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Articolo 743 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 477)

[Aggiornato al 11/01/2024]

Deliberazione della corte di appello

Dispositivo dell'art. 743 Codice di procedura penale

1. La domanda di esecuzione all'estero di una sentenza di condanna a pena restrittiva della libertà personale non è ammessa senza previa deliberazione favorevole della corte di appello nel cui distretto fu pronunciata la condanna. A tale scopo il Ministro della giustizia trasmette gli atti al procuratore generale affinché promuova il procedimento davanti alla corte di appello.

2. La corte delibera con sentenza, osservate le forme previste dall'articolo 127, nei termini di cui all'articolo 734.

3. Qualora sia necessario il consenso del condannato, esso deve essere prestato davanti all'autorità giudiziaria italiana. Se il condannato si trova all'estero, il consenso può essere prestato davanti all'autorità consolare italiana ovvero davanti all'autorità giudiziaria dello Stato estero.

4. La sentenza è soggetta a ricorso per cassazione per violazione di legge da parte del procuratore generale presso la corte di appello, dell'interessato e del difensore.

Ratio Legis

Il vaglio dell'autorità giudiziaria, accanto a quello dell'autorità ministeriale, si pone quale fase di garanzia, al pari delle altre ipotesi di cooperazione giudiziaria internazionale.

Spiegazione dell'art. 743 Codice di procedura penale

La norma in esame stabilisce la competenza della corte d'appello nel cui distretto fu pronunciata la condanna per la deliberazione favorevole sulla domanda di esecuzione all'estero di una sentenza penale italiana. Affinché possa prendere cognizione, al procuratore generale vengono trasmessi gli atti per mezzo del Ministro della giustizia. In seguito, il procuratore generale promuove il giudizio.

La corte delibera con sentenza emessa entro novanta giorni dalla ricezione degli atti (come previsto dal richiamato art. 734 e in camera di consiglio. Le parti possono dunque depositare memorie scritte e documenti e se compaiono devono essere sentite.

Si è visto all'art. 742 che la prima tipologia di esecuzione delle sentenze italiane all'estero, che coincide con gli interessi del condannato, viene in rilievo quando quest'ultimo stia scontando la pena in Italia e l'esecuzione all'estero sia opportuna a fini di risocializzazione, oppure, come su anticipato, quando il condannato si trovi già nel Paese di cittadinanza o di residenza, e persegue lo scopo di evitare di dover richiedere l'estradizione. Come chiarisce la norma, è necessario il consenso del condannato. Orbene, in tale ipotesi, il consenso deve essere prestato davanti all'autorità giudiziaria italiana oppure, se si trovi all'estero, davanti all'autorità consolare italiana o davanti all'autorità giudiziaria dello Stato estero.

La sentenza della corte d'appello, che deve essere comunicata alle parti, è soggetta a ricorso per cassazione per violazione di legge, al quale sono legittimati il procuratore generale, l'interessato ed il suo difensore.


Massime relative all'art. 743 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 16022/2014

In tema di esecuzione all'estero di una sentenza di condanna a pena restrittiva della libertà personale, la richiesta del condannato di trasferimento dell'esecuzione della pena ai sensi della Convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983, diversamente dal consenso alla consegna per l'esecuzione della pena in uno Stato estero, può essere revocata sino alla deliberazione della Corte d'appello.

Cass. pen. n. 2200/1999

La corte d'appello, nel deliberare, ai sensi dell'art. 743 c.p.p. e dell'art. 5 della legge 3 luglio 1989, n. 257 (recante disposizioni per l'attuazione di convenzioni internazionali in materia di esecuzione di sentenze penali), sulla domanda di esecuzione all'estero di una condanna a pena restrittiva della libertà personale pronunciata in Italia, deve limitarsi a verificare, in punto di quantificazione di detta pena, se essa sia stata correttamente effettuata in applicazione della disciplina dettata dagli artt. 9, 10 e 11 della Convenzione di Strasburgo 21 marzo 1983, resa esecutiva in Italia con legge 25 luglio 1988 n. 334, rimanendo quindi escluso che possa, la stessa corte, adottare una decisione negativa sol perché la pena, se espiata all'estero, risulterebbe inferiore a quella da espiare in Italia.

Cass. pen. n. 4802/1996

Sulla domanda di esecuzione all'estero di una sentenza di condanna a pena restrittiva della libertà personale (art. 743 c.p.p.), alla corte d'appello compete soltanto l'accertamento delle condizioni che rendono legittimo il trasferimento all'estero della persona condannata, mentre l'accordo di cooperazione in materia penale con lo stato estero rientra nella competenza esclusiva del Ministro della giustizia. L'autorità giudiziaria deve limitarsi a statuire sulla sussistenza delle condizioni previste per il trasferimento del condannato (art. 3 della Convenzione di Strasburgo 21 marzo 1983, ratificata con L. n. 334/1988), sulla inesistenza di impedimenti all'esecuzione della condanna (art. 744 c.p.p.) e sulla adeguatezza della pena indicata dal Governo estero non rispetto alla sola condanna ovvero ai criteri dettati dall'art. 133 c.p., bensì rispetto ai criteri sanciti dalla citata Convenzione (artt. 9 e 10), che conferisce allo Stato di esecuzione la facoltà di optare tra il sistema della continuazione dell'esecuzione e quello della conversione della condanna. Il primo sistema (per il quale ha optato l'Ungheria) comporta, quale regola generale, il vincolo per lo Stato di esecuzione alla natura giuridica e alla durata della sanzione così come stabilita dallo Stato di condanna (art. 10.1), ma è proprio la stessa Convenzione a prevedere l'adattamento della sanzione alla pena o misure previste dalla legge dello Stato di esecuzione per lo stesso tipo di reato, in modo da non eccedere il massimo della pena dalla stessa previsto (art. 10.2). Ne consegue che illegittimamente la corte di appello respinge la richiesta di trasferimento da parte del Governo di Ungheria di un detenuto condannato alla pena di anni tredici e mesi sei di reclusione, sulla base della considerazione che, se trasferito in Ungheria per l'esecuzione della pena, il condannato avrebbe beneficiato del fatto che, per il reato commesso, la pena massima ivi prevista è non superiore ad anni otto di reclusione.

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