della configurabilità di tale delitto, che sussiste, pertanto, anche se l'agente non si proponga come scopo l'inganno o il danno dell'acquirente. Con la norma di cui all'art. 515 c.p. si tutela principalmente l'interesse dello Stato al leale esercizio del commercio; l'interesse privato del compratore è preso in considerazione, invece, solo in via secondaria ed accessoria. Ne consegue che il reato di frode in commercio è configurabile anche quando la cosa consegnata in luogo di quella pattuita sia equivalente nelle caratteristiche sostanziali o meno costose. Nel contratto che si conclude tra compratore e venditore spetta a quest'ultimo (specie se sfornito del prodotto richiesto) risolvere il dubbio sull'effettiva portata della volontà dell'acquirente e sulla disponibilità ad accettare prodotti diversi da quelli domandati. Se il venditore non formula controfferte e non domanda chiarimenti, deve intendersi che egli accetta la richiesta nei termini letterali in cui questa è formulata e il contratto deve essere eseguito in conformità.

Cass. pen. n. 354/1973

Il reato di cui all'art. 515 c.p. (frode nell'esercizio del commercio) si perfeziona con la consegna intenzionale dell'aliud pro alio. L'accettazione della cosa diversa da parte dell'acquirente — che non assume rilevanza qualora interviene dopo la consumazione del reato — ne esclude la punibilità, ai sensi dell'art. 50 c.p., se si manifesta come consapevole consenso alla consegna della cosa di cui l'acquirente abbia preso piena cognizione.

Cass. pen. n. 338/1973

Per la sussistenza del delitto di frode nell'esercizio del commercio non occorrono artifizi e raggiri da parte del venditore, essendo insito l'inganno nella obiettività della consegna di una cosa per un'altra (aliud pro alio), ovvero di una cosa per origine, qualità o quantità diversa da quella dichiarata o pattuita. L'accettazione della cosa e la corresponsione del prezzo da parte dell'acquirente non incidono sulla sussistenza del reato, che non fa parte dei delitti contro il patrimonio, sibbene dei delitti contro l'industria e il commercio; sicché il consenso della parte che fa l'acquisto non può derogare, con la sua semplice tolleranza o acquiescenza, alla disposizione di ordine pubblico. (Nella specie è stata ritenuta la sussistenza del reato nei confronti di un venditore che, richiesto di un determinato quantitativo di formaggio, aveva calcolato al prezzo del formaggio anche la cartapaglia usata per avvolgerlo, pur essendo l'operazione avvenuta alla presenza dell'acquirente, che aveva accettato la merce e pagato il prezzo richiesto).

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Consulenze legali
relative all'articolo 515 Codice Penale

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

L.L. chiede
venerdì 27/08/2021 - Sicilia
“Il quesito riguarda il commercio degli estintori.

PREMESSA:
Ogni estintore prima di essere riprodotto in serie ed essere messo in commercio deve essere seguire l’iter di omologazione presso il Ministero dell’Interno secondo quanto previsto dal DECRETO DEL MINISTERO DELL'INTERNO DEL 7 Gennaio 2005 (DM 07/01/2005).
Ai sensi dell’articolo 4 comma 1 del DM “Gli esemplari di estintori portatili di incendio commercializzati, installati e mantenuti in servizio, salvo diverse disposizioni di legge concernenti impieghi particolari specificati, devono essere conformi ai rispettivi prototipi omologati.”
Ai sensi dell’articolo 10 comma 3 del DM “L'omologazione decade automaticamente se l'estintore portatile d'incendio subisce una qualsiasi modifica”
Nel settore dell’estintore ci sono due figure principali:
1) produttori. Che seguono l’iter dell’omologazione e producono gli estintori.
2) manutentori. Che sono i commercianti, cioè quelli che acquistano dai produttori per rivendere agli utilizzatori finali.

SITUAZIONE:
Supponiamo che il produttore ha modificato l’estintore per motivi commerciali. Ad esempio perché ha trovato una valvola più economica che però è diversa da quella prevista nel certificato di omologazione. Di conseguenza possiamo dire che gli estintori che montano questa valvola non sono omologati.
Il manutentore acquista gli estintori non omologati e poi li rivende ai clienti finali.

