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Articolo 533 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 477)

[Aggiornato al 11/01/2024]

Condanna dell'imputato

Dispositivo dell'art. 533 Codice di procedura penale

1. Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio. Con la sentenza il giudice applica la pena e le eventuali misure di sicurezza.

2. Se la condanna riguarda più reati, il giudice stabilisce la pena per ciascuno di essi e quindi determina la pena che deve essere applicata in osservanza delle norme sul concorso di reati e di pene o sulla continuazione [71-84 c.p.]. Nei casi previsti dalla legge il giudice dichiara il condannato delinquente o contravventore abituale o professionale o per tendenza [102 ss. c.p.].

3. Quando il giudice ritiene di dover concedere la sospensione condizionale della pena [163 c.p.] o la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale [175 c.p.], provvede in tal senso con la sentenza di condanna.

3-bis. Quando la condanna riguarda procedimenti per i delitti di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), anche se connessi ad altri reati, il giudice può disporre, nel pronunciare la sentenza, la separazione dei procedimenti anche con riferimento allo stesso condannato quando taluno dei condannati si trovi in stato di custodia cautelare e, per la scadenza dei termini e la mancanza di altri titoli, sarebbe rimesso in libertà(1).

Note

(1) Tale comma è stato aggiunto dall'art. 4, comma 1, del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito nella l. 19 gennaio 2001, n.4.

Ratio Legis

Tale disposizione è diretta a considerare l'eventualità di una condanna dell'imputato.

Spiegazione dell'art. 533 Codice di procedura penale

La norma in esame riguarda la sentenza di condanna, contenendo l'indicazione del suo presupposto, ovvero che l'imputato risulta colpevole del reato ascrittogli.

La formulazione in esame si discosta in modo significativo da quella adottata dei codici precedenti, secondo cui la condanna era pronunciata "fuori dei casi" in cui fosse previsto il proscioglimento, per cui la decisione veniva in tal senso giustificata dall'esistenza di prove sufficienti per condannare, senza alcun riferimento alla colpevolezza. Ora invece la pronuncia di condanna è ancorata al presupposto positivo della colpevolezza dell'imputato in relazione al reato contestatogli.

Il riferimento al ragionevole dubbio è frutto della modifica operata dall'art. 5, della l. 20 febbraio 2006, n. 46 e fa riferimento ad un alto grado di probabilità, non dunque ad un minimo dubbio. In ogni caso, al di là del valore simbolico, nulla viene aggiunto sul piano descrittivo a quanto si ricava dalle norme sull'assoluzione ex art. 530.

Tramite la sentenza di condanna il giudice è inoltre tenuto ad applicare la pena comminata e le eventuali misure di sicurezza.

Qualora la condanna riguardi più reati, anche se poi la pena in concreto sarà unica e data dalla somma delle singole pene, il giudice deve comunque indicare l'entità della pena per ogni singola condanna, osservando a tal proposito le norme sul concorso di reati, di pene e sulla continuazione (artt. 71 e ss. c.p.). Nei casi previsti è inoltre tenuto a dichiarare il condannato contravventore o delinquente abituale, professionale o per tendenza ai sensi dell'art. 102 c.p..

L'istituto della sospensione condizionale della pena o la non menzione nel casellario giudiziale, anche se di natura chiaramente favorevole al reo, presuppongono una sentenza di condanna ed il giudice provvede quindi in tal senso con la sentenza stessa.

Il comma 3 bis disciplina invece le ipotesi in cui, in relazione allo stesso procedimento, quando si procede per i reati di cui all'art. 407, comma 2, lett. a, e per uno dei condannati stiano scadendo i termini di custodia cautelare e debba pertanto essere rimesso in libertà. In tali casi, il giudice può disporre la separazione dei procedimenti.

Massime relative all'art. 533 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 48541/2018

L'applicazione della regola di giudizio compendiata nella formula "al di là di ogni ragionevole dubbio", di cui all'art. 533 cod. proc. pen., in tema di nesso causale, in presenza di patologie riconducibili a più fattori causali diversi e alternativi tra loro, consente di pronunciare condanna a condizione che, in base al dato probatorio acquisito, la realizzazione dell'ipotesi alternativa, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana. (Fattispecie in tema di omicidio colposo da esposizione ad amianto sul luogo di lavoro, in cui la Corte ha rigettato il ricorso avverso la sentenza di assoluzione che aveva ritenuto sussistente il ragionevole dubbio sulla sussistenza del nesso causale, avendo la persona offesa abitato per lungo tempo in prossimità di un'industria manifatturiera dell'amianto).

Cass. pen. n. 23813/2009

La regola di giudizio compendiata nella formula "al di là di ogni ragionevole dubbio", formalizzata nell'art. 533, comma primo, c.p.p., come sostituito dall'art. 5 della L. 20 febbraio 2006 n. 46 (modifiche al codice di procedura penale in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento) impone di pronunciare condanna, quando il dato probatorio acquisito lascia fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili "in rerum natura", ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana.

Cass. pen. n. 15911/2009

La regola di giudizio secondo cui per la condanna è necessario che la colpevolezza risulti "al di là di ogni ragionevole dubbio" non impedisce che la condanna sia pronunciata in appello con riforma di una sentenza di assoluzione di primo grado

Cass. pen. n. 11302/1999

La omessa indicazione dei criteri di determinazione della pena, anche nel caso che riguardi più reati unificati nella continuazione, non configura una nullità di ordine generale; neppure configura una nullità specifica, giacché il precetto di cui all'art. 533, comma 2, c.p.p. non è assistito da alcuna specifica sanzione processuale. Per conseguenza, in ossequio al principio di tassatività delle nullità stabilito nell'art. 177 c.p.p., l'anzidetta omissione configura, non già una nullità della sentenza, bensì una mancanza di motivazione in ordine alla determinazione della pena, che sottrae all'imputato il controllo sull'uso fatto dal giudice del suo poter discrezionale.

Cass. pen. n. 5636/1994

Non vi è violazione dell'art. 533 c.p.p. quando il giudizio su più reati si sia scisso in distinti procedimenti - anche se per ragioni processuali. La inottemperanza è invece configurabile, qualora nel medesimo processo lo stesso giudice, dopo avere riconosciuto la continuazione non la applichi. (La corte ha osservato che il problema, alla luce dell'art. 671 c.p.p, va risolto in sede esecutiva).

Cass. pen. n. 5044/1993

Data l'intrinseca differenza tra il giudizio di prevenzione e quello di accertamento della responsabilità penale, la valutazione di pericolosità sociale è a carattere essenzialmente sintomatico, basandosi - nell'ipotesi di sospetta appartenenza ad associazioni mafioso-camorristiche - sull'utilizzazione di qualsiasi elemento indiziario certo e idoneo a giustificare il libero convincimento del giudice.

Cass. pen. n. 4689/1992

L'arresto e la condanna (anche definitiva) intervenuti dopo la commissione di taluni reati non ostano, di per sè soli, alla configurazione dell'unicità del disegno criminoso con altri reati successivamente commessi, e dunque non sono ostativi all'applicazione della continuazione.

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