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Articolo 278 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Offesa all'onore o al prestigio del Presidente della Repubblica

Dispositivo dell'art. 278 Codice Penale

Chiunque offende l'onore o il prestigio del Presidente della Repubblica è punito con la reclusione da uno a cinque anni(1).

Note

(1) Il reato si consuma quando sia comunicata con qualsiasi mezzo, un'offesa che relativa alla persona del Presidente della Repubblica sia in riferimento a fatti che ineriscono all'esercizio o alle funzioni cui è preposto, sia a fatti che riguardano l'individualità privata, anche in relazione anteriori all'attribuzione della carica.

Ratio Legis

La norma tutela l'onore e il prestigio legati alla persona del Capo dello Stato, presidio costituzionale delle istituzioni dello Stato italiano.

Spiegazione dell'art. 278 Codice Penale

La norma provvede a tutelare l'onore ed il prestigio del Presidente della Repubblica.

Per quanto riguarda l'onore, esso rappresenta un bene che attiene strettamente alla sfera morale del Presidente inteso come individuo, mentre il prestigio riguarda il particolare decoro riferito all'intangibilità della sua posizione istituzionale.

Per integrare il delitto in questione è dunque sufficiente qualunque espressione o rappresentazione idonea a menomare il prestigio del Capo dello Stato ed è irrilevante, perciò, accertare se l'offesa sia arrecata al Presidente della Repubblica in rapporto all'istituzione che rappresenta o piuttosto in relazione alla sua persona privata, poiché, anche in quest'ultima ipotesi, è indubbia l'offesa al decoro della persona investita dell'augusta funzione.

Per la configurabilità del reato, inoltre, non è richiesto il dolo specifico, e cioè l'intenzione di offendere l'onore ed il prestigio del Capo dello Stato, ma è sufficiente il dolo generico, vale a dire la consapevolezza dell'obiettiva idoneità dell'espressione o dello scritto a menomare il rispetto da cui deve essere circondato il Presidente della Repubblica.

Per quanto concerne il legittimo diritto di critica, costituente un corollario della libertà di manifestazione del pensiero garantito dall'art. 21 Cost., esso può essere esercitato anche nei confronti del Capo dello Stato, ma trova un limite nel decoro e nel prestigio del medesimo.

Massime relative all'art. 278 Codice Penale

Cass. pen. n. 12625/2004

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 278 c.p., sollevata in riferimento agli artt. 21, 24, 25 e 111 della Costituzione, in quanto la norma incrimina l'offesa ad un bene giuridico di rilevanza costituzionale, quale l'onore ed il prestigio della stessa istituzione repubblicana e dell'unità nazionale che il Presidente della Repubblica rappresenta; sono giustificate, pertanto, sia la mancata previsione della possibilità per l'imputato di sollevare l'exceptio veritatis, senza che ciò contrasti con le garanzie costituzionali relative al diritto di difesa, sia la formulazione della fattispecie come reato a forma libera, senza che ciò contrasti con i principi costituzionali di tassatività della fattispecie e di libera manifestazione del pensiero.

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 278 c.p.(offesa all'onore ed al prestigio del Presidente della Repubblica) sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza per la irragionevolezza della severità della sanzione prevista, rispetto a quella stabilita per i delitti di ingiuria e diffamazione che ledono l'onore ed il prestigio di un comune cittadino o di un pubblico ufficiale, poiché la fattispecie in esame tutela non solo il prestigio del Presidente della Repubblica, e quindi della Istituzione dello Stato che egli rappresenta, ma anche il sereno svolgimento delle funzioni connesse alla carica: tale specificità giustifica pertanto il trattamento differenziato.

Cass. pen. n. 9880/1996

Per la consumazione del reato previsto dall'art. 278 c.p. - offesa all'onore o al prestigio del Presidente della Repubblica - non è richiesto che l'offesa diretta a quest'ultimo avvenga col mezzo della stampa, essendo sufficiente la semplice comunicazione dell'offesa ad un terzo con qualsiasi mezzo. (Nella fattispecie si trattava di offesa contenuta in una lettera pubblicata su un quotidiano dopo che la stessa era stata recapitata al direttore del giornale che in quel momento si trovava in una città diversa da quella di pubblicazione del giornale medesimo. La Suprema Corte ha ritenuto che - essendo stato dai giudici di merito escluso il concorso nel reato da parte del direttore del quotidiano, condannato infatti per il reato previsto dall'art. 57 c.p. in relazione all'art. 278 c.p. per aver omesso di esercitare il prescritto controllo sul giornale da lui diretto - correttamente era stata ritenuta la competenza territoriale del tribunale della città in cui si trovava il direttore del giornale al momento in cui aveva ricevuto la lettera in questione, essendo stato il primo a conoscere il contenuto offensivo di detto documento).

Cass. pen. n. 3069/1996

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 278 c.p. (offesa all'onore o al prestigio del Presidente della Repubblica) sotto il profilo della irragionevolezza della sanzione, per sproporzione rispetto a quella stabilita per i delitti di ingiuria o di oltraggio a pubblico ufficiale — e con riferimento ai principi di cui agli artt. 3 e 27 Cost. Ciò in quanto, data l'eccezionale rilevanza del bene protetto dalla norma in considerazione, e, dunque, data la improponibilità di analogie tra la fattispecie criminosa da essa sanzionata e i delitti di oltraggio a P.U. e ingiuria —, si deve ritenere che non vi sia alcuno straripamento dai criteri di congruità sia sotto il profilo della coerenza intrinseca al sistema penale, sia sotto il profilo della violazione dei valori costituzionali.

Cass. pen. n. 562/1972

L'ipotesi criminosa enunciata nell'art. 278 c.p. non richiede affatto, per l'integrazione della fattispecie, il vilipendio, ma prevede semplicemente l'offesa all'onore o al prestigio del Capo dello Stato (al quale è equiparato il Sommo Pontefice). Per la sussistenza del delitto previsto dall'art. 278 c.p. non è richiesto un dolo caratterizzato da specifiche finalità, ma è sufficiente la mera volontà di compiere l'azione offensiva con la consapevolezza di arrecare ingiuria alla persona investita della carica di Capo dello Stato o di Sommo Pontefice. La L. 11 novembre 1947, n. 1, ha modificato gli artt. 276, 277, 278 e 279 del c.p. ed ha abrogato gli artt. 280, 281 e 282, per adeguare il sistema al mutamento dell'istituzione monarchica in quella repubblicana, senza introdurre alcuna disposizione che possa rendere incompatibile il riferimento dell'art. 8 della legge 27 maggio 1929, n. 810, alla norma dell'art. 278 del c.p.

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