QUESITO:
Il manutentore è punibile con gli articoli 515 e 517 del codice penale anche se è inconsapevole?”
Consulenza legale i 30/08/2021
Ai fini della commissione di un qualsivoglia reato, è indispensabile che il soggetto agente, oltre a porre in essere la condotta stigmatizzata dalla norma dal punto di vista oggettivo, lo faccia in modo voluto. E’ importante, in altre parole, che il reo agisca con il dolo (diritto penale).

Il dolo si atteggia in modo di verso a seconda delle varie tipologie di reato e, nel caso di specie, per quanto attiene all’ipotesi di cui all’articolo 515 c.p. (è questa la fattispecie di rilievo nel caso in parola), è sufficiente che il soggetto agente ponga in essere il fatto essendo ben cosciente che il bene venduto sia di specie e caratteristiche diverse da quello dichiarato.

Passando alle questioni specifiche del parere, di certo è doveroso premettere che il reato di frode nell’esercizio del commercio – come afferma lo stesso dettato normativo – può essere posto in essere da “chiunque” eserciti un’attività commerciale; dunque, anche il manutentore può, almeno in astratto, essere il soggetto attivo della fattispecie penale.

Ciò detto, come precedentemente accennato, è indispensabile che la condotta sia sorretta dal dolo.

Sicché, se, almeno in astratto, è possibile affermare che il soggetto manutentore non sia responsabile del reato se era assolutamente ignaro della frode del produttore, va segnalato che la prova di tale “inconsapevolezza” potrebbe essere molto complessa da raggiungere laddove al manutentore siano importi stringenti doveri di controllo del materiale venduto.

In via generale, in ogni caso, di certo il manutentore non è gravato degli stessi oneri di diligenza del produttore e, dunque, sarà attinto dalla fattispecie molto più difficilmente rispetto alla figura del predetto produttore.

Flavio A. chiede
mercoledì 24/02/2016 - Friuli-Venezia
“Buongiorno,
sono andato in una azienda della mia città e ho stipulato un contratto per fornitura/ installazione di porta blindata.
Nel contratto oltre al prezzo totale c’è la descrizione della porta con il nome del modello e della ditta produttrice della mia città, P.
Ora, in corso d’opera, mi sono accorto dalla fattura che devo saldare,che la ditta produttrice della porta è un’ altra, della città T. Le caratteristiche della porta non sono note, quindi potrebbero essere difformi da quelle da contratto firmato.
Ma possono “somministrarmi” quello che vogliono o posso pretendere qualcosa ? … ad esempio la porta effettivamente della marca e modello da me ordinato… o perlomeno uno sconto… o posso denunciarli?
Tra l’altro non ho ancora saldato in quanto ci sono stati diversi problemi e non hanno ancora ultimato il lavoro anche se la fattura è già stata emessa .
Fiducioso di una gentile risposta invio cordiali saluti.”
Consulenza legale i 29/02/2016
Uno degli obblighi principali che sorge dalla stipulazione del contratto di compravendita in capo al venditore consiste proprio nel consegnare l’oggetto dell’accordo con le caratteristiche pattuite e concordate.

Lo stesso articolo [[n129codcons]] del Codice del consumo (d.lgs. 206/2005) dispone che il venditore ha l'obbligo di consegnare al consumatore beni conformi al contratto di vendita. La norma in esame precisa, altresì, che i beni di consumo siano conformi al contratto se, ove pertinenti, coesistono le seguenti circostanze:
a) sono idonei all'uso al quale servono abitualmente beni dello stesso tipo;
b) sono conformi alla descrizione fatta dal venditore e possiedono le qualità del bene che il venditore ha presentato al consumatore come campione o modello;
c) presentano la qualità e le prestazioni abituali di un bene dello stesso tipo, che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi, tenuto conto della natura del bene e, se del caso, delle dichiarazioni pubbliche sulle caratteristiche specifiche dei beni fatte al riguardo dal venditore, dal produttore o dal suo agente o rappresentante, in particolare nella pubblicità o sull'etichettatura;
d) sono altresì idonei all'uso particolare voluto dal consumatore e che sia stato da questi portato a conoscenza del venditore al momento della conclusione del contratto e che il venditore abbia accettato anche per fatti concludenti.

A seguire, è lo stesso articolo 130 del Codice del Consumo che precisa i rimedi che il consumatore può utilizzare nei confronti del venditore, il quale è responsabile nei confronti del consumatore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene. Sussistendo infatti un difetto di conformità, il consumatore ha diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene, mediante riparazione o sostituzione, ovvero ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto. La norma attribuisce al consumatore il diritto di chiedere al venditore, a sua scelta, di riparare il bene o di sostituirlo, in entrambi i casi senza spese, salvo che il rimedio richiesto sia oggettivamente impossibile o eccessivamente oneroso rispetto all'altro.

Indicata così la disciplina che viene in rilievo nel caso specifico, la consegna di una porta realizzata da un’azienda che non era quella che, secondo gli accordi presi, avrebbe dovuto produrla, può ben integrare un difetto di conformità alla stregua dell’articolo sopra indicato (in particolare rileva la lettera b del comma 2 dell’art.129), sicché legittima il compratore alla denuncia di tale difformità, alla contestazione della fattura ed alla scelta di uno dei rimedi che la legge mette a sua disposizione in quanto contraente debole.

Se eventualmente il venditore dovesse richiedere il pagamento dell’importo della fattura, il compratore potrebbe anche paralizzare tale richiesta con la c.d. eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. ai sensi del quale nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l'altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l'adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto.

Roberto C. chiede
mercoledì 12/08/2015 - Lombardia
“ho prenotato e pagato un noleggio di una autovettura per 20 giorni con un broker, con ritiro presso l'autonoleggio M.; il noleggiatore non ha consegnato l'autovettura rifiutandosi di mettermi per iscritto che non mi consegnava l'autovettura. é intervenuta anche al polizia aeroportuale ma si sono rifiutati di scrivere il motivo della mancata consegna. In realtà anche con altri clienti con contratto broker hanno rifiutato al consegna.
è truffa? è penale? come posso procedere? come posso richiedere i danni a M.? grazie”
Consulenza legale i 17/08/2015
In riferimento ai fatti descritti nel quesito, v'è da premettere che non sembra possibile individuare una precisa ragione per cui è stata rifiutata la consegna della vettura noleggiata tramite broker. Si può solo ipotizzare, visto che il fatto sembra essere accaduto anche ad altre persone, che vi siano stati dei problemi tra l'autonoleggio e la società di broker (ad esempio, quest'ultima potrebbe non aver pagato all'azienda di autonoleggio il noleggio della vettura prenotata dal cliente). Naturalmente, questi motivi non sono opponibili al cliente, che ha prenotato e regolarmente pagato l'automobile a noleggio.
Come procedere, quindi?

Nel contratto allegato al quesito si legge che il broker ha riscosso il pagamento "per conto" della compagnia di noleggio e ha rilasciato un voucher da presentare al noleggiatore. Si legge, inoltre, che la presentazione in ritardo al ritiro costituisce motivo per legittimare l'omesso rimborso dell'importo pagato qualora il noleggiatore non fornisca l'autovettura, oltre ad altre clausole piuttosto stringenti.

Sul voucher si può leggere, poi: "Questo voucher non è un contratto di noleggio e ... non fornisce veicoli a noleggio. Al ritiro del veicolo Lei dovrà firmare un contratto di noleggio, fornito dal noleggiatore indicato su questo voucher, che sarà soggetto alle leggi locali".

Giuridicamente, si può inquadrare la situazione nel modo seguente:
- il cliente conclude con il broker un contratto che non è di noleggio, ma, si può ipotizzare, di mediazione, per la conclusione del successivo contratto con l'agenzia di noleggio;
- in loco, il cliente concluderà un contratto di noleggio con il noleggiatore.

Le domande che occorre porsi sono: il noleggiatore è obbligato a concludere il contratto con il cliente? Se sì, ha un obbligo verso il cliente stesso o verso il broker, in virtù di loro accordi interni?
Per rispondere a queste domande si dovrebbe approfondire il rapporto tra broker e noleggiatore.

Da quel che appare prima facie, ci sembra che il cliente riceva dal broker una promessa circa l'obbligazione di un terzo (il noleggiatore): ai sensi dell'art. 1381 se il terzo rifiuta di obbligarsi, chi ha fatto la promessa deve indennizzare l'altro contraente. L'indennizzo consiste nel pagamento di una somma di denaro corrispondente, nel suo ammontare, al valore dell'utilità non conseguita dal promissario: tuttavia, se l'inadempimento del terzo è imputabile anche al promittente, il promissario (nel nostro caso, il cliente) avrà a disposizione gli ordinari mezzi di tutela contro l'inadempimento, comprensivi del diritto al risarcimento di ogni danno subito - un ristoro, quindi, più elevato rispetto al mero indennizzo.

Se l'applicabilità dell'art. 1381 c.c. al broker appare piuttosto verosimile, è invece difficile comprendere quali azioni civili il cliente possa esperire nei confronti del noleggiatore, atteso che tra i due non è mai stato sottoscritto alcun contratto. L'unica soluzione è quella di individuare un obbligo dell'azienda noleggiatrice a concludere il contratto, quindi un documento da cui emerga che la stessa si è assunta l'impegno nei confronti del cliente. Quest'ultimo è in possesso del solo contratto concluso con il broker, che ha rilasciato un "voucher" da presentare al noleggiatore: il voucher non è altro che un buono, in cui si dà atto che esiste un accordo tra cliente e broker e si fissa il prezzo del successivo contratto di noleggio, accertando che esso è già stato pagato.

Si dovrà pertanto indagare ed approfondire questo aspetto, richiedendo alle controparti ogni documentazione utile, che il cliente-consumatore ha diritto a ricevere in base agli artt. 5-17 del Codice del consumo. In particolare, il terzo comma dell'art. 5 stabilisce che "Le informazioni al consumatore, da chiunque provengano, devono essere adeguate alla tecnica di comunicazione impiegata ed espresse in modo chiaro e comprensibile, tenuto anche conto delle modalità di conclusione del contratto o delle caratteristiche del settore, tali da assicurare la consapevolezza del consumatore". Appare probabile che il noleggiatore abbia assunto un impegno a concludere il contratto con i clienti forniti dal broker, alla presenza di determinate condizioni, ma il cliente-consumatore deve poter capire con precisione la situazione: poiché è innegabile che il consumatore ha diritto a sapere quali sono le condizioni del contratto e quale ne è l'oggetto, a maggior ragione, ha diritto di sapere con chi concludere il contratto e quali professionisti assumono responsabilità nei suoi confronti.

In ogni caso, è consigliabile prendere immediato contatto sia con il broker che con la ditta di autonoleggio, intimando ad entrambi, con raccomandata a.r., il rimborso della somma versata, poiché la prestazione promessa non è stata ricevuta. In base alla risposta del broker e a quella dell'autonoleggio (il quale, in riscontro ad una formale raccomandata, magari sottoscritta da un legale, dovrà esporsi circa i motivi della mancata consegna), si potrà approntare la difesa corretta. In altre parole, è necessario indurre le controparti a prendere una posizione circa l'andamento dei fatti, per poter controbattere (o attaccare) con la giusta precisione.

Dal punto di vista penalistico, ravvisare una truffa non è semplice.
La truffa è il reato che viene commesso da chi, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno (art. 640 del c.p.).
Bisogna chiedersi se il rifiuto della consegna del veicolo possa configurarsi come un doloso "artifizio" o "raggiro" ai sensi dell'art. 640 c.p.
Secondo una parte della giurisprudenza "Integra gli estremi della truffa contrattuale la condotta di chi pone in essere artifizi o raggiri consistenti nel tacere o nel dissimulare fatti o circostanze tali che, dove conosciuti, avrebbero indotto l’altro contraente ad astenersi dal concludere il contratto di compravendita di un immobile" (Cass. pen., sez. II, 14.7.2014, n. 30886); "gli artifizi o i raggiri richiesti per la sussistenza del reato di truffa contrattuale possono consistere anche nel silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze da parte di chi abbia il dovere di farle conoscere, indipendentemente dal fatto che dette circostanze siano conoscibili dalla controparte con ordinaria diligenza" (Cass. pen., sez. II, 14.10.2009, n. 41717).
Nel caso di specie appare complesso ravvisare un raggiro - ai sensi della norma penale - nel comportamento del noleggiatore, a meno di poter provare che lo stesso, in collusione o meno con il broker, abbia indotto il cliente a pagare il noleggio per poi rifiutarlo per motivi banali o pretestuosi.
La questione va certamente approfondita da un avvocato penalista: si sconsiglia di presentare una denuncia querela per truffa senza il previo parere di un legale, che predisponga il testo in modo da scongiurare l'ipotesi di calunnia (reato che commette chi incolpa di un reato taluno che egli sa innocente ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, art. 368 del c.p.).